Tradizione cattolica e sacerdozio femminile. Contro Andrea Grillo

Antje Jackelén (primate della Chiesa Luterana di Svezia dal 2014) e la “consorella” Eva Nordung Byström

La storia di un dibattito

Sono trascorsi quasi due anni (era il novembre del 2017) da quando Andrea Grillo prese a scrivere a riguardo della questione dell’ordinazione femminile (qui). L’anno successivo apparse un intervento di Luis Ladária, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con il quale si ribadiva non tanto il contenuto dei numerosi pronunciamenti magisteriali – la Chiesa non ha la facoltà di ordinare donne al sacerdozio – quanto la definitività di quei pronunciamenti (qui); ad esso il nostro teologo rispondeva per ribadire il proprio punto di vista riprendendo ampi stralci del suo primo scritto (che sembra essere stato rimosso dal blog dell’autore, ma di cui avevamo fortunatamente salvato una copia in pdf, disponibile alla lettura qui). Molto più recente e con un ampliamento di prospettive un ultimo articolo (qui), questa volta limitato alla questione del diaconato femminile, che segue ad un Discorso di Papa Francesco (del 10 Maggio 2019, qui). La sequela di interventi è lunga e merita un po’ di riepilogo.

  1. Come risposta al primo articolo di Grillo era apparso un divertissement a firma della Papessa Giovanna (qui), risposta senz’altro ironica, il cui centro consisteva nel restituire a specchio al nostro teologo la responsabilità di una presa di posizione. Grillo infatti chiedeva alla Chiesa di esprimere chiaramente, senza evasione od indifferenza, una risposta alla domanda sorta nel nostro tempo sulla possibilità dell’ordinazione sacerdotale femminile. La Papessa Giovanna mostrava come il documento di Giovanni Paolo II costituisse precisamente la risposta richiesta e che quindi fosse compito di Grillo una risposta senza evasività o indifferenza alla posizione del Magistero ecclesiale1Al di là del valore della replica essa si muove sul piano in quell’occasione scelto da Grillo: un’analisi del valore autoritativo del documento (anzi del serie di documenti) ed un appello all’autorità per una presa di posizione chiara e motivata.. Il contenuto teologico dell’articolo della Papessa era molto limitato e si racchiudeva in due punti:
    1. nell’evidenziare come il pronunciamento di Giovanni Paolo II affermasse chiaramente la definitività della dottrina (definitive tenenda);
    2. e nel mostrare come la stessa formulazione negativa dell’asserzione teologica – «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale» – corrispondesse alla struttura sacramentale della Chiesa, che non ha autorità da se stessa, ma da Cristo stesso.
  2. Dopo un anno, spinto dall’intervento di Ladária, Grillo riprende ciò che già aveva scritto e lo amplia con nuove considerazioni. L’inizio è scoppiettante – cosa comprensibile visto che il Prefetto ri-afferma la definitività dei pronunciamenti sull’ordinazione femminile. Grillo contesta il riferirsi di Ladária alle parole di Gesù («solo la fedeltà alle sue parole, che non passeranno, assicura il nostro radicamento in Cristo e nel suo amore») in quanto sarebbe assurdo che «ci si riferisca alla “fedeltà alla parola di Cristo”, trascurando il fatto, qui decisivo, che sul tema specifico Cristo non ha detto assolutamente nulla»2Credo che qui l’argomento di Grillo sia debolissimo, perché sembra equiparare la “parola di Cristo” con le parole che Gesù avrebbe o meno pronunciate nei Vangeli. Sia teologicamente che persino esegeticamente questa identificazione è del tutto senza fondamento, e sembra sconfinare al limite in una sorta di letteralismo biblico o in una bibliolatria. Precisamente qui ritroviamo rovesciata l’obiezione che Grillo ripete costantemente ovvero che il silenzio riguardo specifiche ed esplicite indicazioni al riguardo non può costituire un argomento teologico. Grillo afferma che la prassi gesuana dei Vangeli nella scelta dei Dodici non è sufficiente a motivare l’affermazione del Magistero chiedendo che quest’ultimo motivi la scelta dei Dodici e non si accontenti di enunciarne il fatto, cioè che i Dodici erano maschi. Strana richiesta in quanto questo questo sarebbe il compito precipuo della teologia, trovare il senso di ciò ch’è l’insegnamento della fede (e non commentare in positivo o in negativo il Magistero); in breve l’appunto dovrebbe essere rivolto alla teologia e non a Ladária (o a Ladária in quanto teologo semmai): perché non si prova a trovare il senso della scelta tutta maschile dei Dodici? Curiosamente la questione viene bypassata tramite la conclusione, molto facile, che una scelta del genere non è normativa o comunque può non essere normativa. Infatti se Ladária afferma che la Chiesa non ha facoltà di cambiare ciò che fa parte della sostanza del sacramento, secondo Grillo l’attribuzione della necessità del