Pell, verdetto unanime per un’accusa surreale. Quale esito per l’appello?

Il Processo della Cattedrale

Pell è stato accusato e condannato per quattro capi d’accusa di atti osceni su un minore di età inferiore a 16 anni e per l’accusa di penetrazione sessuale sempre ai danni di un minori di 16 anni. L’accusa è stata condotta dal Pubblico Ministero Mark Gibson, secondo cui i fatti si sarebbero verificati da dicembre 1996 all’inizio del 1997, nel giro di pochi mesi dalla nomina di Pell ad Arcivescovo di Melbourne (avvenuta a luglio), dopo la celebrazione delle messe solenni nella Cattedrale di Saint Patrick. La difesa è stata affidata al legale Robert Richter, uno dei principi del foro australiano, che gode del titolo di QC (Queen’s Counsel). Vista la rilevanza del caso, ha presieduto la corte il giudice Peter Kidd, un magistrato sia a Capo della Corte dello Stato della Victoria, che membro della Corte Suprema d’Australia. L’iter si è svolto in due fasi, ovvero due processi distinti, ad Agosto-Settembre e Novembre-Dicembre 2018. Il secondo processo è stato aperto a seguito dell’incapacità della giuria di 12 giurati di pervenire ad un verdetto unanime o forte di una maggioranza 11 a 1, dopo le 5 settimane del primo processo. I 12 giurati e gli altri 2 di riserva della seconda giuria (previsti per assicurare la presenza dei 12 durante tutto il periodo prolungato) sono stati inizialmente selezionati da un campione di 250. Il giudice Kidd aveva tra le proprie priorità la selezione di giurati che non avessero pregiudizi a favore o contrari rispetto alla Chiesa Cattolica, in un momento critico come quello attuale per l’opinione pubblica australiana. Il secondo processo è durato 4 settimane e si è concluso dopo 3 giorni di delibera.

Secondo diversi report di area cattolica il primo processo al Cardinal Pell in agosto-settembre 2018 avrebbe visto la giuria spaccata con un 10-2 in favore di Pell. Questa informazione, data dal Daily Beast e dalla Catholic News Agency a dicembre (parte della copertura precoce in violazione al “suppression order”) non è supportata dalle cronache giudiziarie dei presenti tra il pubblico, né trai contrari né tra i favorevoli alla condanna. Qui si è scelto di ometterlo perché non sono trovati riscontri credibili.
I reporter e gli altri osservatori presenti non dicono in quale senso la prima maggioranza necessaria non è stata raggiunta, ma dalle espressioni descritte tra i giurati, di commozione, si può intuire che invece la tesi preponderante fosse già allora quella dell’accusa. Il giudice ha dunque stabilito che il verdetto non poteva essere raggiunto per mancanza di chiarezza nel quadro di evidenze proposte.

I processi contro il cardinale Pell erano accessibili al pubblico, posto che si sapesse in quale aula della Corte Distrettuale di Melbourne recarsi. Il pubblico ha potuto assistere a tutte le testimonianze e gli elementi presentati in forma integrale come prove dall’accusa, salvo la testimonianza di una delle due presunte vittime, che è pervenuta al pubblico solo tramite le citazioni dei rappresentanti dalle parti in causa o nella presentazione del capo d’imputazione del giudice alla giuria. La testimonianza della vittima è stata ricevuta a porte chiuse nel primo processo, presentata in registrazione come prova al secondo e l’identità del testimone è rimasta riservata: l’intero impianto accusatorio è basato su questa testimonianza. L’altra presunta vittima, deceduta nel 2014, non ha mai parlato dell’evento con nessuno e ha negato di essere stato oggetto di abusi quando la madre gliel’ha domandato anni dopo (sebbene alla giuria sia stato detto che è defunto in “circostanze accidentali”, la causa è stata un’overdose di eroina). Gli altri testimoni, tra cui più d’una dozzina di uomini che da bambini sono stati cantori nel coro della Cattedrale, sono stati chiamati allo scopo di avvalorare o smentire la testimonianza del denunciante.

