Il “nuovo PEI”: piccola analisi di temi e problemi

Un preambolo necessario

Un breve preambolo a questa analisi è necessario per correttezza.
Davanti ai cambiamenti noi spesso ci sentiamo sollecitati in maniera difforme. O contrastiamo i medesimi perché ci spronano a crescere e quindi ci pongono in un movimento che per “stabilitas” vorremmo evitare, oppure li sposiamo con quello spirito adolescenziale del “finalmente si cambia pagina, c’è una svolta epocale, un nuovo paradigma”, e così via di quello che viene scambiata per visione positiva ma sovente è proiezione immatura del sé o dei nostri desiderata.

Davanti a questo strumento, in realtà, ci troviamo di fronte ad un frammisto, talvolta inestricabile, di luci e di ombre che cercheremo, in spirito di servizio e nei limiti delle poche pagine, di dipanare il più possibile proprio per servire meglio la persona con disabilità, la sua Famiglia di appartenenza ed anche la Scuola.

Una delle cose che dobbiamo ricordare al lettore è che struttureremo questo nostro pellegrinaggio analitico in una dimensione estremamente sintetica iniziale di executive summary.

Altro aspetto che desideriamo ricordare riguarda la corresponsabilità educativa, presente come un quid novum di prestazione nello Strumento del Nuovo PEI. Essa non è una novità perché tutta la normativa precedente lo ribadisce, chiaramente. Nel contempo questa corresponsabilità però ricorda anche una gerarchia insita nel corpus Costituzionale: la Famiglia, che ha la responsabilità genitoriale, educa, la Scuola co-educa e nel contempo fornisce quell’apparato didattico, ad ampio raggio, nozioni e incipit sociale, che gli è proprio. La Scuola ha dimensione suppletiva non sostitutiva di quello che la responsabilità genitoriale sottintende.

La Famiglia, non è creata dalla Carta Costituzionale ma riconosciuta. Essa cioè appartiene a quella dimensione proto-istituzionale da cui la stessa Istituzione, sia dello Stato, sia delle varie Istituzioni, sia dei corpi intermedi, prende forma e significato. 

Proprio a proposito di “forma” occorre ricordare che in questo piccolo percorso ricordiamo a noi stessi e a chi legge che le parole sono importanti. La forma non è un guscio vuoto e superfluo, accessorio, ma piuttosto una parte essenziale.

Certamente il tema della Famiglia, costituzionalmente riconosciuta agli articoli 29 e 30, è discorso ampio che riguarda soprattutto lo scellerato silenzio che ogni governo ha posto in essere su questa proto-istituzione. Non solo su scelte inerenti la drammatica denatalità, lo scarso investimento economico, ma soprattutto riguardanti l’assente investimento volto a valorizzare e rafforzare questo “piccolo noi” che “forma” la società in quanto tale, cioè la Famiglia costituzionalmente intesa. La ricaduta di questa deficienza di attenzione verso la Famiglia, come vedremo, riguarda anche la Scuola e i suoi meccanismi.

D’altra parte la Scuola ha proseguito con meccanismi autonomi non solo legittimi ma spesso auto-referenziali e solipsistici che invece di essere in fecondo dialogo con la proto-istituzione familiare ha aumentato le distanze ed impoverito la necessaria ed ineludibile alleanza Famiglia-Scuola la quale non è stata posta come punto di partenza volta a sostenere la crescita, in tutte le sue potenzialità della persona con disabilità. C’è dunque un vizio di attenzione, di forma e di priorità da cui nascono tante storture. Non tenerne conto non ci aiuta a crescere nella consapevolezza del servire la persona con disabilità.

Schema sintetico di punti buoni, punti da correggere, punti da eliminare

In ordine a quanto ci siamo detti, in maniera sintetica forniamo una griglia immediata delle zone luminose, grigie e nere del Nuovo PEI.

Il lettore vedrà che alcuni argomenti sono presenti in duplice colonna. Questo perché il medesimo argomento presenta in forma frammista, una doppia polarità, che comunque va dipanata con estrema chiarezza se vogliamo ottenere uno strumento funzionale al bene dell’alunno, persona con disabilità.

BuoniDa correggereDa eliminare
Modello unico nazionaleModello unico nazionale (non modulo)
Corresponsabilità educativa del Consiglio di Classe
Migliorato lo stimolo alla programmazione in termini qualitativi
Partecipazione della Famiglia. Il GLO è gruppo eterogeneo, definire meglio che esso non è della Scuola e che il PEI non è strumento esclusivamente scolastico
Ruolo del Dirigente ScolasticoPrevenire abusi
ICFICF (rispettarne il limite modulare)
Personalizzazione del progetto
Rafforzata l’indicazione del DPR del ’94 inerente la verifica del progetto
Esonero (potenziare la sartorialità educativa, senza deformare ed esplicando l’art. 16 della legge 104)Esonero
AutodeterminazioneAutodeterminazione da chiarire la natura personalistica e dunque legata alla responsabilità genitoriale di tale vantaggio
Chiarimenti necessari sulla figura dell’Insegnante di Sostegno e sulle risorse da adibire per coprire l’organico di fatto
Debito di Funzionamento. Correggere natura del debito e formalizzare nel PEI la chiarificazione del debito
Rapporto sinallagmatico
Assistente all’Autonomia e alla ComunicazioneAssistente all’Autonomia e alla Comunicazione. Chiarire meglio la sua funzionalità ed eliminare ogni fraintendimento inerente la “copertura” del monte ore.
Impostazione interministeriale non rispettata; manca ampio consenso che andava esteso agli altri ministeri e ad altri tavoli delle associazioni, oltre l’osservatorio, oramai non più rappresentativo.
Oneri erariali, invitare piuttosto alla responsabilità anche per ciò che è in difetto senza compromissione di risorse economiche. Il decreto è documento educante non moraleggiante.Oneri erariali
Ripensare il DL 66 del 2017 in maniera concertata tra i Ministeri se si desidera includere.
Stralciare alcuni codicilli del DL 96 del 2019 che inducono a mortificare le risorse necessarie all’Inclusione scolastica

Fatta questa griglia se il lettore desidera lasciamo il campo dello strumento sintetico iniziale, dell’executive summary e ci addentriamo, pur con tanti limiti procedurali, su un documento complesso ad esaminare alcune delle aree descritte.

Una breve analisi di alcuni punti

ICF (punto buono e da correggere)

Sono oltre dieci anni che si parla di utilizzare lo strumento ICF per migliorare l’Inclusione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto sin dal 2001 un modello antropologico in cui il “funzionamento umano” è osservato da una prospettiva bio-psico-sociale. Secondo l’ICF la condizione della disabilità va osservata come una condizione bio-psico-sociale determinata dall’interazione sfavorevole tra deficit funzionali e/o strutturali della persona con l’ambiente di vita. Gli effetti delle menomazioni sulla vita quotidiana, infatti, possono essere molto diversi a seconda dei sostegni o delle barriere presenti in un determinato contesto. La Scuola italiana con le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità (MIUR, 4 agosto 2009) fanno esplicito riferimento al modello dell’ICF in un contesto specifico: 

In linea con questi principi si trova l’ICF, l’International Classification of Functioning, che si propone come un modello di classificazione bio-psico-sociale decisamente attento all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale, culturale e personale in cui essa vive.

Anche la Direttiva ministeriale sui Bisogni Educativi Speciali (27/12/2012) ne fa cenno.

Il DLgs. n. 66/2017, relativo alle Norme per la promozione dell’Inclusione scolastica degli studenti con disabilità, prescrive di fatto l’adozione del modello ICF nelle scuole di ogni ordine e grado per gli alunni con disabilità, a partire dall’anno scolastico 2019-20.

Occorre tuttavia dire che l’ICF è uno strumento che ha il vantaggio di una osservazione il più possibile scientifica ma che esula da potenzialità meta-scientifiche che in campo educativo e pedagogico occorre tenere ben presenti per non cadere in un fissismo che a sua volta crea una “barriera architettonica” mentale verso la persona con disabilità. 

La Scienza dice il come non il perché. E il perché ampia gli spazi dell’Inclusione in una progettualità ben più ampia che tiene conto del principio e poi dei valori che riguardano la Persona.

