#Halloween, la storia vera (3/4): quando arrivarono zucche e scherzetti

Nell’anno del Signore 1869, la regina Vittoria si trovò, per ventura a trascorrere qualche tempo nel castello di Balmoral, verso la fine di ottobre.
In Scozia, come già accennavo, erano ancora molto vivi i festeggiamenti popolari in occasione della notte di Halloween. Completamente privi, ormai, di qualsiasi elemento riferito al culto dei morti, l’Halloween scozzese era una notte piena di brividi e di romanticismo in pari proporzioni, nella quale si raccontavano storie d’amore e di fantasmi (o di tutte e due le cose contemporaneamente).

Nella notte di Halloween 1869, fu preparato per la regina Vittoria uno spettacolo di tutto rispetto. Dopo il calar del sole, decine e decine di figuranti che reggevano in mano una torcia accesa si radunarono davanti alle mura del castello dando il via a coreografie “di singolare bellezza e romanticismo”, così come scrivono le cronache, accompagnati dal cupo suono delle cornamuse. Davanti al castello, fu poi acceso un grande falò, retaggio di quelli che nel Medioevo avevano la funzione di preghiera per le anime purganti: in questo caso, sul falò fu mandato al rogo un fantoccio di paglia con le sembianze di una perfida strega. Il castello sarebbe stato così protetto dalle sue malìe, e i suoi reali ospiti avrebbero potuto dormire sogni sereni.

Non penso di andare lontana dal vero nel dire che la regina Vittoria fu la più grande influencer di tutti i tempi. Ho citato più volte su queste pagine il caso eclatante del vestito da sposa: nessuna s’era mai sposata in bianco, prima che Vittoria lanciasse la moda.

Non stupisce quindi venire a sapere che questa sua partecipazione alle feste di Halloween ingenerò una improvvisa crescita di popolarità per quella che ormai era considerata una festività popolare per contadinotti.
Ma se la regina Vittoria ha preso parte a questa festa, allora – ehi! – possono farlo tutti. E così, attorno ad Halloween si magnetizzano le simpatia della media e medio-alta borghesia, che, negli ultimi secoli, aveva snobisticamente evitato i festeggiamenti del 31 Ottobre.

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Più o meno nello stesso periodo di tempo, Halloween attraversa l’oceano a bordo dei transatlantici che portavano nel Nuovo Mondo i (numerosi) immigrati irlandesi.
Non è raro che, per mantenere viva la propria identità nazionale, gli immigrati si aggrappino con forza anche a tradizioni che, in terra natia, non erano poi così tanto sentite. È questo, ad esempio, il caso di Halloween: una festa che, sì, in Irlanda era popolare, ma di certo non era simbolo di identità nazionale. Lo diventa però per gli Irlandesi all’estero, che – soli, tra tutti gli immigrati negli States – celebrano con passione questa ricorrenza e cominciano a percepirla come una sorta di simbolo culturale identitario.

La cosa per noi curiosa è che l’Irlanda è un paese a tradizione cattolica – sicché è ancora piuttosto fortemente cattolica, la festa che gli Irlandesi importano nel Nuovo Mondo.
Un articolo del 1908 della rivista statunitense Good Housekeeping cita ad esempio l’usanza irlandese di festeggiare Halloween attraverso mascherate in cui bambini vestiti da fantasma giocano a nascondino con un bambino vestito da diavolo: una pratica piuttosto chiaramente cattolica, che allude – ancora una volta – a un oltretomba fatto di anime che cercano di guadagnarsi la salvezza.

Decisamente cattolica è anche una leggenda che gli Irlandesi amano raccontare ai loro figli – e cioè, quella di Jack e la lanterna.
Secondo l’antica fiaba, Jack è un uomo d’animo malvagio ma di grande astuzia, che, dopo aver vinto una partita contro il demonio, riesce a strappargli una promessa: quella cioè di non reclamare mai la sua anima per l’Inferno.
Il diavolo, sconfitto, acconsente a siglare il patto, ma il problema è che Jack ha fatto male i conti. Dopo la sua morte, viene giudicato indegno di entrare in Paradiso, e dunque neppure del Purgatorio gli si spalancano le porte. Disperato, Jack chiede ospitalità al diavolo, ma quello si è legato al dito la sconfitta e gli risponde con un secco “arrangiati”. E così, l’anima di Jack vaga ancor oggi per il mondo, in un eterno peregrinare senza tregua, senza scopo e – ahilui – senza speranza di redenzione. Talvolta è possibile intravvederlo in lontananza, nella notte, mentre Jack cammina senza meta facendosi luce al fioco lume d’una lanterna.