sesso maschile per l’ordinazione poggia sull’insufficiente dato della scelta dei Dodici e sulla indebita inserzione del “maschile” nella sostanza di questo sacramento.. Sulla questione delle parole di Gesù sul tema meriterà ritornarci perché sarà lo stesso Grillo a farlo. Ammesso e forse persino concesso che l’argomento della scelta dei Dodici (maschi) da parte di Gesù sia debole – ebbene è compito della teologia comprendere il senso e offrire il quia. Infatti caduta la spiegazione rimane il fatto ovvero la narrazione evangelica e la costante tradizione ribadita da un chiaro intervento del Magistero3Non possiamo tralasciare la scorretta e falsa allusione finale ad un presunto maschilismo di Ladária dopo una citazione della Summa di Tommaso (presente soltanto nell’articolo di Grillo). La Summa spiega infatti il dato dell’esclusività dell’ordinazione maschile con un riferimento alla posizione di soggezione della donna (nella società del tempo) inadatta a significare l’eminenza del sacramento. Questa spiegazione non può che cadere e mostrare una volta di più quanto anche i pensatori più acuti sottostiano ai condizionamenti del tempo in cui essi vivono. Mai però Ladária dà a intendere che pensi qualcosa di simile, anzi ecco cosa afferma esplicitamente il Prefetto: «Certamente, la differenza di funzioni tra l’uomo e la donna non porta con sé nessuna subordinazione, ma un arricchimento mutuo». Inspiegabile, nel testo di Grillo, questa allusione finale indegna di un franco dibattito teologico (che riporto, letteralmente: «Questa conclusione si impone a Tommaso a partire da una lettura antropologica, culturale e sociale che oggi non ha più nulla a che fare con il Vangelo. Purtroppo essa continua ad esercitare qualche influsso e non poco fascino sulle parole preoccupate, ma anche preoccupanti, del Prefetto Ladária»)..
  3. Dopo meno di un anno Papa Francesco ad un incontro con l’Unione Internazionale delle Superiori Generali riprende ed espone i risultati della Commissione di studio sul diaconato femminile, su cui torna dopo il discorso in seguito ad una domanda. I risultati della Commissione non sono entusiasmanti: il consenso è su pochi elementi, mentre esistono poi relazioni private diverse che arrivano a punti diversi. Ma nella risposta alla domanda di una delle Superiore presenti il Papa va più a fondo, teologicamente, della questione. Nella maniera sapiente a lui propria (e parlando a braccio, anche questo gli è proprio) il Pontefice precisa la nozione di sviluppo della Rivelazione. Il tempo, non quello vuoto, ma quello pieno della vita e dell’esperienza della Chiesa, arricchisce la comprensione dei credenti, la loro coscienza morale persino, e ciò permette alla Chiesa come comunità di progredire nella Rivelazione. Per questo motivo il Denzinger non basta, non basta l’indagine storica; per lo stesso motivo lo stesso Pontefice ha dichiarato immorale la pena di morte, quando cinquant’anni fa non si diceva la stessa cosa: la coscienza morale ha uno sviluppo. Proprio perché sviluppo il cambiamento deve trovarsi in un rapporto armonico ed organico con la Rivelazione, il cambiamento deve trovare un fondamento. Particolarmente interessante quando il Pontefice afferma: «E se io vedo che questo che penso adesso è in connessione con la Rivelazione, va bene, ma se è una cosa strana, che non è nella Rivelazione, anche nel campo morale, che non è secondo la morale, non va. Per questo, sul caso del diaconato, dobbiamo cercare cosa c’era all’inizio della Rivelazione, e se c’era qualcosa, farla crescere e che arrivi… Se non c’era qualcosa, se il Signore non ha voluto il ministero, il ministero sacramentale per le donne non va». La conclusione è lasciata in sospeso – anche se per chi si aspettava, come Grillo, virate veloci, questa attesa dev’essere insopportabile – però è indicata una via teologicamente molto ben avvertita.
  4. A qualche giorno di distanza il teologo Grillo risponde a questo intervento con un articolo. Il contributo offerto è duplice, in due parti:
    1. Prima di tutto il nostro teologo riprende la questione dell’esercizio dell’autorità da parte della Chiesa. In particolare nel periodo successivo al Vaticano II essa si sarebbe frequentemente appellata agli invalicabili limiti dell’autorità rispetto al contenuto rivelato della tradizione operando così nella linea di quella che Grillo definisce «la tentazione di “blocco della tradizione”». Tale tentazione impedirebbe l’ascolto dei segni dei tempi da parte della Chiesa imprigionandola nell’autoreferenzialità.
    2. La seconda parte intende offrire un concreto esempio di superamento della tentazione suddetta attraverso il riferimento alle disposizioni del Concilio di Trento che ribadiscono la legittimità dell’uso invalso e sanzionato autoritativamente di comunicare i fedeli sotto una specie soltanto.

