Nell’attesa struggente che finalmente i Cieli stillino dall’alto

Siamo in Avvento inoltrato e ancora la mia casa è spoglia di decorazioni: niente presepe, niente albero, niente luci sul balcone e sull’abete in giardino, niente pacchetti nascosti negli angoli più remoti degli armadi più remoti, al riparo dal fiuto dei figli segugio.

Quest’anno non abbiamo tempo: purtroppo mio padre ha avuto un incidente stradale e ora tutta la famiglia è presa da una lunga e difficile convalescenza, per cui strappiamo le ore agli impegni per stargli vicino il più possibile, sopprimendo allenamenti in palestra di un figlio, lezioni di canto di una figlia, uscite con gli amici, persino colloqui con gli insegnanti. Figurarsi se ci avanza il tempo per fare shopping ai mercatini di Natale o andare ai concerti (di Sfera Ebbasta come del coro gospel della città).

È un Avvento dove l’attesa è anelito e veglia: attendiamo la guarigione, attendiamo la parola del medico, attendiamo il consiglio del fisioterapista, attendiamo la data dell’ennesimo spostamento di reparto, attendiamo l’agognata dimissione. E vegliamo, accanto all’incoscienza dei sedativi o alla sofferenza a volte furiosa del dolore. 

Nel turbinio di giorni in cui pure le notizie mi scivolano addosso in fretta, ho letto di rapinatori uccisi, gillet gialli che marciano nelle strade, e poi pure spaccano vetrine e rivoltano macchine; ragazzi schiacciati dalla calca in una discoteca, dove erano ammassati per ascoltare le rime sconnesse e volgari di un trapper; gang di spregiudicati che spruzzano spray urticanti per derubare; ora pure un attentato ai mercatini di Natale. 

Vorremmo un Avvento fatto di attesa ansiosa e friccicarella, come quando si aspetta una bella sorpresa o si organizza una festa. Vorremmo solo fare preparativi allegri e spensierati.

Siamo alla ricerca di episodi edificanti che parlino d’amore, come figli di assassinati che abbracciano i figli di assassini, per poterci ancora dire l’un l’altro che il bene vince sempre.

Eppure l’ufficio delle letture di questi giorni è tutto meno che tranquillo: Isaia che dipinge sfracelli, con toni più che depressivi:

La terra è stata profanata dai suoi abitanti,
perché hanno trasgredito le leggi,
hanno disobbedito al decreto,
hanno infranto l’alleanza eterna.
Per questo la maledizione divora la terra,
i suoi abitanti ne scontano la pena;
per questo sono bruciati gli abitanti della terra
e sono rimasti solo pochi uomini.
Lugubre è il mosto, la vigna languisce,
gemono tutti.
È cessata la gioia dei timpani,
è finito il chiasso dei gaudenti,
è cessata la gioia della cetra.

San Giovanni della Croce che bacchetta la disperazione affamata di chi azzarda pretese con Dio:

Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo, e va cercando cose diverse e novità.

Salmi che esprimono la sofferenza di chi subisce ingiustizie che nessuno punisce:

Sono rimasto quieto in silenzio: tacevo privo di bene, *
la sua fortuna ha esasperato il mio dolore.
Ardeva il cuore nel mio petto, *
al ripensarci è divampato il fuoco.

È la prima volta che mi rendo conto del tono così drammatico e cupo delle letture di Avvento, gli anni passati ero distratta dal clima prefestivo del periodo, convinta in fondo che prepararsi al Natale significasse accendersi le lucine dentro, diventare festosa, decidere di essere serena. Probabilmente è il primo anno che capisco il significato dell’Avvento.

In effetti ha senso l’attesa di qualcosa solo se questo qualcosa ci manca. E a mancarci non è tanto l’amore, quanto la pace: dare un senso al dolore; un significato all’arrancare faticoso della vita; una meta al nostro vagare ramingo. Ci serve la pace col creato e con la vita, nel senso che abbiamo bisogno di trovare il nostro posto, più in una prospettiva temporale che spaziale, per allungarci verso l’alto, in uno sguardo a grand’angolo che disveli il quadro complessivo, o un pezzo sufficiente di esso, per farci dire “ok, va bene così”. Va bene anche così.

Per questo i mercatini di Natale, o le ammucchiate ai centri commerciali, tutti sbarluccichìo di luminarie e musichine natalizie, dove la gente cerca endorfine nello shopping, nobilitato dall’idea che si compra per fare regali, non possono rappresentare il tempo d’Avvento cristianamente inteso, che invece è una discesa nel fango del realismo più spietato a riguardo della condizione umana, in cui attendiamo la venuta del Salvatore: non siamo noi che diventiamo più buoni o più belli; non siamo noi che eleviamo lo spirito, cancellando rancori e dolori con un colpo di spugna; non siamo noi che cacciamo le ansie della vita accendendo le lucine dell’albero. È Dio che scende dove siamo noi: accanto ad un letto di ospedale, nel mio caso.

Mio padre parla di testamento, noi diciamo “nooo, nooo” scuotendo le mani e la testa, che son discorsi da non fare, e poi non servono, tutto passerà, ma intanto si è aperta una finestra gigantesca sul passato e sul futuro, si è accesa una corrente che ci trascina via tutti, travolti dalla commozione e dalla gratitudine per l’amore ricevuto, per questa vita spremuta, bevuta a sorsi abbondanti e generosi, che avrebbe potuto chiudersi di botto, per una ruota che slitta su una banchina. Che presto o tardi un giorno in effetti si chiuderà, anche se non vorremmo mai.

Ripenso alle immagini passate alla TV: la panoramica dei volti di genitori e ragazzi, assiepati nella hall del pronto soccorso la sera della tragedia di Ancona. Tanto sgomento, tanti pianti. Su una sedia un padre, con la figlia ragazza seduta sulle sue ginocchia, come una bambina, che ride con gli occhi traboccanti di gioia. Per qualcuno è tragedia, per qualcun altro sollievo. È una ruota che gira, oggi a me, domani a te. Ma Dio nasce proprio lì, dove il nostro numero è estratto a sorte e si beve fiele, perché è lì, tra i poveri della terra, che si attende per davvero. Bisogna essere vuoti, per farsi riempire. Il Natale non è la festa di chi sta allegro, ma la buona notizia per chi piange:

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero.

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