“Tenere il filo”: il tormentone francese sulle cure palliative

Fotogramma del video prodotto dall'Ospedale vandeano per la canzone “Garder le fil”

Proprio in questi giorni parlavo con una ricercatrice oncologica della situazione ospedaliera in Francia (ha recentemente ricevuto una proposta di lavoro da sogno, in termini contrattuali), e quindi conversavamo anche dei recenti Stati Generali della Bioetica, dell’Affaire Lambert e dell’insufficiente diffusione delle cure palliative sul territorio nazionale1Su cui molto meritoriamente già un anno fa insisteva il contributo della Conferenza Episcopale Francese, sulla cui linea si è poi disposto anche il Consiglio di Stato.. Mi ha colpito enormemente, nella conversazione, quella che nella mia interlocutrice mi è sembrata scarsa capacità di elaborazione etica del suo mestiere: mi vergogno anche solo a pensarlo, figuriamoci a scriverlo, perché sto parlando di una professionista valida e apprezzata, mentre io non sono un medico (e a rigor di termini neppure un bioeticista)… però sono rimasto segnato dal suo considerare “equivalenti” la sedazione profonda di un malato terminale e l’eutanasia attiva dello stesso.

Se gli do della morfina per calmargli il dolore – mi diceva – , so bene di intaccare anche la sua capacità cardiorespiratoria, come pure in certi casi so di somministrare, talvolta su esplicita e diretta richiesta, una sedazione dalla quale è ragionevolmente certo che il paziente non si sveglierà più. E questa è de facto eutanasia.

Tanta confusione mi sconcertava perché è causa di due jatture uguali e contrarie:

  • a volte i medici pensano di star praticando dell’eutanasia, laddove in realtà non la stanno praticando;
  • altre volte invece gli stessi possono arrivare a praticare eutanasia “come se niente fosse”.

In filosofia morale la si chiama “dottrina del duplice effetto”2Il caso principe di tale dottrina, in bioetica, è l’intervento chirurgico sulla gravidanza ectopica, che pur comportando de facto la morte del feto non è assimilabile de jure a un aborto., e il mio stupore davanti a un medico che non la padroneggi raggiunge picchi altissimi a maggior ragione perché non mi viene in mente una teoria etica più largamente implicata nella pratica medica: su ogni bugiardino, perfino su quello delle aspirine, la si trova denunciata sotto la voce “effetti collaterali” – ossia quell’insieme di eventualità che dalle due parti dell’alleanza terapeutica va notificato e accettato come fattore di rischio ammissibile nella cura.

Quanto detto per l’aspirina viene spinto all’estremo in caso di cure palliative, quando la prognosi è apertamente infausta e lo scopo non è più contrastarla bensì giungere a fondo corsa in modo responsabile e umano. Ovvio: tutto ciò implica che l’alleanza terapeutica si ponga a considerare scelte che de facto potranno comportare un futuribile accorciamento dell’aspettativa di vita a vantaggio di una sua migliore qualità (ma questo è implicito già nel passaggio dalle cure terapeutiche alle cure palliative, quando il medico smette di essere lì per cercare di guarire e continua “soltanto” a curare). Se però producessimo davvero l’equazione tra il piano de facto e quello de jure giungeremmo all’assurdo di dire che “non accanirsi” è esattamente lo stesso che “uccidere”.

Intermezzo storico-filosofico

Quasi esattamente un anno fa traducevo integralmente la famosa intervista di Jacques Attali a Michel Salomon, del 1981, rilasciata in merito al libro “L’Ordre Cannibale”, anteriore di due anni. In uno dei passaggi più discussi del colloquio il pensatore francese diceva:

L’eutanasia sarà uno degli strumenti essenziali delle nostre società future, qualunque cosa possa capitare. In una logica socialista, per cominciare, il problema si pone come segue: la logica socialista è la libertà, e la libertà fondamentale è il suicidio; di conseguenza, il diritto al suicidio diretto o indiretto è quindi un valore assoluto in questo tipo di società. In una logica capitalista, delle macchine per uccidere – delle protesi che permetteranno di eliminare la vita quando essa sarà troppo insopportabile o economicamente troppo costosa, vedranno la luce e saranno cose di pratica quotidiana. Io penso quindi che l’eutanasia, che sia un valore di libertà o una merce, sarà una delle regole della società futura.

Lo scrittore avrebbe citato per diffamazione (e vincendo le relative cause) quanti negli anni avrebbero citato questo passaggio come se in esso egli avesse espresso un proprio personale auspicio: è invece evidente che (al di qua delle convinzioni personali di Attali) l’analisi era volta a indicare che tutto il panorama politico contemporaneo (i “socialisti” come i “capitalisti” – era ancora il 1981…) convergeva, pur nell’eterogenesi dei fini, verso l’istituzione dell’eutanasia di Stato.