Per cui benvenuto l’ICF ma dandogli lo spazio adeguato che gli è proprio. Specie in ordine al Profilo di Funzionamento. Tra l’altro, ed è questa una grave anomalia del presente Decreto, la dimensione legislativa ed attuativa del Profilo di Funzionamento non c’è. Per cui si applica l’ICF in maniera monca e decurtata che introduce a dimensioni burocraticistiche da cui occorre ben proteggersi se si vuole parlare di Inclusione della persona con disabilità.

Corresponsabilità (punto buono)

La corresponsabilità sia scolastica che del GLO è un a-priori purtroppo sovente disatteso. In ambito scolastico perché di fatto l’insegnante di sostegno come insegnante di classe assegnato all’alunno con disabilità riceve quasi “in appalto” lo studente come se lo studente con disabilità non fosse inserito in una classe e non “sia” anche degli altri docenti. E questo è grave. È una barriera architettonica strutturale, culturale, didattica ed educativa. Perché in tal modo si crea un “esonero” di fatto a monte. E l’Inclusione non è ottenibile in linea minimale. Occorre corresponsabilità di tutto il corpo docente. La corresponsabilità non è affettiva né tanto meno pietistica ma, piuttosto, effettiva, su incipit chiari, obiettivi a breve termine chiari, a medio termine realistici e a lungo termine modificabili in itinere. A sua volta tale “corresponsabilità ad-intra” deve coniugarsi necessariamente con la “corresponsabilità ad-extra” del GLO. Ne parleremo a breve nel dettaglio che riguarda il Gruppo di Lavoro.

Pertanto benvenuta la Corresponsabilità ad-intra purché non rimanga sulla carta ma sottolinei, sempre più e meglio, l’Inclusione come realtà bi-univoca. Non è l’alunno con disabilità che deve essere incluso ma anche l’alunno con disabilità che include gli alunni normotipici. Occorre un canale continuo di progettualità e di crescita congiunta e la tensione continua verso questa dinamica. 

La Corresponsabilità sarà possibile se consideriamo correttamente e profeticamente il personalismo Costituzionale e il tipo di società che desideriamo costruire a cominciare dalla Scuola.

Nel contempo – ma ne parleremo più avanti – la corresponsabilità non deve sottendere una riduzione delle ore necessarie per il sostegno ma la piena valorizzazione quantitativa delle medesime. Se si punta alla corresponsabilità per risparmiare siamo fuori strada; se il MIUR introducendo la Corresponsabilità pensa di risparmiare in risorse economiche sta sbagliando incipit e direzione. Se, piuttosto, si punta alla corresponsabilità per migliorare l’Inclusione bi-univoca allora siamo nel binario adeguato. L’economia, cioè la cura delle cose di casa, non deve puntare a ridurre le risorse investite ma puntare affinché le risorse siano utilizzate pienamente in una rete virtuosa di competenze ed appartenenza.

Modello non modulo (punto buono e da correggere)

Benvenuto anche un modello unico per tutto il territorio. In questi anni come progettoautismo.it, sondando le varie realtà scolastiche del territorio, abbiamo incontrato dei modelli di PEI veramente inverosimili. Curati in maniera approssimativa. Più adempimento burocratico che Progetto Educativo Individualizzato. Senza fotografia adeguata, senza sbocco sulle potenzialità, senza personalizzazione di obiettivi minimi e a medio termine. Senza appartenenza. Spesso delle vere e proprie Barriere Architettoniche su carta. Per non parlare di relazioni falsate che costituivano di fatto dei “falsi in atto pubblico”. Sia per il contenuto che per la modalità “estorta” delle firme delle famiglie e per le manipolazioni collusive tra le Istituzioni. Pertanto benvenuto modello di PEI.

Però vale la pena ricordare che tale modello unico è uno strumento ed un modello. Cioè è guida per migliorare l’adeguamento sartoriale all’alunno, persona con disabilità, e pertanto non è un “modulo” e può e deve essere arricchito di tutto ciò che necessita, anche in aree aggiuntive e personalizzate per il minore con disabilità. Se ci si irrigidisce sul “modello”, anche qui siamo fuori strada e si crea una “barriera architettonica su carta”. Occorre invece pensare che tale modello è struttura unica e minima per gli alunni con disabilità.

Il GLO (aspetto da correggere)

Parlando del Gruppo di Lavoro, chiamato prima GLHO, in alcune sentenze GLOH ed ora GLO occorre purtroppo entrare in un territorio fortemente equivoco che deve essere chiarito.

Vediamo anzitutto con una semplice tabella:

PrimaOra
«All’individuazione dell’alunno come persona handicappata ed all’acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di Scuola, personale insegnante specializzato della Scuola, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione» (Legge 104, 1992, art 12, comma 5)«Il P.E.I. è redatto, ai sensi del comma 5 del predetto art. 12, congiuntamente» (DPR n° 79 del 1994)«Il PEI di cui all’articolo 12, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dal presente decreto: a) è elaborato e approvato dai docenti contitolari o dal consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori o deisoggetti che ne esercitano la responsabilità, delle figure professionali specifiche interne ed esterne all’istituzionescolastica che interagiscono con la classe e con la bambina o il bambino, l’alunna o l’alunno, la studentessa o lo studente condisabilità nonché’ con il supporto dell’unità di valutazione Multidisciplinare» (DL 13 aprile 2017, n. 66, art. 7, comma 2)
«1. Il GLO è composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe e presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato. I docenti di sostegno, in quanto contitolari, fanno parte del Consiglio di classe o del team dei docenti. 2. Partecipano al GLO i genitori dell’alunno con disabilità o chi ne esercita la responsabilità genitoriale, le figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica, che interagiscono con la classe e con l’alunno con disabilità nonché, ai fini del necessario supporto, l’ unità di valutazione multidisciplinare» (DL 182, 20 dicembre 2020, art. 3)

Anzitutto occorre considerare le violenze nominali che la Scuola ha avocato a sé intendendo fino a poco tempo fa di fatto il GLO non come un Gruppo Eterogeneo – come tale è per natura – ma piuttosto un Gruppo Collegiale. Tale violenza nominale è avvenuta citando diverse volte l’articolo 37 del DLgs 297/1994, sia in sentenze e da parte di avvocati del MIUR (da non credere per l’autoreferenzialità!) sia nelle bozze del Nuovo PEI. Articolo di legge che non spiega e non esplica nulla della presunta natura collegiale del GLO ma che si comporta come una “pezza” normativa spinta ad autenticare una cattiva prassi degli Istituti Scolastici.

Incredibile sostenere giuridicamente un cambio di natura. Se la realtà è contraria tanto peggio per la realtà. Stiamo nel soggettivismo giuridico che è, anzitutto, contro-educativo. Citare una norma che parla degli Organi Collegiali per sostenere che il GLO è un organo collegiale è come avere davanti a sé una bottiglia d’acqua purissima ed affermare che è vino perché citiamo le regole interne di un’Azienda Vinicola. Follia e prepotenza autoreferenziale.

Ci stupiamo che davanti a queste affermazioni deliranti si sia opposto fermamente solo il CSPI (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione) e non l’eventuale ed assente Ministero per la Famiglia e il tavolo dell’Osservatorio. Anche perché in diverse scuole d’Italia fior fiore di avvocati e di Dirigenti Scolastici persistevano in queste affermazioni fuori della realtà, della logica e della Filosofia del Diritto.

Ma vedendo la tabella il lettore attento avrà notato che le parole “congiuntamente. redazione. collaborazione.” dense di significato, di meta-significato e di scienza giuridica, sono state cambiate in “elaborato e approvato”. Inoltre, il D.I. 182 spinge oltre il DL 66 affermando testualmente: 

Il GLO è composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe e presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato… Partecipano al GLO i genitori dell’alunno con disabilità o chi ne esercita la responsabilità genitoriale.

Cosa significa questo?

Significa anzitutto creare un obbrobrio giuridico. Una distonia giuridica. Comporre e partecipare crea una gerarchia finendo per collocare i genitori nella categoria del quasi superfluo.

