“Opinione cattolica” e “opinion makers cattolici”

di Georges Bernanos1Si nous nous taisons, qui parlera? (settembre 1940), ora in Le Chemin de la Croix-des-Âmes, in Essais et écrits de combat, vol. II, Gallimard, Paris 1995, pp. 250-253. Traduzione di Emiliano Fumaneri.

Dato che l’altro giorno mi sono permesso di parlare del «silenzio che ci condanna», un lettore mi scrive per rimproverarmi d’aver messo in causa l’opinione cattolica, quando invece avrei dovuto denunciare la negligenza dell’opinione universale. Questo lettore mi sembra aver poco riflettuto sull’etimologia della parola «cattolica», che ha precisamente lo stesso senso della parola «universale». In una crisi in cui si gioca il destino dell’anima umana, se noi tacciamo, chi parlerà?

Per il resto, mi è fin troppo chiaro che l’opinione cattolica non può avvalersi della stessa infallibilità della Chiesa. Tuttavia, ancorché non sia infallibile, nemmeno dovrebbe far mostra di certe ridicole contraddizioni, non solamente da una frontiera di un paese all’altra, ma all’interno di limiti molto più ristretti ancora. 

Come spiegare, ad esempio, che quella stessa stampa religiosa francese che sei mesi fa aveva gettato fango, in nome della morale e dell’onore cristiani, sulla capitolazione del re del Belgio2Su La Croix del 30 maggio 1940 si leggeva ad esempio: «Il re Leopoldo ha tradito, ma il governo belga resta fedele al Belgio, fedeli agli alleati, fedele al dovere» [N.d.R.]., oggi cerchi di giustificare quella di Pétain

Un altro lettore biasima amaramente la mia «distinzione gesuitica» tra l’opinione e la coscienza cattolica. Se davvero fossi, in qualche maniera, gesuita, non lo sarei, in effetti, che per alcuni difetti comunemente rimproverati ai membri di questa Compagnia, sentendomi del tutto incapace, ahimé!, di imitarne le virtù. Ma la mia distinzione non è affatto «gesuitica», nel senso in cui intende il mio corrispondente. La coscienza cattolica è sotto la custodia di Dio, dei dottori e dei santi, sta al sicuro nel regno dello spirito. L’opinione cattolica appartiene piuttosto alla lettera, e la Scrittura non ci dice forse che la lettera uccide e che lo spirito, invece, vivifica? La coscienza cattolica si è formata nel silenzio e nella solitudine di vite nascoste, si arricchisce senza posa delle meditazioni, dei sacrifici e delle preghiere di migliaia di esseri oscuri, il nome dei quali è noto a Dio solo e che «serbano tutte queste cose nel loro cuore» come si dice nel Vangelo della Vergine Maria, loro indicibile modello. Essi lottano, soffrono, e il frutto delle loro lotte e delle loro sofferenze risplende all’improvviso – il più delle volte dopo la loro morte – nelle formule infallibili, nelle massime bronzee con cui l’autorità sovrana costruisce ciò che Charles Maurras un giorno ha chiamato, in maniera magnifica, il tempio delle definizioni del dovere. I responsabili dell’opinione cattolica, al contrario, non sono ignorati in vita, si agitano molto, parlano ancor di più, non potrebbero accreditare a proprio conto la famosa frase di Léon Bloy: «Il silenzio è la mia patria». Ma se è vero che sono i responsabili dell’opinione cattolica, abbiamo il diritto di dire che ne sono i padroni? Le persone costrette a parlare molto cedono, presto o tardi, alla tentazione di parlare senza dire niente. D’altronde non si dirige una opinione come si governano le coscienze, e troppo spesso accade che, credendo di dirigerla, ci si trovi ad esserne diretti, divenendone gli schiavi.

