Amare il Papa – cinque lettere di santa Caterina da Siena

Lettera CCCXIII1Al Conte di Fondi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e fratello in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi vero lavoratore della vigna dell’anima vostra, acciocchè rapportiate il molto frutto al tempo della ricolta, cioè nel tempo della morte, nel quale ogni colpa è punita, e ogni bene è rimunerato. Sapete che la Verità eterna creo noi all’imagine e similitudine sua: di noi fece il suo tempio dove egli vuole abitare per Grazia, se piace al lavoratore di questa vigna di lavorarla bene e drittamente. Che s’ella non fusse lavorata, ma abondasse di spine e di pruni; già non sarebbe da abitarvi. Or vediamo, carissimo padre, che lavoratore ci ha posto questo maestro. Hacci posto il libero arbitrio, in cui è commessa tutta la governazione. Écci la porta della volontà: che neuno è che la possa aprire o serrare, se non quanto il libero arbitrio vuole. Hacci posto il lume dell’intelletto, per cognoscere gli amici e i nemici, che volessero entrare e passare per la porta: alla qual porta è posto il cane della coscienzia, che abbaia quando gli sente apparire, se egli è desto e non dorma. Questo lume ha discerto e veduto il frutto: traendone la terra, acciò che ‘l frutto rimanga netto; mettelo nella memoria, la quale è un granaio, ritenendovi il ricordamento de’ beneficii di Dio. Nel mezzo della vigna-ha posto il vassello del cuore, pieno di sangue. per inaffiare con esso le piante, acciocchè non si secchino. Or cosi dolcemente è creata e ordinata questa vigna; la quale, anco dicemmo che era tempio di Dio, dove esso abita per Grazia. Ma io m’avveggo che ‘l veleno dell’amor proprio e del perverso sdegno ha avvelenato e corrotto questo lavoratore, intanto che la vigna nostra è tutta insalvatichita; o egli ci è frutto che ci dà frutto di morte, o egli ci sono salvatichi e acerbi, perocchè i seminatori rei delle dimonia visibili e invisibili passarono per la porta della volontà: gl’invisibili per la porta delle molte cogitazioni e varie; e li visibili con laidi e malvagi onsigli, sottraendoci con parole finte e, doppie e piacentieri, e con malvagi costumi, dalla verità. Di quello seme che essi hanno in loro, di quello porgono a noi. Seminandolo col libero arbitrio, nacquene frutto di morte, cioè di molti peccati mortali. Oh quanto è laida quella misera vigna a vedere! Che di vigna, è fatta bosco, con le, spine della superbia e dell’avarizia, e co’ pruni dell’ira e dell’impazienzia e disobedenzia, piena d’erbe velenose. Di giardino è fatta stalla, dilettandoci noi di stare nella stalla dell’immondizia. Questo nostro giardino non è chiuso, ma è aperto: e però i nemici de’ vizii e delle dimonia v’entrano come in loro abitazione. La fonte è risecca; ch’è la Grazia la quale trassimo del santo battesimo in virtù del sangue; il qual sangue bagnava, essendone pieno il cuore per affetto d’amore. Il lume dell’intelletto non vede altro che tenebre, perchè privato del lume della santissima fede; non vede nè cognosce altro che amore sensitivo. Di questo empie la memoria; onde altro ricordamento non ha, nè può avere, mentre che sta cosi, se non di miseria, con disordinati appetiti e desiderii.

Hacci posto una vigna appresso, questa dolce Verità eterna; cioè il prossimo nostro: la quale è unita tanto insieme, che utilità non potiamo fare alla nostra, che non sia fatta anco alla sua. Anco, ci è comandamento che noi la governiamo come la nostra, quando ci è detto: «Ama Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come te medesimo».

Oh quanto è crudele questo lavoratore che sì male ha governata la vigna sua, senza nessuno frutto, se non d’alcuno atto di virtù, il quale è si acerbo, che neuno è che ne possa mangiare! Ciò sono le operazioni buone fatte fuore della carità. Oh quanto è misera quell’anima che nel tempo della morte, il quale è un tempo di ricolta, ella si truova senza veruno frutto! La prova le fa cognoscere la morte sua; e nella morte cognosce il suo male; e però va cercando allora d’avere il tempo per poterla governare, e non ha il modo. Lo ignorante uomo credeva poter tenere il tempo a suo modo; ed egli non è così.