Un gruppo che, per natura propria, è extra-collegiale perché coinvolge soggetti esterni alla Scuola, anzitutto i genitori, in una “redazione congiunta” (questa la vera profezia giuridica del DPR del ’94) viene cambiato in un documento “democraticamente collegiale” cioè in un documento che sottostà a regole interne alla Scuola in cui la figura leader è il Dirigente Scolastico. Se osserviamo a tutti gli abusi e alle perle non rare ma rarissime dei Dirigenti Scolastici preparati e rispettosi di un ruolo orchestrativo che li trascende, vuol dire consegnare un “potere” alla Scuola, su norma, che non deve avere. Un potere che già di fatto, tante volte, nel tempo è stato territorio di abusi. 

E ci stupisce che diversi, nonostante le “mani in pasta” nelle problematiche e conoscendo questi abusi, abbiano collaborato in fase auditiva a questo scempio senza opporsi con chiarezza e fermezza. 

Questo perché alla base dell’acquiescenza vi è un sillogismo: «.. se la Scuola lo fa è perché può visto che si tratta di un ministero».

Ma così si interrompe l’Alleanza Educativa nel suo nascere, la si deforma.

L’intuizione legislativa del ‘92/’94 andava potenziata nell’esplicitazione giuridica non violentata da una prassi monàdica ed autoreferenziale della Scuola. Prassi di decenni e decenni di solipsismo e di pessime scelte politiche sia nei confronti della Scuola che nei confronti della Famiglia costituzionalmente riconosciuta.

La Famiglia educa e la Scuola co-educa, la Scuola ha ruolo didattico e prepara, con il suo ruolo suppletivo, l’alunno alla società. Così è pensata la nostra Costituzione. Se invece si trasforma il GLO in un organo che continua a lavorare collegialmente, anche se abbiamo tolto la parola “collegiale”, questo, automaticamente, infrange il dettato Costituzionale e le sue midolla, trasformando la Scuola e la sua natura suppletiva, a livello educativo, in “Scuola di Stato”. Però in forma ibrida, come una dolce e soporifera tirannia. Ci spieghiamo meglio. La Scuola continua a coinvolgere i genitori ma lo fa inglobandoli nel suo meccanismo Istituzionale e volendo dire sempre l’ultima parola sia nella formazione del GLO che nelle risorse indicate. Non è più custode di un processo inclusivo cucito addosso la minore con disabilità ma proprietario assumendo anche caratteri di “diritto” nelle scelte educative.

La responsabilità genitoriale e il rispetto del diritto e del dovere dell’istruzione rimangono ai genitori ma non la libertà educativa quando ci sono minori con disabilità perché tale libertà è violentata, per legge, da una “approvazione” che richiama ad un sistema di voto. 

E questa non è una barriera ma uno scoglio architettonico. Basti vedere all’inserimento di “Gruppi” ulteriori (GLIR, GIT, GLI) che nella filiera dei passaggi indicati nel DLgs 66 del 2017 burocraticizzano e complicano la reale Inclusione del minore, alunno, persona con disabilità e che la sentenza del TAR del Lazio del 15 marzo N. 03084/2021 porta, in punta di diritto, a depotenziare il lavoro dell’unico Gruppo Competente, il GLO.

Non basta riempire il Decreto Interministeriale n° 182/29 dicembre 2021 del termine “Famiglia” numerose volte, non basta avere superato delle bozze previe improponibili che si ponevano come mero atto burocratico, occorre, piuttosto, ricordare al legislatore, per amore del Bene e del Bene Comune, per Educazione Civica, che ci sono dei limiti che non deve oltrepassare se vuole edificare, sostenere e valorizzare l’Alleanza Educativa. Nel contempo ci stupiamo che coloro che erano nell’Osservatorio non si siano posti con fermezza a rettificare tali impostazioni.

L’obiezione di coscienza collettiva è un must in queste situazioni. Veritas non auctoritas facit legem.

Rimane ancora oscuro il perché il Presidente della Repubblica abbia firmato un tale scempio Costituzionale chiamato Decreto Inclusione che penalizza di fatto gli articoli 29 e 30 della Costituzione e dimentica che la Famiglia, Costituzionalmente riconosciuta, è la “Proto-Istituzione” che dona senso e significato a tutte le altre Istituzioni che hanno comunque, a livello educativo, un valore suppletivo e non sostitutivo.

Pertanto tale punto del Decreto è da correggere. Sulle modalità ci torneremo più avanti.

Il Dirigente Scolastico (aspetto da correggere)

Nel processo graduale di appropriazione delle parti la Scuola non ha solo ripensato – com’è giusto e legittimo – sé stessa, ma anche fornito a membri dell’Istituzione Scolastica spazi e “poteri” ben oltre le proprie funzionalità. Lo abbiamo visto brevemente sul GLO e la sua natura, e poi vedremo come mai questo è accaduto. 

Con la figura del Dirigente Scolastico si è avuta una evoluzione in peggio sul tema dell’Inclusione. La figura del Dirigente Scolastico, iniziata con il servizio di coordinazione e di guida nei confronti del soggetto educativo-didattico-Scuola è stato negli anni trasformato sempre più in un ruolo burocratico-aziendale. Sommerso da circolari ad-extra e da circolari ad-intra, il suo ruolo di orchestratore educativo si è via via assottigliato non avendo più il reale polso che viene dallo “stare sul campo” e il poter lavorare con gli alunni.

Ma tornando al ruolo del Dirigente Scolastico nel Gruppo di Lavoro vediamo alcuni passaggi.

A cominciare dal DL 66 del 2017 all’’art. 5 comma 4c abbiamo la Partecipazione del DS al Profilo di Funzionamento. Profilo che andrà a sostituire sia la Diagnosi Funzionale che il Profilo Dinamico Funzionale.

Nel DL 96 del 2019 non abbiamo grosse differenze.

Il vero salto che a noi interessa è nel Decreto Interministeriale 182 del 2020:

Il GLO è composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe e presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato. […] Il Dirigente scolastico può autorizzare, ove richiesto, la partecipazione di non più di un esperto indicato dalla Famiglia. La suddetta partecipazione ha valore consultivo e non decisionale. […] Il Dirigente scolastico, a inizio dell’anno scolastico, sulla base della documentazione presente agli atti, definisce, con proprio decreto, la configurazione del GLO. 

(Art. 3, DI 182)

Come appare chiaro nell’appropriazione (indebita) delle parti così come il GLO è stato inserito come “quasi” organo collegiale (così nelle bozze) con alcuni membri ed alcuni partecipanti, così il DS è diventato a pieno titolo il responsabile leader del GLO.

In tal modo non solo si sovraccarica il DS di un potere leaderistico, dirigenziale e di governo sopra le parti, sovraccarico non previsto nelle fonti primarie del Diritto (distinguiamo il DL66 e il DL 96 da un Decreto Interministeriale che fonte secondaria del Diritto) ma si snatura il GLO che diventa a tutti gli effetti un mostro giuridico. Un gruppo di lavoro eterogeneo trasformato in un gruppo della Scuola.

Questo oltre che essere sbilanciato, improprio ed assurdo è uno “scippo” di natura. Cioè si trasforma il GLO da Gruppo di lavoro eterogeneo che avviene nella Scuola da Gruppo di Lavoro Eterogeneo della Scuola. Questo svela la deformazione di prassi e poi giuridica presente in tale Decreto Interministeriale.

Infatti questo improprio ruolo attribuito al Dirigente Scolastico indica ancora più gravemente quello che è nella mens di alcuni del MIUR. La Scuola si configura come uno stato nello Stato con regole così gravi che in un Gruppo Eterogeneo ha un garante interno, con evidente conflitto di interessi ma che, soprattutto, introduce con una sola mossa un vulnus giuridico (un vero e proprio ossimoro nella filosofia del Diritto), ridimensionando la valenza Costituzionale educativa della Famiglia.

Questo accade perché non si considera la Famiglia dell’alunno con disabilità come una proto-istituzione ma come degli esercenti la responsabilità genitoriale che partecipano collaborando con la Scuola.

Ricordiamo che per la nostra Costituzione non è così: è piuttosto la Scuola che ha dimensione suppletiva a livello educativo.

