Solo la cura del silenzio e del respiro ci rendono concreti

di Cristina Marginean Cocis

Curate le vostre intenzioni. Fate lo sforzo di curare il primo grado di coscienza che ci è stato dato, e direi anche il più importante: il pensiero. Curate i vostri cuori! Preservateli puliti, candidi e generosi, in grado di provvedere al respiro perché l’unico in grado di renderci concreti.

Le situazioni della nostra vita sono spesso molto difficili ed ermetiche. Il bene si lascia cercare e non si rivela facilmente. Quando ci troviamo nel turbinio delle ambizioni, rischiamo veramente di confonderci e di perderci, attirati dalle esche del nostro orgoglio, dall’urgenza della nostra esistenza e ci dimentichiamo, e dimentichiamo la nostra stessa essenza di esseri pensanti.

Avete presente come e dove nasce il pensiero? Il pensiero nasce spesso fragile, scaturito da un’esitazione, da un’emozione, oppure forte, frutto di una convinzione. Nasce in silenzio e al buio, il pensiero, nasce tante volte solo e desolato.

La parola interviene, poi, e accoglie, accoglie il silenzio del pensiero, offrendogli il respiro, facendolo diventare caldo, concreto, vivo. Il respiro diventa così supporto interiore e protettivo del pensiero generato dalla mente, donandogli voce.

Perché, in verità, la vita scorre davanti ai nostri pensieri, quelli espressi e quelli muti, li sviluppa in immagini e fotografie che poi malinconicamente chiamiamo ricordi. E, prima che essi svaniscano persi nel nulla, cercano di visitare i segreti della nostra anima per lasciare un segno e, a seconda del terreno che trovano, attecchiscono e mettono radici. Il bello è che i pensieri si concretizzano sempre, diventando intenzioni o parole e in ultima istanza, fatti. I pensieri esigono di diventare concreti, vogliono la nostra vita perché nascono spinti dall’attività cerebrale e nutriti dal ritmo cardiaco per fare il loro corso, intimamente meraviglioso, parte del processo più divino che c’è. Se non espressi, i pensieri si intrufolano, sgocciolano con il sangue verso la carne e il passaggio fuori dalla mente umana rimane distaccato e muto. Forse anche Dio, ma solo per assurdo, sarebbe rimasto distaccato e muto se non ci fosse stata Maria, il respiro caldo che per eccellenza è stata in grado di dare la sua vita al pensiero più bello dell’Umanità e Dio – la Parola diventa carne. Ecco sì, Maria ha prestato il suo respiro a Dio per renderlo concreto, per farlo risuonare nelle nostre orecchie, per sostenere la Sua frequenza divina nei nostri ritmi, per renderlo concreto. Quando si parla di bambini pensate al vostro respiro e prima di parlare di aborto provate a non respirare, a non pensare, a non parlare. Se sarete riusciti a non accogliere i vostri respiri, i vostri pensieri e le vostre parole, allora sono disposta a trovare un modo per cercare delle motivazioni valide per prendere in considerazione l’aborto come forma di libertà della persona.

Allorquando vi sentite affaticati e senza parole, cercate Maria, cercatela dove vi è più comodo trovarla, nelle parole delle preghiere o più semplicemente nelle donne che hanno accolto i loro bambini senza fatica, senza considerare che sono rimaste prive delle comodità della vita, senza pensare che d’ora in poi non si potranno più divertire e saranno prigioniere della “maternità”. Esse vi stanno accanto, nel carisma femminile di prestare il respiro alle parole, quelle di conforto, di critica o di mera conversazione. Cercate Maria, cercate le spose, cercate le donne, cercate la chiesa.

Finché abbiamo le parole, abbiamo la possibilità di avere anche Dio, Lui, la Parola per antonomasia, la Parola trascendente ma anche immanente. La nostra percezione di Dio lontano che non interviene nelle nostre vite perché un “grande assente”, cambia se pensiamo a Maria, se diventiamo noi stessi il respiro che produce le parole della fede, del bene, se sgeliamo di cambiare il punto di vista ed essere i protagonisti dei nostri pensieri.

Lo psicopedagogista Giaccomo Nicolodi mi ha fatto osservare che quando un bambino si sente bravo in qualcosa dice “mamma, guardami!”, “papà, guardami!” non ci chiede “sono bravo?”. Lui vuole sapere che c’è nelle nostre menti che intimamente risiede nei nostri pensieri. Probabilmente lo stesso algoritmo si ritrova nel nostro rapporto con Dio… ci dovrebbe bastare sapere che noi siamo amati senza chiedere dimostrazioni o prove scientificamente verificate. Noi, così come i bambini, siamo nel Suo pensiero, vicino al Suo cuore, sotto il Suo sguardo. Quando Gesù ci chiedeva di tornare ad essere come i bambini probabilmente si riferiva a questo poiché nessun bambino non ha mai chiesto ai genitori la prova del loro amore, ha chiesto solo di esistere prima di tutto nei loro pensieri cioè nella stessa essenza della nostra umanità.

 

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