Il filosofo amico di Benedetto spiega il significato dell’Anticristo

(Tratto da Pepe. Blog di provocazione e passione umana)

È da poco uscita in Germania la monumentale biografia (più di mille pagine) del papa emerito Benedetto XVI: Ein Leben. Benedikt XVI (“Una vita. Benedetto XVI”). L’autore di questo immenso lavoro è Peter Seewald, giornalista di lungo corso per varie testate tedesche (Stern, Spiegel, Süddeutsche Zeitung) che ha già prodotto diversi libri-intervista con Joseph Ratzinger, anche prima della sua ascesa al soglio pontificio: Sale della terra (1996), Dio e il mondo (2001), Luce del mondo (2010), Ultime conversazioni (2016). Nessuno meglio di lui poteva dunque cimentarsi in una simile opera, che si conclude con una intervista risalente a colloqui intercorsi nel 2018.  

Il portale LifeSite News ha anticipato l’uscita del libro pubblicando lo screenshot di due pagine di intervista, presto divenute “virali”, in cui il papa emerito allude al dilagante potere spirituale dell’Anticristo. Le riproduciamo con una nostra traduzione:

Peter Seewald: Una frase tratta dalla predica in occasione del suo insediamento è rimasta particolarmente impressa: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi». Aveva previsto ciò che ancora  le sarebbe accaduto?

Benedetto XVI: Anche in questo caso devo dire che il raggio di cose di cui un papa può avere qualcosa da temere viene inteso in maniera oltremodo ridotta. Naturalmente faccende come «Vatileaks» sono incresciose e soprattutto incomprensibili, nonché al sommo grado sconcertanti, per gli uomini del mondo. Ma la vera minaccia per la Chiesa e quindi per il ministero petrino non risiede in queste cose bensì nella dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanitarie, opporsi alle quali significa l’esclusione dal consenso fondamentale. Ancora cento anni fa chiunque avrebbe considerato assurdo parlare di matrimonio omosessuale. Oggi chi vi si oppone viene scomunicato socialmente.  Lo stesso vale per l’aborto e la produzione di esseri umani in laboratorio. La società moderna sta formulando un credo anticristico, opporsi al quale verrà punito con la scomunica sociale. Il timore di questo potere spirituale dell’Anticristo allora è più che naturale e per resistervi serve davvero il sostegno orante di un intero episcopato e della Chiesa universale.

Il pensiero corre subito alle parole – dal sapore di una profezia – pronunciate, ancora da cardinale, in quella celebre omelia del 18 aprile 2005:

Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.

Parole incomprensibili ai tanti cristiani secolarizzati del XXI secolo, ormai avvezzi alla separazione tra la regione dello spirito e quella della politica. Non è così per Benedetto XVI, che ha sempre attentamente meditato la relazione tra il potere oscuro dell’Anticristo e lo sviluppo di una tirannia totalitaria.

Nella sua biografia Seewald ricorda come Joseph Ratzinger si sia sempre occupato non solo della crisi della fede cristiana in epoca moderna ma anche di scenari avveniristici che in senso lato potremmo definire apocalittici. Tra le sue letture preferite in questo campo il biografo menziona 1984 di George Orwell e Il Mondo nuovo di Aldous Huxley, due classici del genere distopico che ci parlano di uno stato totalitario che impedisce il pensiero e fabbrica artificialmente la vita. Tra le opere menzionate c’è anche il Padrone del mondo di Robert Hugh Benson, nel quale il protagonista (l’inobliabile Julian Felsenburgh) instaura una dittatura mondiale anticristica nel nome della libertà. 

Nel periodo passato a insegnare teologia dogmatica nella prestigiosa università di Tubinga, un’altra lettura fondamentale è di nuovo un grande classico del genere come il Breve racconto dell’Anticristo di Vladimir Solov’ev, vera e propria “distopia teologica” destinata a essere più volte menzionata nelle opere ratzingeriane a partire da Schriftauslegung im Widerstreit (“L’interpretazione della Scrittura in conflitto”) dove il futuro Benedetto XVI si permette di ricordare, con una punta di autoironia, come l’Anticristo del romanzo di Solov’ev avesse ottenuto un dottorato in teologia proprio a Tubinga…

Seewald ci racconta anche l’amore di Joseph Ratzinger per la filosofia, da lui sempre considerata una fonte di ispirazione per la propria teologia. Un amore coltivato fin dai tempi dei suoi studi a Frisinga, dove nel 1946 comincia a studiare filosofia e teologia. Tra le letture filosofiche di Ratzinger c’è Eric Voegelin (1901-1985), il politologo tedesco-americano che ha sviluppato il tema delle “religioni politiche”. Altro tema centrale della riflessione di Voegelin – e che troverà ampio spazio anche in quella ratzingeriana – è l’idea che solo un riferimento al campo del religioso possa salvaguardare lo stato democratico dalle sirene di ideologie pseudoreligiose e dalle loro ingannevoli promesse di una salvezza secolare.  