Ora ciò non toglie che legittimamente la Scuola abbia un’organizzazione interna ma è appunto interna, collegiale e far dipendere un Gruppo di lavoro eterogeneo dall’Istituzione Scolastica è un abuso di sostanza e di prassi. 

L’invito che facciamo è dunque di ridimensionare fortemente il ruolo del Dirigente Scolastico quando si parla di GLO e di PEI e di trovare una formula più adeguata che rispetti l’alleanza educativa Famiglia-Scuola come è avvenuto, purtroppo, in rare eccezioni.

Questo va fatto per prevenire possibili abusi da parte dell’Istituzione Scolastica. Nel contempo occorre garantire una formazione umana ed equilibrata ai Dirigenti Scolastici nel trattare i difficilissimi equilibri. 

L’Esonero (da eliminare e trovare sostituzione rispettosa adeguata)

Occorre dire che il termine “Esonero” anzitutto non è un termine felice e che stride fortemente con l’art. 34 della Costituzione che ricorda che “la Scuola è aperta a tutti”.

Qualcuno ha provato ad inserirlo reiteratamente nelle precedenti bozze del Nuovo PEI” finché poi è stato ridotto ad una semplice accenno nel Decreto Interministeriale e nelle linee Guida.

Ma come si è arrivati a questo termine? Per una cattiva e comoda prassi in questi anni nelle scuole dove non si citava nominalmente la parola “Esonero” ma si faceva a scapito della oggettiva Inclusione. Per molti, ad-intra e ad-extra della scuola vale il sillogismo interiore come a-priori: 

«.. se la Scuola lo fa è perché può visto che si tratta di un ministero.»

Questo ha giustificato reiterati abusi poi diventati bozza normativa e, pur con ulteriori correttivi, inserito poi il termine nel Decreto e nelle Linee Guida. C’è chi si è sbracciato nel dire che nella normativa già c’era e che era giustificato per rispettare l’alunno con disabilità con gravi o gravissime problematiche cognitive. Però anche questa visione suona malissimo sia in ordine alla dimensione pedagogica che alla dimensione normativa. Sia nella Filosofia del Diritto che nei fondamenti pedagogici le parole hanno un enorme peso, un significato preciso. Non è questione rubricistica di “purezza del Diritto” da difendere ma di ricordare che il Diritto stesso necessita di linguaggio preciso senza aprire a meri fraintendimenti di prassi o altro. Rispettare questo è già rispettare la natura stessa educativa e civica della Scuola.

La chiarezza, ripetiamo, in ordine a ciò che il Diritto è e in ordine a ciò che la Pedagogia suggerisce, è un dovere. Non è più un dovere se volutamente si vuole raggiungere altri scopi di sottobosco.

Ci può aiutare uno schema riassuntivo della questione

PrimaOra
L’esonero non è previsto è previsto piuttosto un progetto cucito addosso alla persona con disabilità. Un abito sartoriale personalizzato ed interrelazionale (cultura del compito, materia bi-univoca, ecc.)Mai considerato, nella 104 troviamo scritto: «Nella valutazione degli alunni handicappati da parte degli insegnanti è indicato, sulla base del piano educativo individualizzato, per quali discipline siano stati adottati particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state svolte, anche in sostituzione parziale dei contenuti programmatici di alcune discipline… Il trattamento individualizzato previsto..» (Legge 104, 1992, art 16)“Qualora l’alunno in situazione di handicap abbia svolto un percorso didattico differenziato e non abbia conseguito il diploma attestante il superamento dell’esame, riceve un attestato recante gli elementi informativi di cui al comma 1.”(Legge 323 del ’98, art. 13 comma 2)Eccetto che per le lingue straniere:“Art. 6 comma 6. Solo in casi di particolari gravità del disturbo di apprendimento, anche in comorbilità con altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato diagnostico, l’alunno o lo studente possono – su richiesta delle famiglie e conseguente approvazione del consiglio di classe – essere esonerati dall’insegnamento delle lingue straniere e seguire un percorso didattico differenziato. In sede di esami di Stato, i candidati con DSA che hanno seguito un percorso didattico differenziato e sono stati valutati dal consiglio di classe con l’attribuzione di voti e di un credito scolastico relativi unicamente allo svolgimento di tale piano, possono sostenere prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo al rilascio dell’attestazione di cui all’art.13 del D.P.R. n.323/1998.” (DM n.5669 del 12 luglio 2011)Eccetto sulle prove Invalsi: «Le alunne e gli alunni con disabilità partecipano alle prove standardizzate di cui agli articoli 4 e 7. Il consiglio di classe o i 11 docenti contitolari della classe possono prevedere adeguate misure compensative o dispensative per lo svolgimento delle prove e, ove non fossero sufficienti, predisporre specifici adattamenti della prova ovvero l’esonero della prova.» (DL 62, 2017, art. 11 comma 4)Presente sul Decreto all’art. 10 comma 2 punto «d» “..se l’alunno con disabilità è esonerato da alcune discipline di studio”e nelle Linee guida a pag. 39: «Rientrano nell’opzione “C” le situazioni in cui non sussistono le condizioni neppure per una progettazione disciplinare ridotta e non è possibile, se non con forzature eccessive e inopportune, definire obiettivi didattici sui quali si possa poi esprimere una seria valutazione degli apprendimenti. In questi casi si può decidere l’esonero totale dall’insegnamento di tale disciplina, per cui non sono previsti obiettivi disciplinari da raggiungere e, non essendoci di conseguenza valutazione, non si definiscono i relativi criteri. L’esonero è deciso dal Consiglio di classe , non solo dall’insegnante titolare della disciplina, e deve costituire una scelta eccezionale derivante da impedimenti oggettivi o incompatibilità, non da mere difficoltà di apprendimento.»

Anche qui vale il discorso fatto precedentemente sulla natura del Gruppo di Lavoro.

Per correttezza occorre sempre fare dei passi esplicativi delle felici intuizioni della norma che rispettano l’apparato giusnaturalistico della Costituzione e non dei passi che sono una barriera architettonica al Bene e all’Inclusione della persona. 

Inquinare la norma è un danno talmente grande che gli effetti non sono calcolabili e non per rubricismo ma per danno ai fondamenti che abbiamo faticosamente acquisito crescendo; fondamenti che sempre ci devono aiutare a fare meglio per gli alunni, persone con disabilità.

Ad esempio l’art. 16 della legge 104 che recita così «anche in sostituzione parziale dei contenuti programmatici di alcune discipline» si poteva esplicare con 

siano adottati criteri di sostituzione adeguata rispettosi dei principi di Inclusione, in tutte le prospettive bidirezionali che l’Inclusione comporta, e che, nel contempo, siano rispettosi della persona e delle sue potenzialità. 

Questo esempio che proponiamo, certamente migliorabile, potrebbe mettere al centro sia le potenzialità che erano sottese e non espresse, e che nessun codice ICF avrebbe potuto prevedere, sia rispettare gli eccessi che possono accadere con l’effetto Rosenthal.

Ecco come si presenta la teoria dell’effetto Pigmalione: se un insegnante è convinto che un particolare bambino non sia molto dotato, lo tratterà – consciamente o inconsciamente – in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza. Così, si crea un circolo vizioso in cui il bambino alla fine si sforzerà di diventare esattamente come l’insegnante lo ha immaginato, in una relazione così particolare.

Un esperimento molto noto in psicologia sociale è quello del professore americano Robert Rosenthal, che ha studiato il comportamento di un gruppo di studenti delle scuole elementari negli anni 60. Rosenthal ha prima condotto un test del QI con tutti i bambini. Successivamente, ha selezionato in modo del tutto casuale un piccolo numero di bambini, dicendo agli insegnanti che erano questi i bambini giudicati dal test i più intelligenti della Scuola.

Un anno dopo, Rosenthal tornò a Scuola e fece in modo che i bambini selezionati a caso confermassero pienamente le sue previsioni, diventando i migliori della classe.

Ora, questo, non succede solo a Scuola. Succede ovunque. Nella Famiglia – nel rapporto tra genitori e figli, nel mondo del lavoro – nel rapporto tra capo e impiegati, in tutti i rapporti della nostra vita sociale.