Adunque è da levarsi nel tempo presente che ci è prestato per misericordia, O carissimo padre, vogliate cognoscere in che stato trovate e vedete la vigna vostra. Dogliomi infino alla morte che il tiranno del libero arbitrio v’ha fatto di giardino che gettava esempio di virtù e di verità e lume di fede ora l’ha pervertito di giardino in bosco. E che frutto di vita può fare, essendo voi tagliato dalla verità, e fattone perseguitatore, e dilatare la bugia; trattane la fede, messavi la infedeltà? E perchè vi fate male di morte? Per l’amore che avete alla propria sensualità, e per sdegno conceputo contro il Capo vostro. E non vediamo noi che ‘l sommo Giudice non dorme sopra di noi? Come potete voi fare quello che non dovete fare, contra il capo vostro? Come se verità fosse che Papa Urbano VI non fosse veramente papa! Conciosiacosachè nel segreto del cuore voi teniate quello che è, cioè che egli è sommo e vero pontefice: e chi altro dice, è eretico reprovato da Dio, non fedele nè cattolico uomo, ma Cristiano rinegato, che niega la fede sua. Questa doviamo tenere, che è il papa eletto con elezione ordinata, e vicario di Cristo in terra; e lui doviamo obedire infino alla morte. E eziandio se a noi fosse padre crudele in tanto che ci cacciasse con rimproverio dall’un capo del mondo all’altro con ogni tormento, non doviamo però scordarci, nè perseguitare questa verità.

E se voi mi diceste: «A me è stato riporto il contrario, che papa Urbano VI non sia in verità sommo pontefice»; io vi risponderei, che io so che Dio vi ha dato tanto lume che, se voi non vel tollete con la tenebra dell’ira e dello sdegno voi cognoscerete che chi ‘l dice, mènte sopra ‘l capo suo, e sè medesimi si fanno menzogneri, ritrattando quella verità che hanno porta a noi, e porgonla in bugia. Ben so che cognoscete chi li ha mossi quelli che tenevano luogo di verità, posti per dilatare la fede: ora hanno contaminata la fede e dinegata la verità; levata tanta scisma nella santa Chiesa, che degni sono di mille morti. Troverete che non gli ha mossi altro che quella passione che ha mosso voi medesimo, cioè l’amore proprio, che non potè sostenere la parola, nè reprensione aspra, nè la privazione della terra, ma concepette sdegno, e parturì il figliuolo dell’ira. Per questo si privano del bene del cielo, essi, e chiunque fa contra questa verità. Le ragioni che si possono vedere a manifestazione di questa verità sono sì piane e sì chiare e sì manifeste, che ogni persona bene idiota le può intendere e vedere; e però non mi distendo a narrarle a voi, che so che sete di buon cognoscimento; e cognoscete la verità di quello che è. E cosi la teneste, confessaste, e faceste riverenzia.

Increscemi che io veda tanto insalvatichita l’anima vostra, che faccia contra questa verità. Come il pate la coscienzia vostra, che voi, il quale sete stato figliuolo obediente e sovvenitore della santa Chiesa, ora abbiate ricevuto siffatto seme che non produce altro che frutto di morte? E non tanto che dia morte a voi; ma pensate a quanti sete cagione, dell’anima e del corpo; de’ quali vi converrà render ragione dinanzi al sommo Giudice. Non più cosi, per l’amore di Dio! Umana cosa è il peccare, ma la perseveranzia nel peccato è cosa di dimonio. Tornate a voi medesimo, ricognoscete ‘l danno dell’anima e del corpo: chè la colpa non passa impunita, massimamente quella che è fatta contra la santa Chiesa. Questo sempre s’è veduto. Però vi prego, per amore del sangue che con tanto fuoco d’amore fu sparso per voi, che umilmente torniate al padre vostro, che vi aspetta con le braccia aperte, con gran benignità, per fare misericordia a voi e a chiunque la vorrà ricevere.