In questa breve sintesi abbiamo i momenti salienti di questa querelle teologica riguardante il sacerdozio femminile. Rispetto al penultimo momento deve essere evidenziato lo spostamento, teologico e strategico allo stesso tempo, dalla questione del ministero sacerdotale femminile a quello del ministero diaconale. L’intervento di Papa Francesco riguarda infatti quest’ultimo argomento di studio e dibattito. Il Pontefice non si limita a presentare i dati offerti dalla Commissione di studio, ma offre invece un abbozzo essenzialissimo di una teologia dello sviluppo del dogma. Per questo motivo molto opportunamente Grillo non si limita a offrire una relazione alternativa per lo studio della questione (cosa fatta dai diversi componenti la Commissione), ma discute invece in maniera radicale la funzione dell’autorità magisteriale della Chiesa (genitivo soggettivo) e quindi quella presentazione della teologia dello sviluppo del dogma abbozzata nel discorso succitato. Va dato merito preliminare a Grillo di non essersi perso in questioni minute di storia del ministero4L’attenzione alle “minuzie” della storia del dogma non manca affatto, ma è sempre funzionale ad un procedere autenticamente teologico, ciò che rende le minuzie non periferiche., ma di mantenersi fermo su quello che fin dall’inizio è stata la pointe della questione ovvero il ruolo dell’autorità ministeriale dei pastori nello sviluppo del dogma, come comprensione crescente della Rivelazione, in relazione al procedere della storia come orizzonte culturale, ma in prospettiva rigorosamente teologica. Almeno da questo punto di vista Grillo offre una buona possibilità di discutere sulla questione a partire da nodi teologici centrali:

  • dove si fonda e come si esercita l’autorità magisteriale della/nella Chiesa?
  • in che senso va inteso lo sviluppo del dogma?
  • qual è il senso del ministero ordinato?
  • come ci si può riferire alla Rivelazione come Parola di Gesù nel dirimere questioni irrisolte?