Josef Pieper

Ma c’è soprattutto un pensatore col quale Ratzinger ha costruito un rapporto speciale: è Josef Pieper (1904-1997), uno dei più grandi filosofi tedeschi del XX secolo. I due, racconta Seewald, si incontrano a Münster, al principio degli anni ’60. Pieper ha raccolto attorno a sé un circolo di professori e anche Ratzinger, arrivato nella città renana per insegnare dogmatica, finisce per aggiungersi al gruppo. Le lezioni di Pieper, un riformatore che cerca di reinterpretare il pensiero di Tommaso d’Aquino, affascinano il pubblico. «Era per Münster ciò che Guardini era per Monaco», ricorda papa Benedetto nelle Ultime conversazioni.  

La sua opera Über die Liebe (“Sull’amore”) esercita un forte e durevole influsso sul pensiero ratzingeriano. Apprendiamo anche che i suoi libri sulle virtù cardinali, come riconosce lo stesso Ratzinger, sono alcune delle prime opere filosofiche affrontate dal giovane professore di teologia. I libri di Pieper animano in lui la passione per il pensiero filosofico e «la gioia per una ricerca razionale delle risposte alle grandi domande della nostra vita».

Dato che si parla di Anticristo e totalitarismo, non si può non ricordare che pure Pieper si sofferma su questo nesso nella sua meditazione filosofica sulla storia dal titolo Über das Ende der Zeit (“Sulla fine del tempo”; tradotto in italiano da Morcelliana come la maggior parte delle opere di Pieper).

Per Pieper la «signoria dell’Anticristo» (Herrschaft des Antichrist) indica lo stadio terminale del tempo. Per comprendere cosa significhi questa espressione la sola filosofia non basta, fa notare Pieper. Quanto più un concetto ha relazione con le cose ultime, tanto più occorre che la filosofia si rifaccia alla teologia.

Nella visuale di Pieper – che unisce i pensatori della tradizione, primo fra tutti San Tommaso1In particolare i commenti dell’Aquinate alla Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Commento alla Seconda Lettera ai Tessalonicesi in Commento al Corpus Paulinum, vol. V, cap. 2, lezioni 1-3, ESD, Bologna 2008., alle intuizioni di «diagnostizzatori» moderni come Ernst Jünger – l’Anticristo è una figura enigmatica al servizio del «principe di questo mondo», la potenza demoniaca presente e operante nella storia. Egli è in definitiva un Doppelgänger di Cristo: uno Pseudo-Cristo, il suo doppio maligno e pervertito, la «rovesciata imitatio Christi, la rovesciata imitazione del Signore verace»2Josef Pieper, Sulla fine del tempo, tr. it. Morcelliana, Brescia 1959, p. 128..

Proprio per questo, ricorda Pieper, non bisogna mai dimenticare che il «principe di questo mondo», pure in tutta la sua potenza storica, non è il «signore della storia» ma solo una spettrale controparte. In fondo, l’Anticristo è un «vinto» predestinato ad essere «superato dal Logos fatto uomo» che, avendo già sopravanzato il peccato ereditario, «in e per questo superamento, è anche il superatore dell’Anticristo»3Ivi, p. 118..

Ciò non toglie che il maligno eserciti una reale e terrificante potenza nella storia. Cristo stesso non corregge affatto il tentatore quando gli mostra la gloria dei regni terreni e dice che essa «è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio» (Lc 4, 6).

Attenzione dunque: l’Anticristo non è un «eretico», cioè una figura che esercita la propria negatività solo all’interno della storia della Chiesa e della quale il mondo esterno potrebbe pure al limite disinteressarsi. No, l’Anticristo è ben più che un nemico pubblico ecclesiale. È un «potente della terra». La forza mondana (la potentia saecularis) è il suo strumento proprio4Ivi, p. 120.. Egli non è nemmeno un anarchico o un fomentatore del caos. È, semmai, il reggitore di un ordine nichilistico5Pieper rimanda qui alla distinzione operata da Ernst Jünger in Strahlungen (tr. it. Irradiazioni, Diario 1941-1945, Guanda, Parma 1993) tra nichilismo e anarchia. Il discrimine di capitale importanza tra le due ideologie, afferma Jünger, sta nella loro differente posizione di fronte all’ordine, «che manca agli anarchici, mentre contraddistingue i nichilisti». La distinzione d’altro canto non è sempre chiara dato che il nichilismo rispetto all’anarchia è «mimetizzato meglio». Jünger ritorna sulla distinzione – per meglio articolarla – in Über die Linie dove scrive che «il nichilismo può senz’altro combinarsi armonicamente con sistemi d’ordine di grandi dimensioni, e che anzi è la regola che esso sia attivo e dispieghi la forza in tali sistemi. L’ordine è per il nichilismo un terreno fertile, che esso rimodella per i propri fini» (Oltre la linea, tr. it. Adelphi, Milano 2004, p. 61). Tra i sistemi di grandi dimensioni a rischio di deriva nichilistica Jünger annovera lo stato e l’esercito, che «diventano più idonei all’azione nichilistica quanto più svanisce in essi l’antico nomos, inteso come tradizione» (p. 62).. Più che predicare il male, falsificherà il bene. Come scrive Pieper, «sullo sfondo della fine si accampa l’immagine di una signoria fornita di smisurata potenza la quale certamente, vista nella sua più verace natura, non fonda alcun ordine genuino»6Sulla fine del tempo, cit., pp. 120-121.. Siamo di fronte a uno «pseudo-ordine mantenuto con l’uso della forza»7Ivi, p. 121..

