Olivier Rey sulla nuova legge bioetica: ma quale progresso, la prima natura da rispettare è quella umana

di Eugénie Bastie1Da Le Figaro del 01/10/2019. Traduzione di Emiliano Fumaneri.

La legge bioetica, che tra le altre cose autorizza la PMA per le coppie di donne e per le donne single, è in discussione all’Assemblea nazionale. Il filosofo e matematico Olivier Rey2In lingua italiana sono usciti Itinerari dello smarrimento (Edizioni Ares) e Dismisura. La marcia infernale del progresso (Controcorrente)., autore di Leurre et malheur du transhumanisme [Tranello e disgrazia del transumanismo], si interroga sulla marcia ineluttabile del «progressismo» malgrado gli avvertimenti di numerosi esperti sul carattere problematico di certi «avanzamenti».

Le Figaro: In un rapporto del giugno 2017, il Comitato consultivo nazionale di etica (CCNE) si era pronunciato a favore dell’apertura della procreazione medicalmente assistita, elencando allo stesso tempo nel suo rapporto tutti i problemi insolubili che questa apertura avrebbe generato. Anche l’Accademia di medicina ha presentato le proprie preoccupazioni. Come spiegare il divario tra la perizia e le conclusioni?

Olivier Rey: Non bisogna dimenticare una cosa: i membri del CCNE, i cui pareri dovrebbero – così si ritiene – chiarire le idee ai governanti, sono per la maggior parte nominati dai governanti stessi. È così che nel quinquennio di François Hollande più della metà dei membri sono stati sostituiti di colpo, in maniera da ottenere un comitato di ispirazione massicciamente «progressista». Pertanto era scontato il parere sull’apertura dell’inseminazione con donatore a ogni donna che dovesse farne richiesta. Il comitato è stato composto per giungere a conclusioni di questo genere. Ciononostante, il succitato comitato prima di statuire procede a delle audizioni e i suoi membri sono persone dotate di intelligenza. I formidabili problemi sollevati dall’uso di certe tecniche al di fuori di ogni indicazione terapeutica non potevano dunque mancare di essere evienziati. Ne risulta un rapporto spaccato a metà: da un lato gli argomenti che avrebbero potuto condurre a un parere negativo, dall’altro, contro ogni evidenza, un parere positivo.

Sembra che nessun argomento possa valere contro la marcia in avanti dell’«uguaglianza»…

Non è serio giustificare questo parere con la preoccupazione per l’«uguaglianza». Una donna sola o due donne non sono mai state in grado di fare un bambino, non c’è nulla di «medico» nella procedura che sarà loro offerta, e dunque nessuna discriminazione nel fatto che la procedura in questione sia stata riservata, fino ad ora, a un uomo e a una donna in età per procreare e sofferenti di infertilità. Del resto è quanto affermava il CCNE nel 2005: «La PMA (procreazione medicalmente assistita, NDR) è sempre stata destinata a risolvere un problema di sterilità di origine medica e non a venire in aiuto a una preferenza sessuale o a una scelta di vita sessuale. L’apertura della PMA all’omoparentalità o ai single aprirebbe di fatto le porte di un tale utilizzo a ogni persona che dovesse esprimerne il desiderio e costituirebbe probabilmente allora un abuso dell’interesse individuale sull’interesse collettivo. La medicina sarebbe semplicemente chiamata a soddisfare un diritto individuale al figlio».

In questo caso, l’«uguaglianza» è solo un pretesto capzioso al servizio del progresso dell’individualismo, che si spinge fino a negare che servano un uomo e una donna per fare un figlio. Per i «progressisti», questo genere di innovazioni sociali sono assolutamente necessarie, perché è quasi tutto quel che resta per far credere che, malgrado le difficoltà che si accumulano per gran parte della popolazione, le cose «avanzano».

La legislazione che chiamiamo «bioetica» si limita forse a registrare l’evoluzione dell’opinione pubblica?