Lo sviluppo nella comprensione della Rivelazione

Queste domande sono precisamente le domande rispetto alle quali Grillo prende posizione con l’intento di offrire, in quanto teologo, «argomenti e motivazioni in parte nuove e in parte antiche» utili «ad un esercizio dell’autorità ecclesiale [ciò che] spetta ai pastori e non ai teologi». Questa finalità è stata perseguita in maniera più o meno efficace nei vari saggi. La dialettica di posizioni tra Grillo e Ladária/Francesco dall’altra – polarizzo per comodità, non per supporre o creare lotte o divisioni – si svolge nell’equilibrio tra tre fuochi. Essi possono essere individuati nella Rivelazione come fondamento (1), nella Rivelazione come comprensione e prassi in sviluppo (2) e nei segni dei tempi come contesto/contemporaneità (3). Ogni posizione che intenda dare ragione di se stessa come comprensione della nozione di sviluppo del dogma e del suo utilizzo (magari per rischiarare un concreto caso di discernimento) deve mettere in gioco questi tre elementi – anche nel caso-limite in cui se ne intenda negare uno. Ciascuno di essi poi coinvolge più elementi in una sintesi più o meno adeguatamente concettualizzabile, ciò che rende la riflessione maggiormente delicata.

  1. La Rivelazione come fondamento allude alla Rivelazione nel suo essere norma normans (non normata, la Scrittura, e normata, la Tradizione)5Nella tradizione scolastica la Scrittura era vista come norma/regola che obbliga senza essere regolata da altro, mentre la Tradizione era norma/regola che obbliga ed è normata/regolata dalla e nella Scrittura.. La natura evangelizzatrice e missionaria della Chiesa infatti implica un annuncio e una trasmissione di un dono6Meglio di “messaggio”, perché troppo intellettualistico, mentre “dono” lascia aperto il significato centrale che è l’annuncio e la realtà di una relazione con Dio, Padre, Figlio (Gesù) e Spirito Santo. prima ricevuto, un dono che ha un proprio dinamismo e una propria forma7Una forma sovra-determinata e percepibile con un proprio Logos (Ragione) e una bellezza ed attrattività tali da rendere impossibile l’indifferenza. Cfr. Gloria 1 (Per un’estetica teologica) di Balthasar.. Un dono nel quale entrare con la propria libertà e rispondendo con libertà. Questo carattere della Rivelazione spiega il riferirsi di Origene alla regula fidei come all’orizzonte vitale ed ermeneutico del cristiano e del teologo.
  2. La Rivelazione come sviluppo allude al progredire della nostra comprensione della Rivelazione. Prima di tutto però essa intende l’agire stesso dello Spirito Santo e della vita e del Corpo di Cristo nel Padre. È Dio che continua ad agire, che ha mandato un altro Paraclito (Gv 14, 16 ssg), che sarà con noi fino alla fine del mondo, che ci consegnerà tutto ciò che il Figlio ha ricevuto dal Padre (Gv 14, 26;  Gv 15, 15). L’agire di Dio chiede la corrispondenza della libertà dell’uomo e anzi la suscita, ma rimane un agire trascendente questa libertà e la capacità di comprensione umana, anche quella capacità di comprensione di volta in volta raggiunta nella grazia e nell’amicizia con Dio.
  3. I segni dei tempi sono quei fatti, eventi, incontri che spingono ad una comprensione nuova e ad un agire altrettanto nuovo8«Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (dalla Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, al n. 4). Il compito a cui si allude è il seguente: «Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito» (sempre Gaudium et spes, fine del n. 3).. La risposta libera del credente ad essi non è soltanto un’iniziativa “mondana” rispetto a nuovi problemi, ma deve qualificarsi come una risposta all’operare di Dio nella storia. Qui sta la difficoltà di discernimento affidata ai credenti e ai pastori in quanto i segni appaiono sempre dialettici ovvero possono essere spinti in direzioni di comprensione e di prassi opposte. Infatti i segni intanto sono fenomeni storici – al di là dei segni che fanno parte delle biografie dell’esistenza di ognuno (e anche questi sono dialettici – e perciò già complessi essi stessi. Ogni accertamento di un fenomeno storico in se stesso e come appello all’iniziativa umana per il bene richiedono un certo grado di fede (non quella teologale cristiana) e perciò non già un salto, ma un accertamento di credibilità e sensatezza di una via piuttosto che un’altra. Inoltre perché tali fenomeni siano segni dei tempi bisogna riconoscervi un appello all’iniziativa umana e il segno di un operare di Dio, e qui è richiesto un altro grado di discernimento e di fede (questa volta teologale)9Questa complessità di gradi spiega come lo stesso fenomeno possa essere interpretato come segno in maniera opposta. Per esempio le conseguenze di una determinata iniziativa dal punto di vista della consistenza numerica di una comunità religiosa possono essere viste come un segno di conferma o di giudizio negativo – una diminuzione può essere segno del “piccolo gregge” o una diminuzione dell’evangelizzazione, e così per l’aumento: numerosità di credenti senza convinzione o effetto evangelizzatore.
    Esempi più concreti, sebbene passati: il crollo numerico dei cattolici in Olanda in relazione al fermento “dottrinale” post ’68 come va interpretato? Purtroppo qui spesso sorgono applicazioni ideologiche della categoria dei segni dei tempi: gli stessi che spingono verso prassi “progressiste” per diffondere il Vangelo fra tutti e scongiurare l’irrilevanza citano la libertà e l’iniziativa olandese degli anni ’70; gli stessi che esaltano la nozione di piccolo gregge, convinto e in opposizione al mondo vedono nella scomparsa numerica dei cattolici in Olanda un segno degli errori dottrinali.
    .