La versione di Pell

La testimonianza chiave è stata ascoltata dalla giuria per due giornate e mezzo d’udienza in videocollegamento, per un giorno il rappresentante della difesa Robert Richter ha potuto controinterrogarlo (Richter ha la nomea d’essere uno dei legali più abili nel controinterrogatorio in Australia). Al contrario, Pell non ha voluto presentare nessuna controprova, ma solo una registrazione di 45 minuti del suo interrogatorio con il Sergente Ispettore della Polizia dello stato della Victoria Christopher Reed, avvenuto all’Hilton Hotel dell’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma il 19 ottobre 2016. In quell’occasione il cardinale ascoltava attentamente le domande dell’ufficiale, screditandole una per una come «un carico di assoluta e vergognosa immondizia», «prodotto della fantasia», «falsità totali, follia», dicendosi sicuro che «con un poco di fortuna, saprò dimostrarne la controfattualità punto per punto» e prendendo nota per cominciare a preparare la propria difesa. Pell non è perciò andato al banco dei testimoni in nessun momento dei due processi, con la difesa che si proponeva di confutare la tesi dell’accusa evidenziandone la debolezza intrinseca.

Labuso secondo la testimonianza

Il testimone racconta di due episodi che lo vedono vittima di Pell, cui riferiscono i 5 capi d’imputazione.

Il primo sarebbe accaduto verso mezzogiorno, al termine di una Messa Solenne – rintracciata nella memoria come svoltasi nella seconda metà del 1996 – quando lui ed un altro cantore del coro della Cattedrale di Saint Patrick, entrambi 13enni, si allontanano dalla processione d’uscita dalla navata, in vena di marachelle, per rientrare in cattedrale dall’ingresso sud ed attraversando i corridoi arrivano nelle sacrestie. Lì trovano una credenza aperta contenente vino per la consacrazione e ne bevono alcuni sorsi a testa, gratificati della propria trasgressione. Li sorprende l’arcivescovo Pell, in paramenti liturgici e solo. Sulla soglia chiede loro «Che state facendo qui? Oh… siete nei guai!» ed, entrando infila le mani sotto gli abiti, estrae il membro e afferra per il capo l’altro ragazzino. Il testimone implora «Ci può lasciar andare? Non abbiamo fatto nulla», ma l’arcivescovo lo mette da parte e continua premendo il viso del ragazzino contro i propri genitali. La violenza prosegue per un minuto o due, mentre il primo ragazzino rimane attonito ad una distanza di non più di due metri. Dopodiché Pell si volge a lui, il testimone, costringendolo a subire una penetrazione orale e a svestirsi dei pantaloni, per tastargli i genitali. Terminato l’abuso, il testimone si riveste e i due ragazzini escono dalla sacrestia e si dirigono verso gli spogliatoi del coro e riconsegnano le tonache [secondo la Davey del Guardian, avrebbero tentato di ricongiungersi alla processione].

Più breve il secondo episodio, a distanza di qualche mese. Sempre al termine di una Messa Solenne, l’arcivescovo avrebbe assalito il testimone nei corridoi della cattedrale, spingendolo contro il muro e tastandogli nuovamente i genitali senza proferir parola. L’atto si sarebbe consumato in pochi secondi.

1 commento

  1. Credo che la situazione sia tale che non si possano nutrire illusioni o false speranze.
    Non è detto che l’appello sia concesso ( nei sistemi di comun law il ricorso in appello non è automatico), né che la sentenza , per quanto irragionevole, sia rovesciata.
    Se si è arrivati a celebrare un secondo processo e a condannare un cardinale , in base ad una sola testimonianza risalente a decenni passati e di circostanze , altamente improbabili, vuol dire che non ci sono le condizioni perché si svolga un processo equo.
    Il cardinal Pell sembra essere il perfetto capro espiatorio della copertura di pedofili, nonché bersaglio perfetto dell’opinione pubblica , soprattutto , progressista che si ricorda quanto sia orribile la pedofilia quando imputato è un cattolico, per le sue posizioni in tema di vita e famiglia .
    Non resta che pregare e sperare che lo Spirito Santo illumini i giudici e sostenga il Cardinale nel suo calvario.

Di’ cosa ne pensi