Jean-François Delfraissy,
presidente del CCNE

Io non la vedo così. In un’intervista concessa l’anno scorso a Valeurs actuelles, Jean-François Delfraissy – attuale presidente del CCNE – si è lasciato andare a questa sorprendente confidenza: «Non so cosa siano il bene e il male». Dato che il dizionario definisce l’etica come la scienza del bene e del male, ne consegue che Delfraissy senza dubbio non si trova al suo posto alla presidenza di un comitato di etica. In realtà sì, si trova al suo posto se prendiamo coscienza del fatto che la bioetica non è stata inventata per sottomettere le biotecnologie a dei princìpi etici ma per fare in modo che l’etica non vada a ostacolare lo sviluppo delle biotecnologie. In parole povere: la bioetica è lì per approvare ciò che l’etica riprova. Si obietterà che il CCNE non avalla ogni cosa, al contrario. Tuttavia i limiti che riconosce sono solo provvisori: il comitato oggi si oppone a qualcosa solo per acconsentirvi domani. Come ha ben sintetizzato Jacques Testart, «la funzione dell’etica istituzionale è di abituare la gente agli sviluppi tecnologici per portarla a desiderare al più presto ciò di cui oggi ha paura. […] Il Comitato di etica è prima di tutto un comitato di benvenuto allo sviluppo tecnoscientifico. Certe tecnologie oggi sono accolte molto male ma se entro quindici o vent’anni saranno bene accette, in parte questo sarà stato grazie ai comitati di etica, che avranno detto: “Bisogna sviluppare la ricerca, bisogna fare attenzione, bisogna attendere un poco, c’è bisogno di una moratoria… ”. Tutte affermazioni che non hanno nulla a che vedere con un divieto e che permettono di abituarsi all’idea». Detto in altra maniera, lo stato dell’opinione pubblica – col quale si pensa di giustificare l’evoluzione della legislazione «bioetica» – è una opinione abilmente lavorata, in particolar modo da parte di quello strumento che sono i comitati di etica, che devono preparare il terreno, dare l’impressione che tutto sia frutto di una riflessione matura e «rigorosamente ponderata».

Uno degli argomenti utilizzati per modificare le leggi bioetiche è che certe pratiche sono autorizzate in altri paesi e che inesorabilmente bisognerà occuparsene. Cosa le ispira un simile ragionamento?

Negli anni Trenta alcuni eugenisti americani hanno indirizzato una lettera al loro governo per allertarlo sugli sforzi prodotti dai tedeschi in materia di eugenetica e sul pericolo che avrebbero corso gli Stati Uniti a farsi distanziare in questo campo. Come si vede, l’argomento «lo fanno in altri paesi» può servire a qualunque cosa. Nell’intervista citata in precedenza, Jean-François Delfraissy sottolineava che «in Cina c’è una scienza che avanza, ci sono delle rotture rispetto ai grandi princìpi che prevalgono da noi». Da qui a pensare che pure noi, per continuare ad avere «una scienza che avanza», dovremmo rompere con questi princìpi non c’è che da fare un passo. Dovremmo anche adottare il diritto del lavoro cinese per avere «una industria che avanza», ecc.

Dal momento che non viviamo in un compartimento stagno, non possiamo ignorare quanto si fa altrove e dobbiamo tener conto delle tensioni provocato dal divario tra le differenti legislazioni. Ma queste difficoltà non costituiscono una ragione sufficiente affinché la legislazione nazionale permetta qualcosa col pretesto che si pratica da qualche parte. A questo punto, in tempi in cui si cerca di fare economia, tanto varrebbe sbarazzarsi dell’Assemblea nazionale e sostituirla con una semplice sala di registrazione delle leggi più liberali adottate in altri paesi. D’altro canto, cosa c’è di più sciocco della perenne ossessione del «ritardo francese»? Siamo in grave ritardo su questo, siamo in grave ritardo su quello… C’è una frase di Sartre che amo molto: «Nelle nostre società in movimento i ritardi danno qualche volta un anticipo» (Le parole).

Vent’anni fa i fautori del Pacs affermavano che non ci sarebbe mai stato il matrimonio omosessuale. Oggi i fautori della PMA ci dicono che non ci sarà mai la GPA. Bisogna credergli?

Evidentemente no. Ho già evocato l’inversione di rotta del CCNE sull’apertura all’inseminazione con donatore a tutte le donne. Ciò che era fuori discussione nel 2005 è diventato raccomandabile nel 2017. Nel 2017 la GPA viene esclusa, la sua autorizzazione avrà luogo la prossima volta. Osserviamo che nel 2013, al momento della discusssione della legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’attuale primo ministro Édouard Philippe aveva sottoscritto, congiuntamente con Nathalie Kosciusko-Morizet, un manifesto in cui spiegava: «Ci opporremo risolutamente alla PMA per le coppie di donne omosessuali e alla GPA che, in nome dell’uguaglianza, non mancherà di essere reclamata in seguito». Si può ben vedere quale credito si debba concedere al suo attuale rifiuto della GPA.