Sviluppo della Rivelazione e/è sacerdozio femminile? 

La circolazione di questi tre fuochi determina gli elementi di un discernimento che intenda essere una chiamata ad un nuovo operare nella Chiesa (e della Chiesa). Aver definito i fuochi però non è assolutamente sufficiente a risolvere le questioni che sono affidate (o meno) al nostro discernimento. Infatti Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, opera da sé traendo dalla sua infinita ricchezza creativa forme e iniziative nuove. Inoltre la storia stessa è, dal nostro punto di vista, impensata e richiede iniziative nuove, proprio come risposta alla chiamata di Dio: infatti «è proprio goffa fanciullaggine di un adulto il credere che per Dio ci sia qualcosa di insignificante, e che Dio dimentichi qualcosa» (S. Kierkegaard, L’immutabilità di Dio). Per questo motivo giustapporre alla propria opzione uno di questi fuochi/principî come elemento di autorità è del tutto insufficiente. Ciò vale, nella questione del sacerdozio femminile, in modi opposti:

  • la liberazione femminile da una condizione di minorità giuridica, educativa e lavorativa e l’accesso ad ogni possibile potere-compito-funzione a servizio della propria comunità e come strumento di auto-realizzazione sono innegabilmente segni dei tempi ovvero sia agire di Dio sia chiamata all’iniziativa umana di risposta; ritenere che a tale segno si possa rispondere in maniera unica e univoca con l’accesso al ministero ordinato è una chiusura indebita non tanto rispetto ad una tradizione come ripetizione, ma chiusura dell’agire di Dio in un intervento giuridico-sacramentale di istituzionalizzazione;
  • l’assenza di un accesso femminile al sacerdozio è un inequivocabile dato della tradizione/Tradizione che impone senz’altro una specifica obbedienza; ritenere che in questa obbedienza si esauriscano: la risposta della Chiesa ai segni dei tempi dell’eguaglianza femminile e, soprattutto, la comprensione e la trasmissione della fede creduta sul ministero ordinato è una chiusura non tanto rispetto ad un mondo confuso o ad errori di altre comunità, ma piuttosto chiusura rispetto a ciò che si pretende custodire come oggetto di fede.

La circolazione tra questi due fuochi, non come un movimento circolare (e perciò chiuso), ma aperto, può diventare un elemento di discernimento degli interventi che sopra abbiamo ripreso in sintesi10Intendo dire “aperto” questo movimento non tanto per connotare quella circolazione in senso positivo – oggi dire “aperta” una qualunque cosa suggerisce una valutazione positiva – quanto per qualificarla in maniera specifica dal punto di vista teologico: il movimento deve permanere aperto all’agire di Dio nella storia (futura e passata) e alla relazione tra questo agire e la libertà umana.. A prima vista la querelle sembra coinvolgere due poli: un teologo (Grillo) e una varietà di soggetti che però esercitano lo stesso compito/funzione, quella magisteriale nella Chiesa (ai più alti gradi). Errato sarebbe interpretare i due “soggetti” come contendenti, nonostante qualche scivolamento verso questa forma, prima di tutto perché quelli che abbiamo detto due poli si collocano in posizioni differenti. Non come contendenti – va ripetuto – per cui Grillo avrebbe meno forza perché non avrebbe autorità o sarebbero gli interventi magisteriali ad averne meno perché si mostrerebbero meno persuasivi e meno teologicamente fondati. Le posizioni sono differenti perché abbiamo da un lato interventi magisteriali di Pastori, dall’altra osservazioni teologiche di un teologo. Infatti pastori e teologi hanno compiti differenti, sostanzialmente differenti, non soltanto su piani diversi, come avremmo nei due casi opposti:

  1. nel caso della cosiddetta Denzingertheologie nel quale la teologia riprende le affermazioni del Magistero e le commenta, difende ed argomenta;
  2. nel caso opposto nel quale i teologi riflettono ed “inventano” e il Magistero esegue dando forma giuridica ed istituzionale ai risultati della teologia.

Comprendere la differenza delle posizioni è necessario per non appiattire univocamente il ruolo dei Pastori (decisionale/giuridico) né quello dei teologi (interpretazione dell’esistente, storico o teologico che sia) e per avere aspettative corrette nei confronti di ciascuno.

Gli interventi di Grillo svolgono diversi compiti:

  • pongono l’accento in particolare sul terzo dei tre fuochi ovvero sulla questione del ruolo della donna oggi come segno dei tempi che richiede una risposta;
  • intendono il ruolo fondamentale dell’esercizio dell’autorità ecclesiale per realizzare appieno la Rivelazione come sviluppo (della comprensione e della prassi);
  • in ultimo, sollecitati dal discorso di Papa Francesco, si richiamano ad esercizi passati di autorità come modello per il nuovo passo (del diaconato femminile in particolare)11A questi compiti bisognerebbe aggiungerne uno, in negativo, per la prima serie di interventi: quello di tentare di decostruire il “da tenersi in maniera definitiva”. Così il documento della Congregazione per la Dottrina delle Fede afferma vada accolto il rifiuto della possibilità di ordinazione sacerdotale femminile; Grillo nega tale definitività richiedendo un altro pronunciamento, questa volta chiaro. Questo compito è non soltanto impossibile, ma ammette come risposta soltanto ciò che la Papessa ha già scritto: ovvero che si ribalti la necessità di chiarezza al mittente: si vuole o no accogliere come definitiva quella risposta?.

Mi pare si possa mostrare come la riflessione del nostro teologo comporti alcuni appiattimenti. Il discernimento e la prassi che la libertà è chiamata ad assumersi responsabilmente è appiattita su di una modalità rivendicativa condivisa da alcuni movimenti all’interno della Chiesa e sull’assoluta ed inderogabile necessità di un’affermazione dogmatico-giuridico-istituzionale ben precisa: il sacerdozio/diaconato femminile12Le due questioni sono qualitativamente diverse dal punto di vista teologico. Le “diaconesse” sono realtà testimoniata dalla storia, al di là della precisa determinazione della funzione e natura del ministero svolto. Il sacerdozio femminile non ha esempi né precedenti e nemmeno – se limitiamo alla Chiesa Cattolica e a quella Ortodossa – contemporanei. Il riferimento alle Chiese cattolica ed ortodossa non è solo classificatorio perché ci si riferisce a comunità che condividono l’affermazione della natura sacramentale del ministero (ordinato) e non soltanto funzionale/ministeriale. Eccezione è la Chiesa anglicana – peraltro “eccezionale” anche per la posizione dottrinale – che ammette ministri ordinati donne.. Il problema è che qui del segno dei tempi dell’emancipazione femminile si elimina un reale discernimento e una invenzione creativa. Infatti il segno è diventato univoco, la forma unica e l’unica possibile: l’accesso delle donne al sacerdozio. Se è l’agire creativo e fedele di Dio ciò a cui bisogna rispondere qui mi pare che ci sia una chiusura anche se paradossalmente sotto la forma di un’apertura cioè di un accesso ad un ministero. Infatti il teologo – a meno che non debba assumersi il solo compito di “dare ragione dell’esistente” – ha la possibilità, per certi versi il dovere, di indagare tutte quelle possibilità di partecipazione di munera e funzioni che restano aperte. Se invece il teologo chiude il lavoro di discernimento e di rilancio dei segni dei tempi su di un punto soltanto, il sacerdozio femminile, rischia di sclerotizzarsi inaugurando una specie di scontro di pressioni.

