Oggi esaltiamo la Santa Croce: perché Dio non ci ha amati per scherzo

Quadro del portale ligneo della basilica di Santa Sabina sull'Aventino raffigurante la Crocifissione. Senz'altro tra le prime testimonianze iconiche del culto cristiano del Crocifisso.

Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi…

La traduzione dal greco più felice del testo è, a nostro parere, quella che ha la Bibbia di Gerusalemme: «Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome…»

Se è vero infatti che il fatto storico della crocifissione ha precise coordinate storiche, ed è questo probabilmente il senso che vuole dare la attuale traduzione del Lezionario festivo, è anche vero che i gesti di Dio sono anche meta-storici e simbolici. Non è la teologia a dirlo quanto anzitutto la Sacra Scrittura stessa. I gesti e i fatti di Dio sono un paradigma in cui l’agire di Dio è l’eternità che entra nella storia”,o meglio il presente di Dio” che si fa tempo nel tempo degli uomini.

Cosa significa per noi oggi? Cosa significa questo?

Significa molte cose e cominciamo solo nel balbettarne qualcuna.

Cristo obbediente, umiliato fino alla morte di Croce esprime storicamente e “meta-storicamente” che Dio ama così.

Vuoi sapere come ama il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo?

Dio scende, si umilia e si dona senza riserve per l’uomo.

Dio ama l’uomo a tal punto che l’uomo stesso diventa, per la potenza della misericordia di Dio, il dio di Dio.

Così come aveva colto Francesco di Assisi e la spiritualità a lui successiva e semi contemporanea dei “cantori” in lauda.

L’uomo è così prezioso e unico per Dio che lo porta ad una discesa, ad una kenosis inimmaginabile per noi.

Non è una kénosis di necessità o di debito ma una decisione ed un movimento che nasce dall’Amore.

Dio dunque è il solo umile. Ed è al contempo la Via dell’umiltà; strada e compimento della pienezza dell’amore che si dona.

La nostra più che essere umiltà – quando è veramente tale – è piuttosto realismo.

Solo Dio, infatti, scende veramente dalla sua condizione regale e indicibile per farsi servo.

Esaltare la croce vuol dire allora riconoscere e sforzarsi di vedere chi è Dio. Come Egli ama e attingere a questa fonte di grazia.

Ogni dileggio al crocifisso porta infatti una matrice satanica di invidia, di ignoranza e di gelosia perversa che non vuole vedere ciò che smuove il cuore e lo scandalizza positivamente:

Dio si umilia, si dona e muore per te.

Negare il crocifisso o svilirlo nella moda, relativizzarlo come oggetto qualunque in un ambiente, significa negare all’uomo di comprendere la sua reale dignità che sta, appunto, in Dio che è morto per lui.

Anzi per ognuno. Per due occhi, per un volto, per una indissolubile unicità che è la tua, che, per quanto disastrata e immeritevole, ha guadagnato che uno e uno soltanto morisse d’amore per te.

L’unico modo per cui tu potessi avere la vita, e in sovrabbondanza. 

Dio in Cristo non si è fatto distrarre dal tuo peccato ma ti ha amato nonostante il tuo peccato.

Dire “ti ha amato”, anche qui, non ha solo valore storico ma eterno: ora Dio ti ama così.

Ti ama ora così nonostante il tuo peccato e la tua miseria.

Questo sguardo di amore ti rende grande. Egli è la tua civiltà e la tua cultura. È la tua dignità con cui andare a testa alta e, come Francesco, sentirsi gioiosamente figli del Re.

Il peccato ingarbuglia l’uomo, la grazia umile di Cristo crocifisso lo semplifica dal di dentro.

E lo guarisce sempre più radicalmente.

La distrazione e l’omissione alla contemplazione di questo mistero fondante è il primo peccato perché porta in sé una moltitudine di miserie con cui corolliamo e nutriamo la nostra vita.

I nostri amici e fratelli, i santi, ci insegnano invece che qui sta la salute, nel contemplare quotidianamente l’Amore crocifisso che cambia la storia e la porta a compimento;

sia quella microscopica di ciascuno di noi che quella macroscopica dell’umanità.

Egli si è fatto peccato, come il serpente sull’asta (Num 21,8-9), perché l’uomo guardando a Lui abbia salvezza e amore e non la morte che viene dal peccato.

Perché l’uomo abbia finalmente il volto non più confuso ma raggiante di quella gioia intima e gloriosa di cui parla l’apostolo Pietro (1Pt 1,6-9).

Solo nel compimento dell’Incarnazione poteva arrivare il vertice della Redenzione in cui Cristo si addossa tutto il peccato dell’uomo, di ogni tempo e di ogni luogo, tanto da apparire “verme e non uomo” (Ps 22,7) quasi fosse, a tutti gli effetti e non per figura, peccato Egli stesso senza, però, nel contempo, alcun legame con il peccato.

È un abisso di amore incomprensibile ed è ben poca cosa quanto detto da Gesù a Santa Angela da Foligno: «Non ti ho amato per scherzo».

Perché la Croce è molto di più. La Passione, Morte e Resurrezione è infinitamente di più. Abbacinante nel suo fulgore. Silenziosa nel suo pudore.

Solo così poteva essere effusa la Grazia metatemporale che squarcia la storia e ri-immette l’uomo nel circuito dell’Eternità per cui l’uomo stesso è stato pensato nel Verbo incarnato.

Ed è paradossale vedere che la storia cambia quando anche un solo uomo o una sola donna, uno soltanto, guarda alla croce per carpirne i misteri e vivere in essi.

Questa è l’opera di Dio che è sopra ogni pianificazione pastorale ed è l’unica via…

quella del guardare l’amato come fonte e gioia di perfezione e di pienezza di vita.

Qui si fonda la nuova evangelizzazione e il rinnovamento costante della Chiesa.

«Per le sue piaghe siamo stati guariti».

1Pt 2,24-25

Nelle sue piaghe siamo testimoni.

Benedette le stimmate che portiamo nei suoi fori.

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