Vogliamo dunque che la Scuola come straordinario luogo di preparazione sociale sia un luogo di crescita o un luogo non inclusivo? La parola “esonero” produce queste storture ma non solo verso la persona con disabilità ma in tutta la rete relazionale in maniera bi-univoca. Non si sviluppano le potenzialità della persona con disabilità e non si sviluppano le potenzialità delle persone senza particolare disabilità. C’è dunque un feedback una specie di effetto Larsen al degrado civico.

È da constatare, infine, che sovente non si fanno raggiungere all’alunno con disabilità determinati obiettivi perché in sottofondo le risorse non vengono investite. Non solo per l’alunno con disabilità ma soprattutto nella formazione adeguata delle figure professionali che sono a sostegno dell’Inclusione. Poca o scarsa formazione degli insegnanti curriculari. Inadeguata formazione nel sostegno, anche specializzato. Inesistente o approssimativa formazione degli educatori che dunque tradiscono il loro ruolo ad personam. Come abbiamo constatato in tutto il territorio italiano, a nord, centro e sud, qui entrano in gioco meccanismi collusivisi tra Scuola e Comuni, non rari, e di gioco al ribasso, motivati dalle “risorse di bilancio”. Meccanismi di vera e propria religiosità nei confronti dell’Istituzione sia da parte degli insegnanti, che dei dirigenti, che degli assessori, che dei referenti del Sostegno, che degli assistenti Sociali, pur animati tutti da buone intenzioni, ma che creano delle vere e proprie spirali, delle barriere architettoniche che bloccano la crescita dell’alunno, persona con disabilità. Ci immaginiamo cosa possa dunque succedere se, anche solo di striscio e con tutte le eccezionalità di alcuni casi gravi, ora il termine “esonero” si trovi per inscritto e su norma.

Con la parola esonero si introduce una forma sbrigativa che non solo aumenterà l’abbassamento dell’Inclusione ma farà precipitare la formazione ineludibile per il sostegno, abbasserà al corresponsabilità e penalizzerà la formazione specifica della figura dell’AEC. Paradossalmente un ossimoro ad incipit della prospettiva ICF.

A tal proposito si rileva che l’art. 18 del Decreto Interministeriale 182, sulle “risorse professionali da destinare all’assistenza, all’autonomia e alla comunicazione” parla di “accomodamento ragionevole” ma vediamo in che termini

Le risorse professionali da destinare all’assistenza, all’autonomia e alla comunicazione sono attribuite dagli Enti preposti, tenuto conto del principio di accomodamento ragionevole e sulla base delle richieste complessive formulate dai Dirigenti scolastici, secondo le modalità attuative e gli standard qualitativi previsti nell’accordo di cui all’articolo 3, comma 5-bis del DLgs 66/2017.

Inserito così le Istituzioni comunali lo interpreteranno non secondo la convenzione ONU ma secondo la mens delle “risorse disponibili”.

Ma la convenzione ONU del 2007 esplica diversamente «l’accomodamento ragionevole»:

  • «per “accomodamento ragionevole” si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali;»
  • Ed aggiunge proprio per evitare la discriminazione: «per discriminazione fondata sulla disabilità include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole;»

È incredibile come le medesime affermazioni spostate di contesto diventino un modo per creare una barriera architettonica.

Occorre invece che ci sia sempre nella norma, per rispetto della persona con disabilità e del suo cammino pedagogico, una finestra normativa adeguata a far crescere, nel meglio, la rete inclusiva.

“Nessun bambino è perso se ha un insegnante che crede in lui” (Bernhard Bueb)

Il termine esonero sia dunque omesso, anche per prevenire ogni tipo di abusi e al suo posto si usi una formula giuridica e pedagogica rispettosa come, riteniamo, possa essere quella che abbiamo proposto a potenziamento dell’art. 16 della legge 104.

L’insegnante di Sostegno (aspetto da correggere)

Una attenzione particolare dobbiamo riservarla alla figura dell’Insegnante di Sostegno.

È comprensibile, da una parte, che avendo sottolineato il tema della Corresponsabilità, si voglia svincolare dalla mal-practice della “delega in appalto” verso l’alunno con disabilità, sovente data in forma esclusiva, la figura dell’insegnante di sostegno.

Nel contempo è giusto che si voglia restituire a questa figura la sua “natura” di mediatore di Inclusione come insegnante di classe, competente e specializzato, assegnato alla classe ove è presente un alunno con disabilità. Vale la pena ripercorrere solo brevemente alcuni punti salienti.

La figura viene introdotta nell’auto-coscienza della normativa dalla Legge 517, art. 7 del 4 agosto 1977

Che recita ad intro così:

Al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. […]

Come si intravede la normativa introduce già la figura dell’insegnante di sostegno al fine di una integrazione e di una Inclusione.

Il sigillo chiarificatore lo abbiamo con la Legge quadro 104, ancora mal attuata, del 1992. In particolare citiamo l’art. 13:

Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l’obbligo per gli enti locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati.

Come si vede in queste poche righe la figura del docente specializzato di sostegno vive in sinergia con l’assistente all’autonomia e alla comunicazione (che invece è ad-personam) il suo servizio alla classe e all’alunno con disabilità.

La pessima prassi della “copertura” dell’orario non era contemplata perché la natura delle due figure è complementare e diversa. L’amministrazione del monte ore divisa tra sostegno e AEC è un’anomalia che è stata introdotta non per il bene dell’alunno con disabilità e in aderenza ad una normativa ma per una pessima prassi di carattere economicistico, disciplinata da contratti lavorativi.

E anche tale prassi è barriera architettonica.

Primo perché ha reso le due figure uguali sul piano del servizio e della natura, in secondo luogo perché ha piegato le esigenze di Inclusione a problematiche di bilancio. In terzo luogo perché ha abbassato la formazione reciproca delle due figure chiamate, più che ha stimolarsi per il Bene dell’alunno, a passarsi la staffetta dell’appalto dell’alunno con disabilità.

La sottolineatura del tema della Corresponsabilità rende tutto sottoposto a verifica con il Nuovo PEI. 

La rottura del rapporto sinallagmatico introdotto con la nota 40 del 2021 ad esplicazione del DI 182 del 29 dicembre 2020 e delle Linee Guida di cui riportiamo il testo:

…è rotto il rapporto sinallagmatico gravità/rapporto 1:1, perché la domanda corretta, e la conseguente risposta da dare, è fondata sulla “tipologia” di gravità e sulle risorse professionali adatte a compensare “quel” tipo di gravità…

vuole rompere una presunta automaticità (che non esisteva neanche prima) tra il vecchio rapporto 1:1 della (ex) Diagnosi funzionale con la richiesta in ore da inserire nel PEI, sottolineato dalla legge 122.

Ora con le griglie del Debito di Funzionamento si vuole creare una sorta di circolo virtuoso in cui l’alunno con disabilità è di tutta la classe (lo era anche prima!) e non in “appalto” ad alcune figure, in specie all’insegnante di sostegno.

Ricordiamo, a memento, che il Gruppo di Lavoro aveva il compito di esplicitare il quantitativo delle ore secondo la legge 122 motivando il quantitativo richiesto.

Il rapporto della Diagnosi si riferiva ad una minorazione talmente grave che comportava l’esistenza di una assistenza permanente, continua e globale nella sfera individuale e in quella di relazione (ecco perché si parla di Inclusione).

Ora invece con il DI 182: «Il GLO, sulla base del Profilo di Funzionamento, individua le principali dimensioni interessate dal bisogno di supporto per l’alunno e le condizioni di contesto facilitanti, con la segnalazione del relativo “debito di funzionamento”, secondo quanto descritto nell’Allegato C, parte integrante del presente decreto.» (DL 182, art 18)

Parliamo dunque di un “range di ore” previste a seconda della gravità.

Ma, ci sono alcune evidenti contraddizioni.

Ne rileviamo solo alcune:

1 – Il vizio, tutto burocratico e dunque non in linea con la mens normativa, i suoi fondamenti e la sua autocoscienza, di creare categorie di debito non è nuovo. Proprio nel 2011 denunciammo la seguente tabella

Tale tabella non circolava solo nella Marche, rigorosamente ad-intra, ma anche in altre scuole d’Italia. La Scuola già parlava di sé, del vero sé, sotto la patina di termini come integrazione e poi Inclusione. Ed anche questa è barriera architettonica nonché ineducazione e purtroppo talvolta ineducabilità strutturata dei dirigenti della Scuola.