La suggestiva leggenda comincia a diffondersi oltreoceano e conquista la fantasia popolare, sovrapponendosi in breve tempo a un elemento che, fino a quel momento, non era mai stato associato ad Halloween, se non molto marginalmente.
E cioè: la zucca intagliata.

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Gli Americani avevano una gran passione per le zucche, che intagliavano da decadi con fantasia operosa. Nel pieno dell’autunno, le tonde cucurbitacee venivano svuotate, intagliate con forme tra le più svariate e infine trasformate in lanterne. Sennonché la lanterna non veniva accesa ad Halloween, ma faceva bella mostra di sé al pranzo di famiglia in occasione della festa del Ringraziamento.

Nel 1820, Washington Irving aveva sfruttato il tema delle zucche intagliate, ammantandolo di una allure da brividi, nel suo popolare racconto La leggenda di Sleepy Hollow (nel quale un cavaliere senza testa usa una zucca intagliata a mo’ di volto). Il successo letterario del racconto fa gradualmente nascere l’abitudine di intagliare nelle zucche volti cattivi e spaventosi.

Di lì a qualche anno, gli Stati Uniti sarebbero stati per l’appunto interessati da un fenomeno di migrazione di massa a partire dall’Irlanda. I presupposti c’erano tutti: la leggenda irlandese di Jack e la lanterna, la zucca stregata di Ichabod Crane e la consuetudine statunitense di intagliare le zucche si sarebbero fusi un’unica tradizione, dura a morire: quella delle zucche Jack-o’-Lantern, ovviamente.

Entro gli anni ’10 del ‘900, si consolida negli States un’altra tradizione – marginale, se vogliamo, ma indicativa.
Se, per tutto il corso del’800, le riviste femminili avevano suggerito alle massaie di decorare la loro tavola, in occasione delle feste di Halloween, ricorrendo a una palette di colori nelle calde tonalità del marrone, del giallino e dell’arancio, all’aprirsi del nuovo secolo questi colori hanno lasciato spazio all’accoppiata vincente arancione-nero.

È un dettaglio minuscolo ma significativo, fa notare Lisa Morton.

I colori originari avevano enfatizzato la dimensione autunnale della festa, ma, da quel momento in poi, Halloween sarebbe stata dominata dai toni cupi dei jack-o-lantern, della notte e della morte.

‘nsomma, ci siamo quasi.
Per arrivare al nostro Halloween moderno, manca all’appello giusto un elemento: la pratica del “dolcetto o scherzetto”.
Come nasce?

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Nasce, purtroppo, da spiacevoli episodi di microcriminalità che, peraltro, funzionano molto bene per sottolineare che, in fin dei conti, “tutta la Storia è paese”. Se noi pensiamo di avere problemi a gestire, oggi, fenomeni di migrazione di massa, consoliamoci pensando che in passato decisamente si stava non molto meglio.

All’inizio del ‘900, prende piede negli Stati Uniti uno sgradevolissimo malcostume che nasce nelle periferie popolate di immigrati e che si riallaccia all’antica consuetudine irlandese di fare piccoli scherzi ai vicini di casa in occasione della festa di Halloween.
Nulla più degli scherzosi dispetti che, in certe zone, da noi si fanno a Carnevale. Sennonché, negli anni, capita che gli immigrati irlandesi si facciano prendere la mano, trasformando la notte di Halloween in terra di conquista per vere e proprie baby gang che si sentono in diritto di fare la qualunque.

