Pell, verdetto unanime per un’accusa surreale. Quale esito per l’appello?

George Pell's lawyer, Robert Richter, leaves the County Court followed by protestors during a break in Cardinal George Pell's trial at County Court in Melbourne, Australia, 27 February 2019. Cardinal Pell, once the third most powerful man in the Vatican and Australia's most senior Catholic, has been found guilty of child sexual abuse after a trial in Melbourne. EPA/DAVID CROSLING AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OUT

Dalla divulgazione del verdetto di condanna del Cardinale George Pell, gli atti processuali, sui quali è scaduto l’embargo della corte di Melbourne, rivelano un quadro indiziario estremamente debole ai suoi danni. In attesa della sentenza con l’irrogazione della pena all’ex-Prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede, prevista per il 13 marzo, si presentano la cronaca del dibattimento e le prospettive per il ricorso in appello.

Il presente contributo è comparso in due puntate sul quotidiano La Croce, edizioni del 27 febbraio e del’1 marzo.


La notizia della condanna del cardinale George Pell non era certo inattesa, anticipata da più di due mesi di indiscrezioni semi-ufficiali, con un “suppression order” (un divieto di divulgazione) pendente sul processo sui casi degli anni ‘90, a tutela dei coinvolti di un secondo processo, come spesso avviene in casi del genere, in una seconda serie di accuse risalenti a quando Pell era sacerdote a Ballarat negli anni ’70. Il 25 febbraio è stata rimossa l’ordinanza del giudice Peter Kidd, così sono emerse anche le prime certezze relative al processo contro il ministro delle finanze vaticane “in congedo”, ruolo che è comunemente noto come “il numero 3” della Santa Sede, dal già arcivescovo di Sidney e Melbourne ricoperto dal 2014 fino al 2017. A giugno di quell’anno, di comune accordo con Papa Francesco, Pell decise di lasciare il Vaticano per la natia Australia. Lì voleva difendersi di fronte alle autorità giudiziarie nel processo denominato «cathedral trial», confidando di uscirne incolpevole. Una speranza razionalmente fondata e sorprendentemente disattesa.

L’informazione ha giocato un ruolo deleterio nel manipolare i fatti riguardanti il caso. All’indomani della sentenza segretata, il 12 dicembre 2018, diversi media internazionali hanno violato l’ordine del giudice, per gettarsi in una competizione disinformativa (inevitabile, vista l’assenza dei loro giornalisti in aula) innescata dall’irresistibile notizia del prelato di più alto grado di sempre giudicato colpevole di abusi: tra loro la CNN, il Washington Post, il Daily Beast, vari media australiani locali e naturalmente diverse testate o blog di area cattolica. La violazione ha avuto come conseguenza l’avviso a più di 100 giornalisti da parte del Pubblico Ministero della Victoria che minacciava un procedimento ai loro danni con pene fino alla carcerazione, per la cancellazione di gran parte degli articoli pubblicati a dicembre. Le lettere oltre che dal PM sono state emesse anche dal giudice Kidd, che ha definito l’onda mediatica come un tentativo di influenzare la sentenza del futuro processo sulla seconda serie di accuse. La copertina dello Herald Sun, il tabloid di Melbourne, ha simboleggiato perfettamente il clima che si respirava.


Il mondo sta leggendo di una storia davvero importante, una storia rilevante per i Victorian. Al The Herald Sun è stato impedito di pubblicare di pubblicare dettagli riguardo questa notizia significativa.
Ma, fidatevi di noi, è una storia che i Victorian meritano di leggere».

Tra gli otto giornalisti e reporter giudiziari presenti ai processi che non hanno violato l’ordine c’erano invece Melissa Davey e Emma Younger, delle divisioni australiane del Guardian e di ABC News. Entrambe hanno prodotto dei pezzi sostanziosi e spesso tendenti all’emotivo da cui si può ricavare una versione verosimilmente in buona parte aderente agli atti giudiziari, seppur filtrati da una prospettiva tesa a dar più spazio all’accusa e a marginalizzare gli elementi corroboranti l’impianto difensivo. Il resoconto meglio circostanziato del dibattimento ci viene invece offerto da un articolo di padre Frank Brennan SJ su The Australian: il gesuita, eminente giurista e attivista per i diritti umani nell’isola, ha seguito il procedimento per la gran parte del suo svolgimento. Incrociando i report, si offre qui un resoconto selezionato per delineare il quadro più esaustivo.

1 commento

  1. Credo che la situazione sia tale che non si possano nutrire illusioni o false speranze.
    Non è detto che l’appello sia concesso ( nei sistemi di comun law il ricorso in appello non è automatico), né che la sentenza , per quanto irragionevole, sia rovesciata.
    Se si è arrivati a celebrare un secondo processo e a condannare un cardinale , in base ad una sola testimonianza risalente a decenni passati e di circostanze , altamente improbabili, vuol dire che non ci sono le condizioni perché si svolga un processo equo.
    Il cardinal Pell sembra essere il perfetto capro espiatorio della copertura di pedofili, nonché bersaglio perfetto dell’opinione pubblica , soprattutto , progressista che si ricorda quanto sia orribile la pedofilia quando imputato è un cattolico, per le sue posizioni in tema di vita e famiglia .
    Non resta che pregare e sperare che lo Spirito Santo illumini i giudici e sostenga il Cardinale nel suo calvario.

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