2 – Come mai nel DL 96/2019 che integra e rettifica il 66 del 2017 abbiamo all’art. 7 comma 2 bis:

«2-bis. La realizzazione delle misure attuative, di cui al comma 2, avviene ad invarianza di spesa e nel rispetto del limite dell’organico docente ed ATA assegnato a livello regionale e la dotazione organica complessiva non può essere incrementata in conseguenza dell’attivazione degli interventi previsti dal predetto comma 2, ivi compreso l’adeguamento dell’organico delle istituzioni scolastiche alle situazioni di fatto.»

Questo significa che se c’è una richiesta di Insegnanti di Sostegno in più rispetto all’organico non potranno essere dati insegnanti in più. Dunque si rimedierà togliendo ad alcuni e dando ad altri, specie a quelli che hanno genitori che faranno ricorso giudiziario.

Eppure la Corte Costituzionale con la sentenza n 80 del 26 febbraio 2010 recita:

Le disposizioni censurate che prevedono, da un lato, un limite massimo nella determinazione del numero degli insegnanti di sostegno e, dall’altro, l’eliminazione della citata possibilità di assumerli in deroga, si pongono in contrasto con il riportato quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario, nonché con la consolidata giurisprudenza di questa Corte a protezione dei disabili fin qui richiamata.

3 – Circa 40 mila alunni con disabilità non hanno nella propria classe un insegnante di sostegno specializzato. Richiesta che parte dalla Legge Falcucci e nei richiami di legge prima citati. La specializzazione, seria, reale, comprovata, non è un optional ma un must. Spesso abbiamo un precario che non rinuncia all’incarico pur essendo un ingegnere, un architetto, un matematico, un musicista, ecc, ma che non sa nulla o poco di sostegno. Magari affiancato (si fa per dire vista l’ostinazione a creare “copertura” d’orario) da un assistente AEC che non conosce la specifica disabilità se non con una preparazione generica di qualche corsetto e senza esperienza. Insomma due professionisti poco preparati a favorire l’Inclusione di alunni con disabilità più o meno gravi.

4 – E che dire del vincolo quinquennale che è diventato in molte situazioni una mal-practice, un cavallo di Troia per usare il sostegno (e dunque usare la disabilità dell’alunno) per poi passare su posto comune?

Ora davanti a questi gravi lesioni, in sfregio alla Filosofia del Diritto, ma con le ali che puntano in alto sottolineando la Corresponsabilità, si è pensato di appesantire di “lerciume” le ali dei fondamenti normativi dell’Inclusione creando codicilli e tabelle di debito trascurando l’ineludibile formazione specializzata sia degli insegnanti, nel campo loro proprio e quella altrettanto importante per la loro natura degli Assistenti all’autonomia ed alla Comunicazione.

La figura dell’insegnante di sostegno non va de-potenziata ma rafforzata sia in competenza, sia in sinergia con l’Assistente all’autonomia sia in ore necessarie alla corresponsabilità di classe, che è arte educativa e delicatissima su cui occorre un grande dispendio di tempo e di pazienza per creare l’Inclusione bi-direzionale in una dimensione cooperativa e di fruizione del Bene. Inclusione che include l’alunno con disabilità, include la classe nella sua e con la sua disabilità e forma il Consiglio di classe a quella corresponsabilità necessaria. E tutto questo non necessita forse di una grande preparazione e di un importante numero di ore di lavoro?

I gravi problemi strutturali da sanare

Tutte queste criticità, alcune da eliminare ed altre da correggere non potranno far lievitare i punti di forza se non si è consapevoli e coscienti di alcuni gravi problemi strutturali.

Punti strutturali che vanno sanati senza perdere altro tempo perché se non sanati renderanno questo Nuovo Pei una occasione persa.

Il primo problema strutturale a corto sguardo è: ma come si è avuta la faccia di chiamare un Decreto Interministeriale quando altri Ministeri, soprattutto quello della Famiglia, non è stato coinvolto? Questo Decreto 182 sembra l’occasione che alcuni avevano da tempo di suonarsela e cantarsela con il tandem del Ministro dell’Istruzione e delle Finanze del precedente governo.

Ma è mai possibile fare un documento sul Nuovo PEI senza coinvolgere una platea più ampia di un Osservatorio, che è comunque ristretto, e senza coinvolgere il Ministero della Famiglia?

Se il Nuovo PEI vuole essere – e dovrebbe essere – il principio ed il vertice dell’alleanza educativa Scuola-Famiglia, perché si è partiti con un Decreto Interministeriale monco di parti essenziali?

Perché l’Osservatorio convocato ha avuto una rappresentanza così ridotta di chi opera nella disabilità? Ne fa fede che molte Associazioni e famiglie non sono state adeguatamente coinvolte. Come se il GLO e il PEI fossero cosa della Scuola. Come se la Scuola facesse il “favore” di convocare l’Osservatorio il quale, ci duole dirlo, avrà anche lavorato molto, e sicuramente carico di tante ottime e pregiate intenzionalità, ma non ha avuto il mordente di un dissenso fermo su questioni importanti come quelle sollevate e soprattutto non si è opposto a questo a-priori: il GLO e il PEI non sono della Scuola. Si svolge nella Scuola, serve alla Scuola ma nasce con una natura diversa, come abbiamo visto.

Infatti il problema è a monte ed è proprio qui, nello snaturamento del Gruppo di Lavoro.

Nella mal-practice di questi decenni il GLO è stato non potenziato, sviluppato, accresciuto nei suoi membri (e ripetiamo membri di diritto), tra cui, in modo particolare, la Famiglia che ha il compito primario educativo del minore con disabilità. Certo ci sono problemi di mal governo susseguiti nel tempo in tutte le realtà partitiche che non hanno minimamente investito sulla Famiglia e sulla natalità, con scelte e soprattutto con pessima politica familiare e pessima politica nei confronti delle persone, minori e non, con disabilità.

La Scuola dunque ha camminato da sé, in solitaria, con problematiche rafforzate negli ultimi 40 anni che ne hanno fatto una monade auto-referenziale, chiusa, incapace di rispettare la sua natura educativo-didattica ed avvitata nei codicilli per risparmiare risorse ed esasperare i genitori degli alunni con disabilità. Magari con “avventure” legali esasperanti e disumane. Neanche una bestia infierirebbe così su un processo altrui di metabolizzazione della sofferenza e delle difficoltà. Certi burocrati hanno messo in atto prassi oggettivamente maleducate, civicamente parlando, se non peggio.

Il problema, a livello giuridico, è stato ratificato proprio con il decreto 66 del 2017 che, come abbiamo chiesto a suo tempo al Presidente della Repubblica, non andava firmato, perché tale decreto ha messo su carta i difetti della Scuola in ambito inclusivo e li ha chiamati “Inclusione nella Buona Scuola”.

E perché non siano chiacchiere ricordiamo il seguente passaggio del DL 66 del 2017 all’art. 7:

1. All’articolo 14, comma 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328, dopo le parole «valutazione diagnostico-funzionale» sono aggiunte le seguenti: «o al Profilo di funzionamento» e dopo le parole «Servizio sanitario nazionale» sono aggiunte le seguenti: «, il Piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche». 

2. Il PEI di cui all’articolo 12, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dal presente decreto: è elaborato e approvato.. “

Ecco, proprio allora chiedemmo che ivi fosse scritto, in continuità con la mens del DPR del ’94 che al punto A fosse scritto “è elaborato congiuntamente”.

Un documento che per natura propria è extra-collegiale perché coinvolge soggetti esterni alla Scuola, anzitutto i genitori, in una “redazione congiunta” (DPR ’94) viene cambiato in un documento che sottostà ad “approvazione” cioè in un documento che sottostà a regole interne alla Scuola.

