Contro quelli che accusano il Papa di eresia

Small drops of blood stain Pope Francis' white cassock after knocking his face next to his eye on the popemobile in Cartagena, Colombia, 10 September 2017. Pope Francis arrived to Cartagena to honor St. Peter Claver, a 17th-century Jesuit who ministered to the tens of thousands of African slaves who arrived in the port to be sold. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

E sì che doveva essere la domenica “della Parola di Dio”. Invece ce la siamo trovata impestata da parole così troppo umane da suonare quasi diaboliche. Alcuni hanno attribuito ad Hans Urs von Balthasar la frase: «Il problema di quando Paolo VI ha deposto la tiara è che da quel giorno ogni cattolico se l’è messa in testa». L’abbia detta o non detta, una simile frase, mai la sua veridicità appare lampante come in questi giorni sciagurati in cui pare che alcuni considerino l’essenza del cattolicesimo il sedersi ogni giorno davanti ai discorsi del Santo Padre con la matita blu per vedere se passa l’esame di dottrina. In altre epoche – in cui gli uomini colti leggevano più di quanto scrivessero e gli incolti non ardivano di cimentarsi coi primi – l’ipotesi di un Papa eretico agitò per secoli gli studiosi. Oggi dai social network la frase “il Papa è eretico” si riversa al suolo con la leggerezza con cui si lasciano cadere i gusci delle noccioline durante una passeggiata1Per non dire che fastidio dia il sentirsi tacciati di “normalismo” (se non di peggio!) quando si rammenta che dichiarare eretico un Papa è cosa da far tremare le vene ai polsi. Per quel poco che conta la mia personale opinione, oggi qui cercherò di esprimerla con chiarezza cristallina, così che non mi si tacci di essere “bergogliano” solo perché non gioco al piccolo inquisitore scismatico..

C’è di che rimpiangere i Dubia

In più occasioni, in privato e in pubblico, ho espresso un giudizio di sostanziale apprezzamento dei Dubia dei quattro (più due) cardinali su Amoris lætitia; contestualmente ho sempre espresso scetticismo circa l’opportunità del rendere pubblico quel testo, che non aveva ricevuto risposta dal Papa2Il Papa ha fatto male a non rispondere? Può darsi, ma questo lo giudicherà solo la Storia (oltre che il suo Signore): di sicuro nessuno può rivendicare il diritto a ricevere risposte dal Papa, appunto perché non esiste il dovere del Papa di rispondere a una lettera di chicchessia.. Il fatto che il Santo Padre non abbia dato risposta a quegli eminentissimi collaboratori è senz’altro un dato di cui tenere conto, quando ci si accinge all’analisi: lo abbiamo visto investire il suo prezioso tempo in attività apparentemente anche meno urgenti e importanti di questa; se non convoca perlomeno a colloquio informale quel pugno di porporati è perché evidentemente non vuole. Suoni ciò sgradevole quanto si vuole, i fatti sembrano questi: resta da comprendere la ragione di ciò. Io non ho conferito col Santo Padre, come pure non lo hanno fatto i sei cardinali né qualcuno di questi sessantadue scismatici in pectore: questi però (i “teologi”, non i cardinali) insistono col dire che il Papa è incappato nell’eresia – in sette distinte eresie (bontà loro!); io, nel mio piccolo, mi ostino a cercare qualunque spiegazione alternativa a questa.

Le ragioni che mi do

E una spiegazione me la do, in effetti, e da qualche parte l’ho già scritta (mi scuso dunque per la ripetizione): il Santo Padre sa bene che niente decide la vita di un atto magisteriale quanto la sua ricezione, e pure che i tempi fisiologici per la ricezione ecclesiale di un documento sono ben più lunghi del papato medio che un uomo delle sue età e condizione può ragionevolmente attendersi3L’esempio che faccio spesso è quello della Costituzione Apostolica (mica bruscolini…) Veterum sapientia, che Giovanni XXIII firmò nel 1962 e che gli fu praticamente messa nella prima cassa quando lo seppellirono: tutte le credenziali in ordine, un taglio impegnativo e autorevole ai massimi livelli, ma quel documento è lettera morta e niente lo risusciterà.. Insomma, è mia idea che Amoris lætitia sia un testo “teologicamente palindromo”, cioè composto in tale modo da poter essere letto in senso perfettamente ortodosso oppure eterodosso ed eversivo.