Una volta un eminente gesuita francese, di cui sono amico, nel deplorare la posizione presa dalla rivista della sua Compagnia, Les Études, nei riguardi del mio libro I grandi cimiteri sotto la luna, dove denunciavo le migliaia di assassini commessi a Maiorca nel nome della religione, e dopo aver lealmente riconosciuto che «le informazioni raccolte avevano permesso, del resto, di verificare la perfetta autenticità delle mie parole», mi scriveva:

Nessuno a Études dubita del vostro sentimento profondamente cristiano, e di un cristianesimo dei più evangelici. Anche io debbo riconoscenza ai vostri libri per avermi così potentemente aiutato a meglio prendere coscienza dei princìpi che devono essere la base della nostra vita. Perché, tuttavia, il Padre du Passage3Qui si allude all’articolo di Henri du Passage, «Un cauchemare à Majorque» [Un incubo a Maiorca] (Études, t. CCXXXV, 20 maggio 1938, pp. 517-521), dove tra le altre cose si legge: «Se la protesta del signor Bernanos procede da una sofferenza e da una indignazione sincere, essa resta non di meno la protesta di un libellista più avvezzo a usare dell’ironia e a prestarsi all’ingiuria  che a confessare la purezza dell’ideale evangelico» (p. 517). Nella conclusione, il gesuita confessa di provare «una vera tristezza nel vedere un grande talento smarrirsi e perdersi in questi meandri pieni di astio» (p. 521) [N.d.R.]. è stato così aspro, così chiuso sotto certi aspetti? Penso che egli abbia assunto la visuale che deve essere quella della maggioranza dei suoi lettori. In questo ambiente non ci si rassegna se non in casi estremi ad abbandonare una leggende agiografica, non si acconsente mai a riconoscere le colpe e i vizi di un prelato, a stento si dubita della santità di un Alessandro VI. Ambiente ignorante, pudibondo, che si rifiuta di comprendere il Vangelo. Sono persone che non hanno mai colto la beatitudini della povertà, che trattano da socialisti i preti che ricordano l’eminente dignità del povero o che insegnano che Gesù ha beatificato la condizione sociale del povero e non solamente una disposizione morale verso la povertà. Cattolici che vedono nella Chiesa soprattutto una potenza di questo mondo, una grandezza istituzionale, e che hanno devotamente raccolto l’eredità del farisaismo, talvolta professando delle ammirabili virtù. Il Padre du Passage, che non ne condivide i sentimenti, ha forse voluto trattarli con riguardo, oppure ha voluto esprimere il loro giudizio più probabile?…        

Tale è la terribile forza dell’opinione comune, vale a dire della mediocrità. Il contatto quotidiano con lei consuma le energie, smussa i caratteri, fa perdere mordente alle sincerità. L’incredulo che pretende di giudicare a partire dall’attuale opinione cattolica delle vere risorse ancora a disposizione della Cristianità contro il paganesimo si espone invero a numerosi errori di valutazione. L’opinione cattolica media è necessariamente quella del cattolico medio e questa opinione, quale si esprime nei giornali o nei dibattiti, può ben apparirgli trascurabile, in effetti. Ma se si vuol riflettere un momento, si converrà sul fatto che l’ultima chance degli uomini liberi non risiede in un movimento dell’opinione cattolica: noi fondiamo ogni nostra speranza in una reazione universale del senso cristiano. Che essa oggi ancora non si faccia può indurci a credere che non si farà domani. Questo tragico ritardo, tuttavia, può anche essere il segno che il grande evento che annuncio, una volta di più, con tranquilla certezza, sarà tanto più folgorante quanto più sarà partito da lontano, dal basso, dal profondo della coscienza dei popoli battezzati.  

Note

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1 Si nous nous taisons, qui parlera? (settembre 1940), ora in Le Chemin de la Croix-des-Âmes, in Essais et écrits de combat, vol. II, Gallimard, Paris 1995, pp. 250-253. Traduzione di Emiliano Fumaneri.
2 Su La Croix del 30 maggio 1940 si leggeva ad esempio: «Il re Leopoldo ha tradito, ma il governo belga resta fedele al Belgio, fedeli agli alleati, fedele al dovere» [N.d.R.].
3 Qui si allude all’articolo di Henri du Passage, «Un cauchemare à Majorque» [Un incubo a Maiorca] (Études, t. CCXXXV, 20 maggio 1938, pp. 517-521), dove tra le altre cose si legge: «Se la protesta del signor Bernanos procede da una sofferenza e da una indignazione sincere, essa resta non di meno la protesta di un libellista più avvezzo a usare dell’ironia e a prestarsi all’ingiuria  che a confessare la purezza dell’ideale evangelico» (p. 517). Nella conclusione, il gesuita confessa di provare «una vera tristezza nel vedere un grande talento smarrirsi e perdersi in questi meandri pieni di astio» (p. 521) [N.d.R.].

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