A questo punto la brava oncologa che però considera le cure palliative eticamente equiparabili all’eutanasia mi pare meno inspiegabile di come l’ho giudicata sul momento: lo stesso dicasi per l’Affaire Lambert, i casi inglesi di Charlie, Isaiah, Alfie e per chissà quanti altri… nulla avviene per caso, poiché le parti (tuttora formalmente distinte) dell’unico partito radicale di massa tengono concordemente la barra del timone fissa su quella rotta.

L’avanzamento verso quella meta comporta il progressivo oblio (e viceversa la crescente irrisione) del concetto di persona come valore-in-sé e fonte-di-valore. Per questo trovo ragionevole diffidare dell’opzione di “contaminazione culturale” all’interno delle relative culture politiche: la sinistra è maggiormente egemone, sul piano culturale, perché per decenni e decenni s’è dedicata all’elaborazione di una propria Weltanschauung, ma la destra cova (ugualmente benché più implicitamente) degli enzimi che aggrediscono ogni filosofia personalista.

L’incredibile audacia di dire (e cantare!) la cura umana ai morenti

E poi all’improvviso, fra i marosi di queste considerazioni desolanti, m’è giunto un raggio di luce da Occidente: su quegli argomenti di cui facciamo fatica a discutere, da quanto i temi sono pesanti e le posizioni sclerotizzate, qualcuno ha osato cantare. Cantare e ballare, perfino, dopo aver scritto, suonato, registrato e inciso la cover di un tormentone della scorsa estate, pubblicando il risultato su YouTube! Donde è venuto un tanto inatteso e audace gesto? Da persone al di là di ogni schieramento ideologico, ovvero da quanti ogni giorno stanno nella trincea delle cure palliative.

A La Chataigneraie, comune dell’entroterra vandeano che non arriva ai tremila abitanti, il personale medico e paramedico del Centre Hospitalier des Collines Vendéennes è intervenuto nel dibattito nazionale intorno al fine-vita: in occasione dell’annuale congresso della Société Française d’Accompagnement et de Soins Palliatifs, che per l’edizione del 2019 si svolgerà al Palais des Congrès de la Porte Maillot di Parigi dal 13 al 15 giugno, l’équipe dell’ospedale vandeano ha scritto una canzone3La stessa era già stata presentata il 23 maggio u.s. alla Journée régionale Soins Palliatifs di Angers. che si è fatta molto ascoltare, in Francia, e di cui molto si è parlato: il canale YouTube dell’ospedale esiste da un mesetto ed è stato creato appositamente (nonché unicamente, per ora) al fine di caricare e condividere questo contenuto. Che un tanto esiguo strumento abbia nel frattempo raccolto un’ottantina di followers, più di ottocento like e poco meno di sessantamila visualizzazioni è un dato in sé degno di nota e di riflessione.

La presentazione del video, caricato il 13 maggio u.s., è semplice e diretta:

In un contesto come quello attuale, difficile per gli stabilimenti di cure, abbiamo mobilitato le competenze di ciascuno, senza con ciò venir meno ai nostri doveri quotidiani. Questo progetto ha rinforzato la coesione della nostra équipe di cure palliative ed ha permesso a tutti di trovarvi un senso, tanto artistico quanto professionale.

Sotto a video e testo di presentazione figurano attualmente poco più di trenta commenti: vale la pena riportarne qualcuno:

  • Super! Sono aiuto infermiere […]. Nel vostro discorso ritrovo la nostra motivazione e la nostra etica, e in questo momento ne abbiamo tanto bisogno. Un passo avanti e tre indietro, e penso soprattutto alle famiglie che vengono pilotate… Siamo solidali! Non perdiamo il filo per i pazienti, le loro famiglie e le nostre idee benevole e tolleranti.
  • Grazie per il vostro bel mestiere! Siete pagati e riconosciuti troppo poco per tutto il vostro lavoro, ma credetemi: meritate tutto l’oro del mondo! E soprattutto tutta la nostra riconoscenza.
  • Magnifico messaggio! Mette voglia di unirsi alla comitiva! Io sono formatrice sul tema delle cure palliative… Come riassumere al meglio il vostro accompagnamento? Ho le lacrime agli occhi ogni volta che rivedo questo video… Grazie ai membri dell’équipe che mi hanno parlato del video quando li ho incontrati. Sono stata toccata dalla rappresentazione “del filo” in occasione della giornata regionale delle cure palliative. Fa tanto bene vedere un’équipe così unita! Andate avanti…
  • Bravi! Quanta debordante vita! Un fantastico progetto di gruppo! Traspira gioia! Grazie di questa bella testimonianza!
  • Bravi per questa clip piena di vita! Bravi anche per il lavoro che effettuate presso i malati: fate un bel mestiere, anche se non tutti i giorni è facile…
  • Funzionari motivati e sostenuti dall’istituzione: che messaggio di speranza! Grazie per le vostre qualità, tanto simpaticamente presentate.
  • Né accanimento né eutanasia… Bravi per questo omaggio/testimonianza che mette in primo piano l’uomo in tutta la sua vera dignità fino alla fine naturale. E giù il cappello, tutti, per la realizzazione della clip e per la vostra dedizione a un così grande progetto oltre al vostro lavoro!
  • Grandi complimenti per il lavoro che fate nel quotidiano, ma anche per questa clip che trasmette magnifici brividi di vita.
  • Non mi spingo a dire che questo metta voglia di morire… Però dà speranza! […]