L’inganno avrà successo grazie alla perfetta organizzazione dell’edificio sociale, nel quale l’apparato tecnico – della produzione di beni fino all’igiene – unito a una eccezionale potenza propagandistica darà l’immagine di un ordine vero e genuino.

Questa esaltazione mistica della forza tende, per sua logica interna, ad estendersi illimitatamente su tutta l’umanità: l’Anticristo aspira a diventare signore del mondo e a esigere l’adorazione universale delle genti. La signoria mondiale dell’Anticristo, ci dice Pieper, «realizzerà sulla terra uno smisurato potenziamento della forza, e non soltanto extensive, ma soprattutto intensive. Lo stato mondiale dell’Anticristo sarà uno stato totalitario in senso estremo»8Ivi, p. 123..

Il totalitarismo è un pericolo implicito nella struttura di uno stato mondiale, vale a dire uno stato che per definizione è privo di «vicini»9Questa condizione segna anche la fine della politica. Pieper ricorda le parole di Marx in Miseria della filosofia (cap. II, § 5) quando sostiene che nello stadio finale della storia «non vi sarà più potere politico propriamente detto».. È il rischio di ogni impero: quando una dominazione tende ad essere universale si riducono le possibilità di fuggire altrove. Non ci saranno più vere guerre esterne ma solo operazioni di polizia interna che verrebbero inesorabilmente a somigliare a operazioni di pulizia come la disinfestazione di insetti nocivi.

In sostanza, la signoria anticristica porterà a pieno compimento l’ipermondo: il mondo aumentato, intensificato, ultratecnologico. Porterà una pace e un benessere mai visti in precedenza, ma senza accompagnarli a giustizia e carità. La fusione della potenza militare, politica e economica si allargherà a quella mediatico-propagandistica: l’Anticristo vorrà essere adorato. Non gli basterà essersi impadronito dell’esistenza fisica di ogni singolo uomo, vorrà affermare le sue pretese anche nella sfera della sua religiosità personale.

Il successo esteriore di questo regime sarà immenso, riconfermando così il carattere dell’Anticristo come Pseudo-Cristo. La sua sarà una falsa santità, una imitazione menzognera, ma terribilmente seducente, della vera santità di Cristo. Il «nemico del mondo» apparirà allora la Chiesa, in un’ultima terribile persecuzione prefigurata da tutte le persecuzioni anticristiane della storia.

La meditazione sull’Anticristo ci rammenta che la Chiesa, se vorrà scrutare i segni dei tempi, dovrà sempre tenere d’occhio quanto accade nel mondo della politica. Non potrà mai essere radicalmente impolitica. Il cristianesimo non è uno spiritualismo disincarnato.

Note

Note
1 In particolare i commenti dell’Aquinate alla Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Commento alla Seconda Lettera ai Tessalonicesi in Commento al Corpus Paulinum, vol. V, cap. 2, lezioni 1-3, ESD, Bologna 2008.
2 Josef Pieper, Sulla fine del tempo, tr. it. Morcelliana, Brescia 1959, p. 128.
3 Ivi, p. 118.
4 Ivi, p. 120.
5 Pieper rimanda qui alla distinzione operata da Ernst Jünger in Strahlungen (tr. it. Irradiazioni, Diario 1941-1945, Guanda, Parma 1993) tra nichilismo e anarchia. Il discrimine di capitale importanza tra le due ideologie, afferma Jünger, sta nella loro differente posizione di fronte all’ordine, «che manca agli anarchici, mentre contraddistingue i nichilisti». La distinzione d’altro canto non è sempre chiara dato che il nichilismo rispetto all’anarchia è «mimetizzato meglio». Jünger ritorna sulla distinzione – per meglio articolarla – in Über die Linie dove scrive che «il nichilismo può senz’altro combinarsi armonicamente con sistemi d’ordine di grandi dimensioni, e che anzi è la regola che esso sia attivo e dispieghi la forza in tali sistemi. L’ordine è per il nichilismo un terreno fertile, che esso rimodella per i propri fini» (Oltre la linea, tr. it. Adelphi, Milano 2004, p. 61). Tra i sistemi di grandi dimensioni a rischio di deriva nichilistica Jünger annovera lo stato e l’esercito, che «diventano più idonei all’azione nichilistica quanto più svanisce in essi l’antico nomos, inteso come tradizione» (p. 62).
6 Sulla fine del tempo, cit., pp. 120-121.
7 Ivi, p. 121.
8 Ivi, p. 123.
9 Questa condizione segna anche la fine della politica. Pieper ricorda le parole di Marx in Miseria della filosofia (cap. II, § 5) quando sostiene che nello stadio finale della storia «non vi sarà più potere politico propriamente detto».

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