Tanta gesuitica sottigliezza, però, sarebbe stata impiegata a quale fine? Per il sadico piacere di confondere i fedeli? Evidentemente no, questa confusione anzi fa verosimilmente parte dei mali collaterali a cui Papa Francesco si mostrava consapevole di andare incontro quando diceva: «Preferisco una Chiesa incidentata a una Chiesa ammalata». Papa Francesco vuole una Chiesa “in uscita” a costo di esporla al rischio di incidenti. Fuor di metafora, gli “incidenti” altro non sono che la confusione – ma giustamente il Papa non si cura dei battages sui social… – e perfino il grave rischio che, seguendo insegnamenti erronei, delle persone si rovinino la vita e (Dio non voglia!) si dannino eternamente. E sì che la salus animarum – lo ricorda anche il Codice di Diritto Canonico – è la suprema lex Ecclesiæ: dunque il fine del Papa in queste ardite e rischiose scelte non può riguardare alcunché di inferiore.

Note

Note
1 Per non dire che fastidio dia il sentirsi tacciati di “normalismo” (se non di peggio!) quando si rammenta che dichiarare eretico un Papa è cosa da far tremare le vene ai polsi. Per quel poco che conta la mia personale opinione, oggi qui cercherò di esprimerla con chiarezza cristallina, così che non mi si tacci di essere “bergogliano” solo perché non gioco al piccolo inquisitore scismatico.
2 Il Papa ha fatto male a non rispondere? Può darsi, ma questo lo giudicherà solo la Storia (oltre che il suo Signore): di sicuro nessuno può rivendicare il diritto a ricevere risposte dal Papa, appunto perché non esiste il dovere del Papa di rispondere a una lettera di chicchessia.
3 L’esempio che faccio spesso è quello della Costituzione Apostolica (mica bruscolini…) Veterum sapientia, che Giovanni XXIII firmò nel 1962 e che gli fu praticamente messa nella prima cassa quando lo seppellirono: tutte le credenziali in ordine, un taglio impegnativo e autorevole ai massimi livelli, ma quel documento è lettera morta e niente lo risusciterà.
Informazioni su Giovanni Marcotullio 296 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

6 commenti

  1. Anche qui non mi lascia incollare l’estratto di Ratzinger, credo a causa della lunghezza del testo! Riporto dunque la sintesi:

    Da “Teologia della Liturgia”, Volume XI dell’Opera Omnia, pagg. 422-424

    “La tesi secondo cui l’Eucaristia apostolica si ricollega alla quotidiana comunità conviviale di Gesù con i suoi discepoli […] viene in ampi circoli radicalizzata nel senso che […] si fa derivare l’Eucaristia più o meno esclusivamente dai pasti che Gesù consumava con i peccatori.

    “In tali posizioni si fa coincidere l’Eucaristia secondo l’intenzione di Gesù con una dottrina della giustificazione rigidamente luterana, come dottrina della grazia concessa al peccatore. Se infine i pasti con i peccatori vengono ammessi come unico elemento sicuro della tradizione del Gesù storico, si ha per risultato una riduzione dell’intera cristologia e teologia su questo punto.

    “Ma da ciò segue poi un’idea dell’Eucaristia che non ha più nulla in comune con la tradizione della Chiesa primitiva. Mentre Paolo definisce l’accostarsi all’Eucaristia in stato di peccato come un mangiare e bere “la propria condanna” (cf. 1 Cor 11, 29) e protegge l’Eucaristia dall’abuso mediante l’anatema (cf. 1 Cor 16, 22), appare qui addirittura come essenza dell’Eucaristia che essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condizione preliminare. Essa viene interpretata come il segno della grazia incondizionata di Dio, che come tale viene offerta immediatamente anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti, una posizione che, comunque, ha ormai ben poco in comune anche con la concezione che Lutero aveva dell’Eucaristia.