Parte del successo dipende sicuramente dal fatto che la canzone è una cover (autorizzata) di À nos souvenirs, del gruppo noto con lo strambo nome di “Trois Cafés gourmands”: al lettore italiano questi titolo e nome diranno forse poco, ma la canzone è stata un autentico tormentone nazionale, nell’estate 2018, in tutto l’Esagono.

C’è insomma il “fattore-tormentone” a rendere subito orecchiabile al pubblico francese il testo della cover e intrigante il video, e il lettore italiano potrebbe farsi un’idea immaginando grandi successi della scorsa estate – quali ad esempio Da zero a cento di Baby K e Amore e Capoeira di Takagi & Ketra – utilizzati come base musicale per parlare di cure palliative.

La canzone ha struttura e sonorità tipiche delle composizioni provenzali e occitane, in cui si ravvisano vestigia della poesia trobadorica: fra questi assenza di un ritornello fisso e grande abbondanza di testo distribuito su molte strofe; si pensi che À nos souvenirs conta un’ottantina di versi, mentre Garder le fil si estende per ben ventisei quartine, ciascuna delle quali composta da due distici in rima baciata (AABB).

Al di là del grande successo, che facilita la cover nel suo farsi ascoltare ma talvolta può pure fagocitarla quando essa cerca d’imporsi, è l’argomento in sé ad essere quanto mai delicato: come si vedrà tra poco nel testo4È un dovere e un piacere ringraziare gli amici Elena Bentini, Marie-Christine Jeannenot e Jean-François Mertz per l’aiuto sostanziale che mi hanno fornito nel comprendere non pochi punti ermetici del testo, la cui sintassi è stata qua e là stiracchiata e costretta fino al proprio limite da esigenze di metrica. La traduzione invece non è metrica e talvolta scioglie in perifrasi espressioni di cui difficilmente si coglierebbe il senso con una resa letterale., riportato e tradotto, il tema delle cure palliative, ossia di una straordinaria familiarità col confine tra la vita e la morte umane, viene svolto con la disinvoltura impossibile a chiunque non vi abbia una qualche vera consuetudine.

Nel video si distingue un lenzuolo che viene tirato su una persona appena spirata e poco dopo l’intera équipe in corridoio che mima i gesti di un’orchestra con gli strumenti di lavoro usati per curare ed accudire i pazienti (e dunque flebo e asciugacapelli, ma pure pale da feci e pappagalli): insomma si passa rapidamente e senza soluzione di continuità da vette drammatiche a spunti di comicità, e con una spontaneità che sa di abituale.

Note

Note
1 Su cui molto meritoriamente già un anno fa insisteva il contributo della Conferenza Episcopale Francese, sulla cui linea si è poi disposto anche il Consiglio di Stato.
2 Il caso principe di tale dottrina, in bioetica, è l’intervento chirurgico sulla gravidanza ectopica, che pur comportando de facto la morte del feto non è assimilabile de jure a un aborto.
3 La stessa era già stata presentata il 23 maggio u.s. alla Journée régionale Soins Palliatifs di Angers.
4 È un dovere e un piacere ringraziare gli amici Elena Bentini, Marie-Christine Jeannenot e Jean-François Mertz per l’aiuto sostanziale che mi hanno fornito nel comprendere non pochi punti ermetici del testo, la cui sintassi è stata qua e là stiracchiata e costretta fino al proprio limite da esigenze di metrica. La traduzione invece non è metrica e talvolta scioglie in perifrasi espressioni di cui difficilmente si coglierebbe il senso con una resa letterale.
Informazioni su Giovanni Marcotullio 296 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

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