Sulla figura del Dirigente Scolastico, su cui ci siamo già soffermati, posto che è il “leader” di tale Gruppo di Lavoro ed eredita questo ruolo dal DL 66 del 2017 (anche questo documento legislativo redatto senza Ministero per la Famiglia) e posto che deve formalizzare la richiesta complessiva alle rispettanti Istituzioni, il Decreto Interministeriale 182 non poteva non inserire, a proposito delle Risorse all’art. 15:

Ai sensi di quanto previsto all’articolo 7, comma 1, lettera d) del DLgs 66/2017, il GLO procede a definire la proposta delle risorse da destinare agli interventi di assistenza igienica e di base e delle risorse professionali da destinare all’assistenza, all’autonomia e alla comunicazione, per l’anno successivo. In particolare, si indica il fabbisogno di risorse da destinare agli interventi di assistenza igienica e di base e il fabbisogno di risorse professionali da destinare all’assistenza, 12 all’autonomia e alla comunicazione, nell’ambito di quanto previsto dall’Accordo di cui all’articolo 3, comma 5-bis del DLgs 66/2017 da sancire in sede di Conferenza Unificata, per l’anno scolastico successivo, specificando la tipologia di assistenza / figura professionale e il numero delle ore ritenuto necessario, al fine di permettere al Dirigente scolastico di formulare la richiesta complessiva d’Istituto delle misure di sostegno ulteriori rispetto a quelle didattiche, da proporre e condividere con l’Ente Territoriale.

Proporre e condividere. Se per “proposta” indichiamo l’etimo di “posta a favore di” e non una mera possibilità e per “condivisione” intendiamo che le Istituzioni ne prendono atto senza compromissioni di bilancio, ci siamo. 

Se invece intendiamo la “proposta” in senso possibilistico, le “risorse di bilancio” che abbiamo indicate dalla legge 96 e dalla legge 328 per le rispettive istituzioni, quella scolastica e quella locale, siamo lontani dall’Inclusione ed abbiamo posto in essere una ulteriore barriera architettonica.

Questo significa che il GLO, nella sua ineludibile competenza, non esprime più una necessità del minore con disabilità che l’Istituzione ha il dovere di ottemperare (secondo mens giuridica e nell’evidenza che il GLO conosce il minore con disabilità) ma che: 

il Dirigente propone quanto proposto perché l’Ente dia quanto può,

cioè sempre sistematicamente meno di quanto realmente serve ed “indicato” nel senso di “pro-posto”, cioè posto a favore del minore con disabilità dal GLO. E tutte le commissioni, inutili ed ulteriori, con passaggi che costano risorse, rientrano nel meccanismo statalista del “pur di risparmiare non badiamo a spese, purché il popolo sia educato”. Invece di snellire e semplificare i meccanismi sono stati volutamente appesantiti per creare con la patina nominale (GLIR, GIT, GLI) ulteriori barriere architettoniche culturali. È tipico dello statalismo complicare le cose semplici invece di migliorare la qualità dei presenti maccanismi.

Una chiara esplicitazione di questi cortocircuiti normativi lo abbiamo proprio a pagina 61 delle linee guida:

Attualmente, ad esempio, un alunno non vedente ha una invalidità del 100% ed è considerato in situazione di gravità (art. 3, comma3). Se venisse considerata solo tale condizione, di carattere quantitativo, potrebbero essere assegnate, secondo una sorta di automatismo (massima gravità=massimo del sostegno), il massimo delle ore possibili (22h). La valutazione del fabbisogno richiede invece una considerazione più attenta delle condizioni personali e – questa la novità positiva della prospettiva ICF – la valutazione della sua interazione con il contesto, che è certamente modificabile. Tale cambiamento chiama in causa non solo l’insegnante, ma tutta la comunità scolastica, richiedendo l’ausilio consapevole della più ampia “comunità educante”. Con i nuovi criteri, in presenza di una disabilità visiva che non implica problemi a livello cognitivo e di apprendimento, è possibile indicare gradi diversi rispetto alla restrizione di partecipazione che sarà “lieve” relativamente all’apprendimento e alla socializzazione, “molto elevata” in rapporto alla comunicazione, “elevata” in rapporto all’autonomia di movimento. Pertanto, gli interventi educativi richiesti si collocano in un range “lieve” (0-5 ore di sostegno didattico) e sono finalizzati soprattutto all’integrazione nella classe (per i primi anni); mentre per l’assistenza alla comunicazione (con l’ausilio di un tiflodidatta, competente nel Braille) sarà necessario il massimo delle ore; infine sarà sufficiente una media assistenza per quanto riguarda l’autonomia, a meno che la Scuola non “abbatta le barriere”, creando percorsi guidati, fornendo l’alunno di ausili tecnologici, etc. che riportano il bisogno di supporti ad un grado “lieve”. Il fabbisogno è quindi strettamente e dinamicamente correlato agli effettivi interventi messi in atto su più piani: dal sostegno didattico, all’assistenza all’autonomia e alla comunicazione, all’assistenza igienica di base, al lavoro cooperativo dei compagni di classe, di tutti gli insegnanti, alla fornitura di ausili (tastiera Braille), all’uso di nuove tecnologie (sintesi vocale), agli interventi sull’ambiente (percorsi guidati, adattamenti acustici…).

Sembra tutto fantastico vero? Sembra tutto cucito addosso giusto?

Eppure l’inciso “Tale cambiamento chiama in causa non solo l’insegnante, ma tutta la comunità scolastica, richiedendo l’ausilio consapevole della più ampia “comunità educante” è un altro modo per instaurare una nuova barriera architettonica invincibile fatta di insegnanti curriculari che non sono formati né all’approccio con minori con disabilità né a lavorare tra loro per l’Inclusione bi-direzionale. L’alunno si troverà con un insegnante di sostegno forse specializzato (se gli va bene) ma con meno ore e nel contempo con una comunità educante ineducata a sostenere una rete.

L’Inclusione e la crescita nell’Inclusione sarà drammaticamente impoverita.

Ed ancora l’inciso “mentre per l’assistenza alla comunicazione sarà necessario il massimo delle ore”. Peccato che tale figura è carico dell’Ente locale il quale trincerandosi dietro la legge 328 (Nell’ambito delle risorse disponibili” – art 14 comma 2) dirà che non ha risorse di bilancio per pagare 22 ore di una figura adeguata alla comunicazione e, se poi trova le risorse economiche, perché magari la Famiglia vince un eventuale ricorso, con estremo dispendio di tempo e di energie di ogni tipo (di cui è incalcolabile il danno morale alla Famiglia e, per riflesso, al minore con disabilità), solo allora l’istituzione Comunale contatterà la cooperativa la quale a sua volta “venderà” come esperta una figura che, talvolta, non lo è semplicemente perché non ce l’ha.

Ed ecco che la patinatura dell’Inclusione, il mercato dei buoni propositi, ha creato una barriera architettonica multipla perché non ha affrontato una riforma realmente strutturale della rete attorno al minore con disabilità.

Sia per scarsa visione metafisica che per degrado economicistico.

Non affrontiamo per brevità le manchevolezze nel tempo tra le azioni dei Governi e sul silenzio dell’ANCI verso i propri cittadini con disabilità.

Viene da sottolineare che l’affermazione posta alla fine delle Linee Guida a pag 65 suona altamente dissonante:

È bene evidenziare che, nella procedura volta alla definizione delle misure di sostegno, con la correlata quantificazione del fabbisogno di risorse professionali per la didattica e l’assistenza, i componenti del GLO sono direttamente responsabili delle decisioni assunte, che comportano oneri di spesa.

Quanto è offensivo ed abusivo questo inciso di pagina 65 delle Linee Guida. Offensivo, perché in coscienza chi è che vuole sperperare le pubbliche risorse? 

Abusivo, gravemente abusivo questo inciso, perché con prepotenza la Scuola si arroga un diritto amministrativo anche sul GLO pensando che sia “cosa propria”. Abusivo e vergognoso.

Infatti la responsabilità davanti alle risorse economiche pubbliche non può essere citata a senso unico citando impropriamente il GLO, ma tale responsabilità coinvolge anzitutto chi ha sfornato questi documenti senza avere uno sguardo adeguato alle persone con disabilità e a che tipo di società inclusiva desidera costruire il futuro sociale alimentando meccanismi farraginosi che sono essi stessi non solo un danno alle persone minori con disabilità ma un rubinetto che continuamente perde disperdendo forze, bene ed economia non investendo ed ottenendo ciò che realmente serve. 

