Le inestimabili lezioni di mio nonno Vincenzo

Alessia d'Anselmo a Civitaquana
Alessia d’Anselmo

Mio nonno Vincenzo ha sempre detto che se avesse potuto tornare indietro avrebbero scelto di non farlo.

Se però fosse stato costretto a tornare indietro avrebbe scelto di nuovo la vita che ha fatto.

Mio nonno Vincenzo era un contadino.

Mio nonno Vincenzo è sempre stato bello, di quella bellezza fatta di forza e gentilezza. Quella bellezza che sa di un mondo antico.

Bastava guardargli le mani per capire questa bellezza.

Le mani di mio nonno sono state sempre le più belle che io abbia mai visto. Grandi. Dita affusolate e unghie perfette.

Mio nonno lavorava la terra, faceva un lavoro che chi ha poco intelletto definisce sporco.

Le mani di mio nonno erano sempre pulite e con l’odore della terra, quella che ha coltivato per una vita e a cui lui rinnovava la vita ogni anno.

Anno dopo anno per ben 87 anni.

La mani di mio nonno Vincenzo erano mani forti con cui l’ho visto prendere, sollevare, spostare enormi pesi da quando lo conosco. Il peso delle bestie, delle balle di fieno, dei sacchi di grano.

Le mani di mio nonno Vincenzo erano mani gentili che accarezzavano fiori e facevano crescere piante finanche i pomodori a dicembre. Come quelli che abbiamo raccolto qualche giorno fa.

Le mani di mio nonno Vincenzo erano mani delicate che per me hanno avuto sempre una carezza, sulla guancia e sul cuore quando gliele osservavo.

Mio nonno Vincenzo aveva la terza media ma la sua cultura era la più grande a cui io abbia avuto il piacere e l’onore di presenziare. Parlava solo nel dialetto del suo mondo e raccontava sempre del suo mondo. Ma ancora meglio descriveva con perizia la verità del mondo di oggi, che aveva capito meglio di come lo viviamo noi.

Mio nonno Vincenzo è sempre stata una persona d’onore e di parola. Se diceva pace era pace. Se diceva guerra faceva guerra e le ha sempre vinte tutte le sue guerre. Era fumantino ma non ha mai litigato con nessuno.

Mio nonno Vincenzo era una persona che conosceva e insegnava il rispetto. Tempo fa gli chiesi come faceva a togliere la vita a quegli animali che con tanto amore lo vedevo farli nascere e farli crescere. Ho visto mio nonno versare lacrime in sole due occasioni, quando morì suo fratello e quando gli morì un vitellino qualche settimana dopo averlo fatto nascere.

Lui mi rispose dicendomi che riusciva a farlo solo mettendoci rispetto: «Io li accudisco in vita e loro permettono a me di vivere sacrificandosi con la morte».

Io non ho ancora capito cosa volesse dire, ma so che anche in questo c’è saggezza e c’è rispetto. Forse una sorta di conoscenza antica che mi chiarisce ancora una volta il concetto della ciclicità della vita. Si va e si viene. Si muore e ci si rigenera. Un po’ come quello che sta succedendo adesso.

Mio nonno Vincenzo era un uomo orgoglioso e fiero. Orgoglioso della vita che ha condotto. Fiero della sua famiglia.

Mio nonno Vincenzo ha accudito mia nonna per più di 60 anni e insieme hanno costruito case, futuro e ricordi.

«Io, figlio d’una casalinga e di un impiegato
Cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna
Che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia
Io, tirato su a castagne ed ad erba spagna
Io, sempre un momento fa campagnolo inurbato
Due soldi d’elementari ed uno d’università…» (F. Guccini).

Mio nonno Vincenzo ha gestito la sua vita e preso scelte e decisioni per garantire ai suoi due figli, mio padre e mio zio, la vita migliore che poteva dare loro. E così è stato! Le sue guerre, appunto, le ha sempre vinte!

Mio nonno Vincenzo ha dedicato la sua vita al lavoro e alla famiglia non dimenticando mai di lasciarsi il tempo per una partita a carte o per fare festa con gli amici. Mio nonno ha sempre detto di non aver mai sacrificato niente veramente perché ha saputo quando era il momento di lavorare e quando era il momento di fermarsi ad offrire un bicchiere di vino e berselo anche lui.

Mio nonno Vincenzo con la grazia nelle mani età un poeta della terra: tutto attorno a lui era sempre verde e fiorito in qualsiasi stagione dell’anno.

Io l’ho sempre visto piegato con eleganza e fierezza a zappare o a seminare qualcosa.

Lo vedevo spesso osservare l’orizzonte appoggiato alla sua zappa mentre pensava a chissà che cosa. Credo che in quei momenti non faceva altro che assaporare il senso della vita e respirare la soddisfazione della sua.

Mio nonno Vincenzo mi ha portata in giro per tutt’Abruzzo. Andavamo per feste ad onorare i santi e le tradizioni.

Mio nonno Vincenzo mi portava alle feste e saliva con me sulle giostre perché il mio papà non c’era mai quando ero piccola. Mio nonno Vincenzo mi comprava il gelato e mi insegnava ad intrecciare aglio e cipolle.

C’erano solo certezze quando stavo a casa dei mie nonni, tra cui quella dell’ovetto. Usciva tutti i giorni e tutti i giorni me ne riportava uno. L’ultimo me lo ha regalato qualche giorno fa.