Inversamente la chiusura del Magistero all’elaborazione teologica di una possibilità ministeriale sulla base del riferimento alla Tradizione ovvero alla Rivelazione come fondamento può essere un’apertura come anche una chiusura sclerotica a quell’agire dello Spirito che continua ad operare instancabile nella storia. Infatti da una parte il compito del Magistero, quando si esplica negando la possibilità di un insegnamento od una prassi sacramentale, svolge un ruolo per certi versi comodo. Infatti già abitualmente il Magistero non ha per nulla l’esclusiva sull’iniziativa nella Chiesa in quanto operare di Dio: ogni battezzato in questo senso è ministro e peraltro lo Spirito si può servire ben di chi vuole, anche al di fuori dei confini visibili della Chiesa. A maggior ragione quando l’intervento è negativo ogni iniziativa è rimandata ad altri. Chiudere al sacerdozio femminile significa anche spingere l’iniziativa dei credenti (teologi o meno) a percorrere e trovare altre vie13Bisognerebbe accennare anche alle numerose tentazioni a cui è sottoposto il teologo. Alcune in comune con chiunque si dedichi al labor intellettuale, altre proprie al teologo. Una delle più importanti è la resistenza al limite che chiude ogni tentativo di omni-comprensione e di omni-sistematizzazione. Tale limite sta, per il filosofo, nel “darsi” delle cose nel mondo e nella storia all’uomo come esistente, mentre per il teologo esso sta anche nella Rivelazione come norma e come futuro. A volte inoltre questo limite si presenta nelle vesti probabilmente più fastidiose (a volte anche scandalose) che può assumere – interventi magisteriali anonimi, asettici, brevi, più o meno opportuni ai desideri di comprensione o di dialogo con altri e più o meno frutto di manovre e ambizioni “troppo umane”.. Che i singoli atti di questa esclusione siano un segno di sclerosi del cuore o invece un fiducioso rimando alla Chiesa tutta non può essere deciso soltanto leggendo i documenti: ciò dipende dall’agire pastorale complessivo di chi li pronuncia.

Se si guarda alle iniziative pastorali degli ultimi due Pontefici, che hanno ribadito in modi diversi quella chiusura, non si può non vedere un’azione persino carismatica di apertura ai doni dello Spirito presenti nella nostra contemporaneità. In particolare per la nostra questione l’apertura a ruoli di responsabilità per il laicato – penso al Direttore Ufficio Scolastico Diocesi di Roma e al Direttore dell’Osservatore Romano – è segno particolarmente incisivo. Essa significa una distinzione tra ruoli di comando e potere e compiti prettamente ministeriali/sacerdotali (non nel senso ritualistico), dove i primi possono essere rivestiti ed affidati a laici (uomini o donne che siano) ponendo inizio alla fine della clericalizzazione di ogni compito ecclesiale qualificato da un mandato e all’idea infrangibile di un’autorità come potere e non come servizio. In particolare il Pontificato ancora aperto di Papa Francesco a questo riguardo è autenticamente espressione della «capacità della Chiesa di uscire dalle proprie consuetudini storiche» nel tentativo di rispondere ai segni dei tempi spesso negletti o più rivendicati che accolti. Una prassi incoraggiante per ogni credente – tanto più se teologo! – che si mette a servizio dei fratelli per edificare una Chiesa sempre più simile a Gesù, il Verbo e Volto del Padre.