In sintesi. 

Occorre correggere il DL 66 e correggere la natura del GLO che ne emerge, rispettando piuttosto il dettato Costituzionale sulla Famiglia. Ed i ministeri coinvolti devono essere quelli chiamati in causa con una massima partecipazione di ascolto di una platea ben oltre l’attuale Osservatorio.

Per una vera ed autentica Corresponsabilità, occorre rafforzare un serio investimento programmatico della formazione laboratoriale degli insegnanti di sostegno e degli insegnanti curriculari. Ripetiamo laboratoriale. Non bastano corsi, esami ed attestati, occorre saper vivere situazioni.

Occorre fornire ingenti risorse ai Comuni sia per il potenziamento delle strutture scolastiche e rendere le classi più adeguate per numero di presenza di alunni a cominciare dall’infanzia ed evitare le classi “pollaio” (anche questa una irresponsabile barriera architettonica degli locali con il silenzio/assenso dei Dirigenti), sia per ottenere figure adeguate e formate all’autonomia ed alla Comunicazione.

Le cooperative devono essere in grado di migliorare la proposta formativa ai loro “associati” sapendo che la competitività negli appalti sarà subordinata ad una qualità di servizi. Questo metterà in moto le finanze pubbliche e gli investimenti dello Stato sui Comuni. E così si genereranno circoli virtuosi.

Occorre dunque una Legge quadro che migliori e non depauperi antropologicamente la legge 104. Sotto ogni profilo. Questo andava fatto e poi andava pensato un Decreto Inclusione per la Scuola. È mancata mens, è mancato ordine, è mancato il cuore.

Suggerimenti conclusivi 

In questo breve percorso non abbiamo analizzato tanti altri punti di un documento comunque complesso. Ad esempio abbiamo tralasciato il tema dell’autodeterminazione già introdotto dalla normativa DL 66 del 2017 e che andrebbe analizzato adeguatamente per non incorrere in mode che hanno impianto soggettivistico e che tanto danno fanno alla nostra società.

Non siamo andati a fondo sulla figura dell’Educatore Scolastico, la quale merita un approfondimento a parte.

In parte nel abbiamo parlato qui, per chi desidera approfondire La figura dell’Assistente all’Autonomia ed alla Comunicazione per evitare discriminazione diretta ed indiretta

Non abbiamo approfondito il ruolo dell’Osservatorio che andrebbe rivisto per includere il più possibile tutte le voci presenti nel territorio nazionale in accordo con il Ministero della Famiglia e delle Pari Opportunità e il Ministero a favore delle persone con Disabilità.

Non abbiamo trattato adeguatamente del primo passaggio ineludibile, il Profilo di Funzionamento, che in questa fase è stata trascurata e che crea un vulnus giuridico che genererà a catena anche dei ricorsi. Come si è potuto fare il Decreto del Nuovo PEI senza pensare anzitutto al Profilo di Funzionamento che disciplina ed introduce il PEI e che vede la primigenia co-redazione a favore della Persona con Disabilità con le parti coinvolte, tra cui la Famiglia? Questo è stato un grave errore, come costruire una casa partendo non dalle fondamenta ma dalle finestre. Ma chi – animato da un minimo di buon senso – farebbe così?

Per ora ci limitiamo a dare dei semplici suggerimenti operativi in scaletta di priorità.

Ineludibili ed immediati:

Occorre, quanto prima, correggere DI 182 togliendo il termine (e dunque la sotterranea mens) “esonero”. Proponiamo di inserire al suo posto la seguente dicitura normativa:

siano adottati criteri di sostituzione adeguata rispettosi dei principi di Inclusione, in tutte le prospettive bidirezionali che l’Inclusione comporta, e che, nel contempo, siano rispettosi della persona e delle sue potenzialità.

Anche il Debito di Funzionamento, così come concepito non va bene per i motivi suesposti. Proponiamo che sia ripristinato il rapporto 1:1 ma non in maniera sinallagmatica ma secondo mens inclusiva in maniera deontologicamente attenta nel rispetto del lavoro del GLO. Non occorrono controlli intermedi che penalizzano automaticamente il lavoro sia di formazione del GLO che il suo ruolo.

Occorre togliere la dicitura (e la mens) degli oneri di spesa a pag. 65 ed anzi, al suo posto ribadire che tutto quello che deve essere indicato per favorire la Corresponsabilità e l’Inclusione, nelle due direzioni, deve essere chiaramente inserito. Basta manipolazioni a monte dei documenti PEI con la patina dell’inclusività. Tutti gli elementi del GLO sono invitati alla Corresponsabilità. La figura del DS ha funzione parallela al suo ruolo Istituzionale e in questo, a-latere, deve saper orchestrare non comandare. Non decide ma fa sì che il Gruppo di lavoro lavori bene e che ogni sua parte dia il massimo senza prendere, come talvolta accade, le difese dei “suoi” insegnanti.

La Famiglia, come abbiamo ribadito più volte, non è ospite dell’Istituzione Scuola ma è la Scuola che in maniera suppletiva collabora all’educazione della Famiglia. Questo non si dimentichi mai e si valorizzi tutto l’apporto straordinario che la Famiglia può dare come membro di diritto (non solo partecipante) del GLO. Nel contempo la Famiglia sia aiutata, servita, supportata in quelle situazioni che necessitano metabolizzazione, alleggerimento, facilitatori, supporto educativo dallo Stato.

Tra l’altro a questo servirebbe il Ministero della Famiglia e delle Pari Opportunità. Perché le pari opportunità nascono da un aiuto a 360 gradi alla Famiglia.

Nel contempo a questi punti immediati ci si concentri senza perdere tempo sul Profilo di Funzionamento rispettando i criteri che abbiamo largamente esposti, di Corresponsabilità e di coinvolgimento paritetico per dignità e ruolo della Famiglia, di attenzione fortemente inclusiva e senza la spada di Damocle delle “risorse di bilancio” sospesa sulla testa della Persona con Disabilità. Questo per avviare, in una redazione concorde, un buon documento PEI. Un buon “durante-noi” non è solo un buon “dopo-di-noi”, un Buon documento PEI è uno sguardo profetico sul futuro non solo della persona con disabilità ma della società che profondamente desideriamo.

Ineludibili a medio respiro:

Anzitutto occorre istituire un Ministero delle parti sociali per le persone con disabilità che abbia solide basi antropologiche e di personalismo giusnaturalistico a protezione dei meccanismi discriminatori e in difesa della persona con disabilità, Ministero che indichi le necessità senza tenere conto di risorse di bilancio e sia pienamente valorizzante e rispettoso della Famiglia della persona con disabilità.

In secondo luogo occorre promuovere una nuova Legge Quadro che migliori in sostanza, Fondamenti e Diritto, la legge 104, le sue profetiche intuizioni e vedendo, nella stesura, la partecipazione più ampia possibile di Ministeri e dei corpi intermedi e delle famiglie nella stesura. Tale stesura legislativa veda dunque la partecipazione più ampia possibile dal territorio nazionale di un Osservatorio a favore delle Persone con Disabilità e con la partecipazione ineludibile delle loro famiglie.

In terzo luogo occorre correggere il DL 66 con un nuovo Decreto Inclusione che veda il perfezionamento di questo del 66 anzitutto nella partecipazione dei Ministeri, e cioè si veda includere nella stesura il Ministero della Famiglia e il Ministero per le Persone con Disabilità o meglio ancora, come accennavamo ad un Ministero delle parti sociali per le persone con disabilità.

Tale nuovo decreto deve correggere tutte le confusioni normative in merito alla dignità della Famiglia e delle Persone con Disabilità nei punti in contraddizione e che sono ossimorici per natura, mens e finalità e che purtroppo tendono a privilegiare, in sottofondo, le “risorse di Bilancio”. 

Questo comporterà un adeguato rifacimento del Profilo di Funzionamento e di un eventuale Nuovo PEI con decreti, realmente interministeriali che rispettino la Famiglia, la Persona con Disabilità e le Istituzioni che stanno a servizio delle persone con disabilità.

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