Mio nonno Vincenzo mi veniva a riprendere quando tornavo a casa con lo scuolabus e il pomeriggio mi portava con sé dalle mucche. Metteva il mio secchiello capovolto per terra e mi faceva sedere all’ingresso della stalla, lontana da vitelli che potevano scalciare. Mentre lui faceva le faccende parlavamo. Mi diceva quasi tutti i giorni che prima o poi quelle mucche le avremmo spostate e che in quella stalla ci avremmo messo un bar. Io gli dicevo che mi sarebbe piaciuto di più un ristorante.

Qualche anno più tardi, in un’altra stalla io e il mio papà ci abbiamo costruito CasaMè.

Quando uscivamo dalle mucche andavamo a pascolare le pecore.

Sono cresciuta così io. Con mio nonno Vincenzo. In mezzo ai campi ed in mezzo agli animali. In un mondo bucolico sempre verde e sempre fiorito. Perché era lui che ci metteva la mano.

Al tempo di San Giovanni ci sedevamo all’ombra della noce e mi raccontava storie.

Raccoglievamo le noci che erano a terra e mentre raccontava rompeva le noci con le pietre. Lui raccontava ed io mangiavo e lo ascoltavo.

È stato il periodo più bello e sereno della mia vita perché c’era mio nonno a proteggermi ogni giorno.

Mio nonno Vincenzo che è un vincente ce l’ha nel nome.

Da vincente ha vissuto la sua vita, da vincente mi ha cresciuta e da vincente se n’è andato.

Oggi ha indossato il suo camice da lavoro, quello che ha sempre indossato da quando lo conosco. Blu con le sue iniziali ricamate con il filo bianco da mia nonna.

È andato a fare il giro delle stalle come ogni mattina. Ha allattato l’ultimo vitello e dopo aver concluso il suo dovere ha salutato il mondo e se n’è andato a coltivare i campi di DellàdaMonne.

Mio nonno Vincenzo è stato il nonno migliore che io potessi mai avere.

Mio nonno Vincenzo mi ha insegnato praticamente tutto quello che sono.

Mi ha insegnato l’orgoglio della puzza di stalla e l’importanza e la dignità delle cose semplici.

Mi ha insegnato il rispetto verso me stessa e la grandezza.

Mio nonno Vincenzo era quello che, fino all’ultima volta che abbiamo mangiato insieme, si toglieva il cibo dal suo piatto per metterlo nel mio poiché mi vedeva troppo magra e mi diceva “Tu lavori troppo e non va bene. Io lo so come funziona. Quando ti dimentichi di mangiare tu vieni qua che ci pensiamo noi”.

Io porto il suo cognome e il suo sangue con orgoglio da 31 anni e li porterò con onore e con la fierezza dei D’Anselmo fino alla fine di questa vita terrena quando finalmente ci reincontremo dall’altra parte.

Prima di qualsiasi cosa io sono sempre stata la nipote di Vincenzo!

La vita che ho scelto la devo a mio nonno Vincenzo!

La famiglia che possiedo la devo a mio nonno Vincenzo!

La famiglia che creerò e che porterò avanti la dedicherò a mio nonno Vincenzo!

Tutto quello che sono lo devo a mio nonno Vincenzo, l’uomo che mi ha cresciuta e che mi ha amata più di ogni altra persona al mondo. L’uomo che mi ha insegnato cos’è il vero amore.

Sarebbe stato sempre troppo presto o troppo sbagliato il momento per dirti ciao, caro nonno.

Quindi hai deciso di farlo con onore e dignità e nel modo migliore anche per noi. Una mattina di primavera, nella stagione più bella quella in cui le rondini tornano a casa, facendo quello che ti è sempre piaciuto fare senza dare troppi pesi e dispiaceri a noi altri lasciando solo i dovuti dispiaceri.

Anche per come te ne sei andato dobbiamo dirti grazie. Io ti dico grazie perché andandotene in pace mi hai permesso di accettare il fatto che io e te non ci vedremo più.

Una giovane abruzzese ricorda e saluta il nonno, passato a miglior vita una settimana fa. Gratitudine e fierezza nelle sue parole.

Anche nella morte mi hai voluto insegnare qualcosa, che la sofferenza e il dolore non sono cose che vanno sempre con la rabbia.

Per la prima volta nella mia vita sto soffrendo ma non sono arrabbiata. Soffro e sorrido di cose belle.

Esattamente due mesi fa ballavamo a Saltarella insieme al mio compleanno e oggi siamo qui a salutarci io e te.

Mi sarei sacrificata io per te, te l’ho sempre detto, ma non me l’hai lasciato fare te ne sei voluto andare prima tu. Quindi continuerò a ballare quella Saltarella per te come ho sempre fatto.

Ovunque tu sia andato non mi abbandonerai mai, non ci abbandoneremo mai io e te.

Torneremo a pascolare le pecore insieme. Nei pomeriggi d’estate. Sotto l’ombra della noce. Mentre guardiamo la Majella. Tu mi sbucci le noci con i sassi, io ti guardo e sono felice perché so che tu sei con me.

Il tempo è la cosa più preziosa che possiamo donare. È la cosa più preziosa che possiamo ricevere.

Grazie per questi 31 anni insieme.

Ti voglio bene nonno.

Vincenzo D’Anselmo, mio nonno ❤️

17 dicembre 1935

11 aprile 2023

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