Come scrive Linda Morton,

con passar del tempo, la tradizione assunse contorni sempre più problematici. Un conto è limitarsi a disassemblare i cancelletti delle case (e infatti, in numerose aree, Halloween era conosciuta come “notte dei cancelli”); un conto è disassemblare tutti i cancelli del circondario, darsi appuntamento in centro città e accumulare dozzine di cancelli in un’unica catasta nel bel mezzo della Main Street.

E per capire quanto fosse effettivamente diffusa questa pratica, vi basti guardare la vecchia cartolina d’auguri per Halloween che illustra questo articolo: ci fu un tempo in cui davvero la notte del 31 Ottobre fu la notte delle zucche… e dei cancelli divelti.
Negli anni ’20, il malcostume – non più limitato alle sole comunità di immigrati – era ormai degenerato in atti di vero e proprio vandalismo: finestre spaccate, oggetti contundenti lanciati addosso ai pedoni, piccoli roghi appiccati qua e là.

Nel 1933, al culmine della Grande Depressione, i gesti vandalici furono di tale portata che molte città ribattezzarono “Halloween Nero” quel 31 Ottobre. Gli atti di teppismo furono attribuiti a vere e proprie gang criminali, più che a band di adolescenti scapestrati, e inclusero episodi come l’abbattimento di pali telefonici, il ribaltamento di automobili, l’apertura di idranti anti-incendio per allagare intere strade, nonché minacce aperte alla polizia. Le amministrazioni locali, già in difficoltà a causa della crisi economica, furono sopraffatte, e molte valutarono l’ipotesi di vietare per leggere qualsiasi tipo di festeggiamento ad Halloween.

Fortunatamente, prevalse una via più morbida, che al divieto tranchat preferì attività di inclusione sociale e di educazione. A partire dal 1934, gruppi giovanili come i Boy Scout e lo YMCA (ma, più genericamente: scuole, oratori, associazioni familiari e gruppi di quartiere) cominciarono a studiare attività alternative in cui incanalare la voglia di divertimento dei giovani e dei giovanissimi. Probabilmente, in ciò fece scuola l’esperienza positiva della piccola città di Anoka, che già a partire dal 1920 aveva scelto di curare un fitto calendario fatto di sfilate in maschera e falò, per popolare le strade di brava gente che potesse sottrarre la notte di Halloween alle grinfie della teppa giovanile.

In occasione dell’Halloween del 1934, da Est a Ovest pullularono feste a tema, gare al costume più bello, marce di grandi e piccoli in giro per la città. Le scuole avviarono una attività educativa mica da ridere, grazie a una produzione letteraria ad hoc nata per mutare il volto della festa. Lisa Morton cita l’esempio di un libro di attività scolastiche del 1931, titolato The Best Halloween Book, nel quale viene proposta ai ragazzi la storia di Harold e Bill, due giovani che mettono un grande impegno nell’intagliare le loro belle zucche con cui fare mille dispetti agli anziani vicini di casa, salvo poi decidere che sarà più nobile cosa regalare le zucche a bambini poveri, le cui famiglie non hanno potuto permettersi l’acquisto dell’ortaggio.

Gli anni della Grande Depressione non erano probabilmente il periodo più adatto per far nascere una pratica che prevedeva lo sperpero di cibo, ma – di fatto –il trick-or-treating nasce proprio così. La formula “dolcetto o scherzetto?” altro non è che la memoria del mondo in cui la società americana cercò di far fronte ai vandalismi di un tempo. Sotto l’occhio vigile degli adulti del quartiere, i giovinetti erano incoraggiati a festeggiare Halloween in modalità scherzosamente civili, passeggiando in strade ormai messe al riparo dalle scorribande dei vandali.

A onor del vero, la pratica del trick-or-treating prese piede con una certa lentezza, a causa delle difficoltà economiche che – appunto – non favorivano lo sperpero di cibo aggratis. Ma quando, con la fine della seconda guerra mondiale, il boom economico rese molto più semplice riempirsi la casa di delizie: allora, la pratica del “dolcetto o scherzetto” fece il botto.

Halloween era ormai diventato la festa che conosciamo oggi.
O quasi.


Trovate qui l’articolo originale.

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