    “Il contrasto con l’intera tradizione eucaristica neotestamentaria in cui cade la tesi radicalizzata ne confuta il punto di partenza: l’Eucaristia cristiana non è stata compresa partendo dai pasti che Gesù ebbe con i peccatori. […] Un indizio contro la derivazione dell’Eucaristia dai pasti con i peccatori è il suo carattere chiuso, che in questo segue il rituale pasquale: come la cena pasquale viene celebrata nella comunità domestica rigorosamente circoscritta, così esistevano anche per l’Eucaristia fin dall’inizio condizioni d’accesso ben stabilite; essa veniva celebrata fin dall’inizio, per così dire, nella comunità domestica di Gesù Cristo, e in questo modo ha costruito la ‘Chiesa'”.

  2. Caro Marcotullio, capisco e apprezzo la sua indignazione di cattolico a vedere il Papa censurato come eretico. Ma mi sembra che nella sua lunga difesa di Francesco lei non centri il nocciolo del problema. Bergoglio è eretico? Non saprei dire, e qualunque cosa dicessi non sarebbe che una opinione. Nel “liberi tutti” teologico che è seguito al Vaticano II è difficile dire che cosa sia ortodosso e che cosa sia eretico. E lo stesso Bergoglio non si è trattenuto dal citare il caso di Antonio Rosmini, a dimostrazione di come la Chiesa cambi opinione, e chi prima era considerato eretico poi viene beatificato. Ma se non è chiaro che cosa sia ortodosso e che cosa eretico, allora la stessa figura del Papa perde senso: non parlando più a nome della giusta dottrina, come definita nel passato dai concili, allora la sua diventa una opinione tra le altre, alla quale altri possono opporre la loro. Questa era già la situazione della Chiesa prima di Bergoglio, basti pensare ai forti dissensi nei confronti di Benedetto XVI, Ma con lui è esplosa in pieno. Non c’è più “Roma locuta, causa soluta”. E qualunque esercizio del potere pontificio può passare per autoritaria imposizione di una opinione sulle altre. Nel frattempo, non possiamo far altro che esercitare la nostra ragione, che san Tommaso d’Aquino segnalava come l’elemento comune necessario in qualunque disputa, di cristiani tra loro e con gli ebrei o con chi non è né cristiano né ebreo. E pregare.

    • Non c’è mai stato “Roma locuta, causa finita”: Agostino lo diceva – come sempre lo dicevano nell’area di Cartagine (generalmente bizzosa e poco propensa a prendere ordini da Roma) – quando Roma gli dava ragione. Quando non gli dava ragione anche lui tempestava di lettere i Papi, fino a quando – diremmo per ridere – non li prendeva per sfinimento. E san Bernardo? E Bellarmino? Potremmo citare centinaia di casi analoghi. Il punto è che questo delicatissimo esercizio di verità si può fare solo nella più limpida carità (difatti quelli che ho citato sono santi, come anche Rosmini: Fellay no). E se di carità se ne intravede ancora molta nei Dubia (almeno fino alla loro pubblicazione) questo testo invece – imbastito male e compilato peggio – non lascia trasparire che malcelato livore.

  3. Sono lieto che hai avuto modo, pur sofferto, di stendere due righe su questa dei 62. In merito di AL ne parlai su La Croce Quotidiano. Il vero problema rimane il discernimento delle situazioni. Dolentemente pochi sono i sacerdoti che sono in grado di poterlo compiere correttamente. Perché il discernimento necessita di sapienza, di grazia di stato “slegata” e non rattrappita, di vita fraterna robusta e del “tempo superiore allo spazio”. Per tale motivo tale documento in alcune sue parti a me appare profetico oltre che palindromo, come correttamente dici, ma sicuramente non è un documento semaforo. E, nel contempo, sicuramente non è documento slegabile da Humanæ Vitæ e da Familiaris Consortio. Qui la riflessione di diverso tempo addietro. https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/alcune-note-difficili-intorno-all-esortazione-amoris-laetitia.html