Levisi la ragione col libero arbitrio, e cominciamo a rivoltare la terra di questo disordinato e perverso amore: cioè, che l’affetto, che è tutto terreno e d’altro che di cose transitorie non si vuole nutricare (le quali passano tutte come ‘l vento, senz’alcuna fermezza o stabilità) diventi celestiale, cercando i beni del cielo, quali sono fermi e stabili che in sè non hanno alcuna mutazione. Apriamo la porta della volontà a ricevere il seminatore vero, Cristo dolce Gesù crocifisso; il quale porge nella mano del libero arbitrio il seme della dottrina sua, il quale seme produce i frutti delle vere e reali virtù. Le quali virtù, col lume, il libero arbitrio ha scelte dalla terra: cioè che le virtù non le ha seminate nè ricolte in sè per veruno terreno amore o piacere umano, ma con odio e dispiacimento di sè medesimo: nè le ha gettate fuore; e il frutto è riposto nella memoria; per ricordamento delli beneficii di Dio, ricognoscendo d’averli da lui, e non per sua propria virtù. Che arbore ci pone? L’arbore della perfettissima carità: che la cima sua s’unisce col cielo (cioè nell’abisso della carità di Dio): i rami suoi tengono per tutta la vigna: onde mantengono in freschezza li frutti; perchè tutte le virtù procedono e hanno vita dalla carità. Di che s’inaffia? non d’acqua ma di sangue prezioso sparso con tanto fuoco d’amore, il quale sangue sta nel vasello del cuore, come detto è. E non tanto che egli ne inaffi questa vigna dolce e dilettevole giardino; ma egli ne dà bere al cane della coscienzia abondantemente, acciocchè, fortificato, facci buona guardia alla porta della volontà, acciò che niuno passi che esso none li faccia sentire, destando col grido suo la ragione; e la ragione col lume dell’intelletto ragguardi se sono amici o nimici. Se sono amici che ci siano mandati dalla clemenzia dello Spirito Santo (ciò sono i santi e buoni pensieri, schietti consigli, e perfette operazioni), siano ricevuti dal libero arbitrio, disserrando la porta con la chiave dell’amore. E se sono nemici di perverse cogitazioni, li cacci con la verga dell’odio, con grandissimo rimproverio: noia si lassino passare, se non sieno corrette; serrando la porta della volontà, che non consenta a loro.

Allora Dio, vedendo che il lavoratore del libero arbitrio, il quale egli mise nella vigna sua, ha ben lavorato in sè e in quella del prossimo suo, sovvenendolo in ciò che gli è stato possibile per dilezione ed affetto di carità; egli si riposa dentro in quell’anima per Grazia. Non, che per nostro bene a lui cresca riposo, peró che non ha bisogno di noi; ma la Grazia sua si riposa in noi: la quale Grazia ci dà vita, e rivesteci, ricoprendo la nostra nudità. Dacci il lume; e sazia l’affetto dell’anima: e, saziata, rimane affamata. Dálle ‘l cibo, ponendola a mangiare alla mensa della santissima croce; nella bocca del santo desiderio dà il latte della divina dolcezza; pigliando con essa la mirra dell’amaritudine dell’offesa di Dio e dell’amaritudine della croce, cioè delle pene che il Figliuolo di Dio portò; dálle incenso d’umili, continue e fedeli orazioni, le quali offra molto festinamente per onore di Dio, e salute dell’anime. Oh quanto è beata quest’animal Veramente ella gusta vita eterna. Ma noi, ingrati, non ci curiamo di questa beatitudine: che se noi ce ne curassimo, eleggeremmo innanzi la morte, che di volere perdere tanto bene. Leviamo questa ignoranzia con ogni verità: cercandola in verità, andaremo colà dove Dio l’ha posta. Che se noi la cercassimo altrove, già non la troveremmo. Detto abbiamo come noi siamo vigna, e come ella è adornata, e come Dio vuole che ella sia lavorata. Ora dove ci ha posti? Nella vigna della santa Chiesa. Ine ha posto il lavoratore, cioè Cristo in terra, il quale ci ha amministrare il sangue; col coltello della penitenzia, la quale riceviamo nella santa confessione, taglia il vizio dell’anima, nutricandola al petto suo, legandola col legame della santa obedienzia. E senza questa vigna, la nostra sarebbe ruinata. La grandine le torrebbe ogni frutto, se ella non fosse legata in questa obedienzia.

Adunque vi prego, che umilmente con grande sollecitudine torniate a questo giogo. Cercate il lavoratore e la vigna dell’anima vostra nella vigna della santa Chiesa: altramente, sareste privato d’ogni bene, e cadereste in ogni male. Ora è il tempo. Per l’amore di Dio, escite di tanto errore; chè, passato il tempo, non c’è più rimedio. Tosto ne viene la morte, che noi non ce n’avvediamo; e si ci ritroviamo nelle mani del sommo Giudice. Duro ci è ricalcitrare a lui. Son certa che, se sarete vero lavoratore della vigna vostra, voi non indugerete più a tornare; ma con grande umiltà ricognoscerete le colpe vostre dell’offesa di Dio, chiederete di grazia al padre che vi rimetta nell’ovile suo. Altramente, no. E però vi dissi ch’io desiderava di vedervi vero lavoratore nella vigna dell’anima vostra: e così vi prego strettamente quanto so e posso. Ragguardate che l’occhio di Dio è sopra di voi. Non aspettiamo il suo flagello: chè egli vede lo intrinseco del cuore Nostro.

Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Perdonatemi, se troppo v’ho gravato di parole: chè l’amore ch’io ho alla salute vostra, e il dolore di vedervi offendere Dio e l’anima vostra, n’è cagione; e non ho potuto tacere ch’io non vi dica la verità.

Gesù dolce, Gesù amore.

Note

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1 Al Conte di Fondi.

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