L’attuale progetto di legge «bioetica» è stato affidato ad Agnès Buzyn, ministro della Salute, anche se si fatica a capire cosa mai abbia a che fare con la salute la «PMA per tutte». È vero che ancora meno ha qualcosa a che fare con l’uguaglianza tra le donne e gli uomini promossa da Marlène Schiappa – uguaglianza alla quale, giusto all’opposto, è lei per prima a contravvenire permettendo alle donne, grazie all’intervento di uno Stato-raccoglisperma, di concepire senza bisogno di un uomo e di avere dei figli senza padre. Come dichiarava qualche anno fa Édouard Philippe, il solo mezzo di stabilire l’uguaglianza sarà allora quello di permettere la GPA. Del resto è già cominciata la campagna politico-mediatica in questa direzione.

Man mano che l’ecologia diventa una preoccupazione planetaria, la «natura» ambientale viene santificata, mentre la «natura» umana viene sempre più artificializzata. Come spiegare questo paradosso?

Lo sfruttamento a oltranza della natura e la sua santificazione sono le facce opposte di una stessa medaglia. Il punto in comune tra le due posizioni sta nella situazione di esteriorità e di dominio nei riguardi della natura: in un caso per asservirla, nell’altro per prenderla sotto la propria protezione. Questa situazione di esteriorità impedisce ai protettori della natura di riconoscere che anche noi siamo portatori di una natura da rispettare. Così la loro hybris trasformatrice, non potendo indirizzarsi verso il mondo, si ritorce contro l’umano. Come se fossimo della plastilina pronta ad assumere qualunque forma.

Che spetti agli uomini darsi le leggi che reggono le loro città non implica che possano darsi qualunque legge, in spregio ai dati naturali e agli insegnamenti duramente acquisiti della tradizione. Non essere sottomessi all’ordine delle cose non significa esserne indipendenti e la violenza verso la natura interna all’uomo produrrà risultati altrettanto disastrosi di quelli prodotti dalla violenza verso la natura esterna. È deplorevole che i più accaniti nemici del secondo tipo di violenza possano essere anche ardenti promotori del primo tipo di violenza. Il punto è che non dovremmo tanto «proteggere» la natura. Dovremmo piuttosto conviverci in buona armonia.

Trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino, sembra essersi imposta una «nuova filosofia della storia» sotto forma di liberalismo progressista. Bisogna rassegnarsi a questo?

È vero: era stata decretata la fine delle ideologie. Ma è altrettanto vero che ci troviamo più che mai nel regno dell’ideologia e del partito di “puri” che la porta avanti. Ci sono I buoni, i progressisti, e i lebbrosi da isolare dietro a un cordone sanitario. È costume dei progressisti denigrare chi non condivide la loro visione del mondo accusandolo di cedere alla «paura», la quale sarebbe all’origine di quella terribile cosa che è il «ripiegamento su se stessi». Ma, in primo luogo, c’è una ragione per cui la paura fa parte delle emozioni basilari: essa è ben lungi dall’essere sempre una cattiva consigliera. In secondo luogo, mi sembra che i progressisti di oggi più che esempi di coraggio siano individui così sconvolti dal fatto di vedere le loro convinzioni schiantarsi contro la realtà da preferire rifugiarsi nella negazione e criminalizzare chi non condivide il loro accecamento.

Assisteremo a una inversione di tendenza? Senza dubbio. Ma sarà da temere anche questa inversione di tendenza se essa risulterà sinonimo di eccessi simmetrici a quelli di cui soffriamo attualmente. Vi sono inoltre dei danni irreparabili, delle distruzioni irrimediabili: «Tutto quel che si perde è per sempre perduto», dice Péguy. In sostanza, non mi sento né ottimita né pessimista o disfattista: mi pare che l’essenziale non risieda nelle nostre previsioni azzardate su quel che ci riserva l’avvenire, ma nel modo in cui cerchiamo di mantenere una giusta posizione nel presente.

Note

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1 Da Le Figaro del 01/10/2019. Traduzione di Emiliano Fumaneri.
2 In lingua italiana sono usciti Itinerari dello smarrimento (Edizioni Ares) e Dismisura. La marcia infernale del progresso (Controcorrente).

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