  4. Grazie Giovanni Marcotullio.
    Condivido ciò che hai scritto con lo spirito e con la mente e con il cuore parola per parola (a parte quelle troppo “alte” per la mia scarsa cultura teologica, che però condivido lo stesso … sulla fiducia!).
    Devo confessare che, ogni volta che leggo qualche commento (critico) su Amoris Laetitia, mi viene in mente una regola sull’interpretazione teologica, che mi ha colpita moltissimo, enunciata da te (citando… non mi ricordo chi…), in una bellissima trasmissione su Sant’Ireneo, a Radio Maria.
    È una affermazione che ho sentito profondamente vera e mia.
    Ovviamente vado a memoria (il che non è una garanzia) cercando di riportarla nel modo più letterale possibile, e mi perdonerai se sbaglierò, ma più o meno il senso suonava così: “Nulla può essere letto e interpretato, se non in totale unione con tutte le Scritture, tutto il Magistero, tutta la Dottrina, tutto il Catechismo”.
    Io l’ho sentita subito mia, perché da avvocato, conosco molto bene la pratica della “citazione estrapolativa” che pretende, da una frasetta, di indicare il senso ultimo di una sentenza (nel mio caso), di un Vangelo, di un Catechismo o di un’Esortazione (in teologia)…
    E il senso che ne ho tratto, da esegeta giuridica (che segue la regola di nomofilachia per cui, se una norma può essere interpretata in modo costituzionalmente legittimo, ma anche in modo costituzionalmente illegittimo, la prima interpretazione è quella giusta da preferirsi e la seconda deve essere scartata e rigettata), è che ogni parola in materia di Fede deve essere sempre interpretata in unione con la Scrittura, il Magistero, la Dottrina e il Catechismo, alla luce del senso dottrinariamente corretto che se ne può trarre.
    Mentre invece, se una interpretazione può olezzare di eresia, allora deve escludersi che possa essere quella voluta da chi ha pronunciato o scritto quella parola.
    Seguendo tale metodo, l’errore non è di chi ha scritto l’Amoris Laetitia, ma di chi la legge e la interpreta in maniera scorretta, attribuendole senso, fini, e odori che non le sono propri, perché contrastanti con tutto quello che la precede e la segue.
    Ed ecco che ritrovo tutto ciò nella tua chiosa:
    “Io penso, in conclusione, che sia compito di tutti i teologi e degli studiosi, laici o chierici, l’approfondire il dettato dell’esortazione apostolica ricevendola anzitutto con il «devoto ossequio dell’intelletto e della volontà» (cosa che non sembra venga fatta sempre, da costoro…); dandone poi una lettura che sia veramente conforme ai contenuti del Magistero precedente e che quello stesso Magistero illumini e approfondisca nelle sue ragioni e nei suoi fini. Se le conferenze episcopali sbagliano, altri Vescovi hanno il diritto e il dovere sacrosanto di entrare in dialettica con loro, e se serve anche in polemica. Perfino noi laici abbiamo, in misura diversa e proporzionata, questo sacrosanto diritto/dovere. La prima sede, invece, non può essere giudicata da nessuno.”

  5. Il Papa deve essere chiaro quando parla “da Papa” , o peggio, quando scrive. Non sono quindi d’accordo che sia corretto, per un Papa, rimanere nel vago: “il vostro parlare sia sì sì, no no. Il di più viene dal maligno”. Preghiamo perché il Signore illumini questa Chiesa e la guidi fuori della tempesta perfetta che si sta scatenando contro di lei. Sono tempi difficili per la Cristianità ma, soprattutto, per la fede di ciascuno di noi. Che Santa Maria Ausiliatrice ci sia vicina e ci conduca a Cristo. Maria Regina degli Apostoli, prega per noi.

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