Note

Note
1 Al di là del valore della replica essa si muove sul piano in quell’occasione scelto da Grillo: un’analisi del valore autoritativo del documento (anzi del serie di documenti) ed un appello all’autorità per una presa di posizione chiara e motivata.
2 Credo che qui l’argomento di Grillo sia debolissimo, perché sembra equiparare la “parola di Cristo” con le parole che Gesù avrebbe o meno pronunciate nei Vangeli. Sia teologicamente che persino esegeticamente questa identificazione è del tutto senza fondamento, e sembra sconfinare al limite in una sorta di letteralismo biblico o in una bibliolatria. Precisamente qui ritroviamo rovesciata l’obiezione che Grillo ripete costantemente ovvero che il silenzio riguardo specifiche ed esplicite indicazioni al riguardo non può costituire un argomento teologico. Grillo afferma che la prassi gesuana dei Vangeli nella scelta dei Dodici non è sufficiente a motivare l’affermazione del Magistero chiedendo che quest’ultimo motivi la scelta dei Dodici e non si accontenti di enunciarne il fatto, cioè che i Dodici erano maschi. Strana richiesta in quanto questo questo sarebbe il compito precipuo della teologia, trovare il senso di ciò ch’è l’insegnamento della fede (e non commentare in positivo o in negativo il Magistero); in breve l’appunto dovrebbe essere rivolto alla teologia e non a Ladária (o a Ladária in quanto teologo semmai): perché non si prova a trovare il senso della scelta tutta maschile dei Dodici? Curiosamente la questione viene bypassata tramite la conclusione, molto facile, che una scelta del genere non è normativa o comunque può non essere normativa. Infatti se Ladária afferma che la Chiesa non ha facoltà di cambiare ciò che fa parte della sostanza del sacramento, secondo Grillo l’attribuzione della necessità del sesso maschile per l’ordinazione poggia sull’insufficiente dato della scelta dei Dodici e sulla indebita inserzione del “maschile” nella sostanza di questo sacramento.
3 Non possiamo tralasciare la scorretta e falsa allusione finale ad un presunto maschilismo di Ladária dopo una citazione della Summa di Tommaso (presente soltanto nell’articolo di Grillo). La Summa spiega infatti il dato dell’esclusività dell’ordinazione maschile con un riferimento alla posizione di soggezione della donna (nella società del tempo) inadatta a significare l’eminenza del sacramento. Questa spiegazione non può che cadere e mostrare una volta di più quanto anche i pensatori più acuti sottostiano ai condizionamenti del tempo in cui essi vivono. Mai però Ladária dà a intendere che pensi qualcosa di simile, anzi ecco cosa afferma esplicitamente il Prefetto: «Certamente, la differenza di funzioni tra l’uomo e la donna non porta con sé nessuna subordinazione, ma un arricchimento mutuo». Inspiegabile, nel testo di Grillo, questa allusione finale indegna di un franco dibattito teologico (che riporto, letteralmente: «Questa conclusione si impone a Tommaso a partire da una lettura antropologica, culturale e sociale che oggi non ha più nulla a che fare con il Vangelo. Purtroppo essa continua ad esercitare qualche influsso e non poco fascino sulle parole preoccupate, ma anche preoccupanti, del Prefetto Ladária»).
4 L’attenzione alle “minuzie” della storia del dogma non manca affatto, ma è sempre funzionale ad un procedere autenticamente teologico, ciò che rende le minuzie non periferiche.
5 Nella tradizione scolastica la Scrittura era vista come norma/regola che obbliga senza essere regolata da altro, mentre la Tradizione era norma/regola che obbliga ed è normata/regolata dalla e nella Scrittura.
6 Meglio di “messaggio”, perché troppo intellettualistico, mentre “dono” lascia aperto il significato centrale che è l’annuncio e la realtà di una relazione con Dio, Padre, Figlio (Gesù) e Spirito Santo.
7 Una forma sovra-determinata e percepibile con un proprio Logos (Ragione) e una bellezza ed attrattività tali da rendere impossibile l’indifferenza. Cfr. Gloria 1 (Per un’estetica teologica) di Balthasar.
8 «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (dalla Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, al n. 4). Il compito a cui si allude è il seguente: «Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito» (sempre Gaudium et spes, fine del n. 3).
9 Questa complessità di gradi spiega come lo stesso fenomeno possa essere interpretato come segno in maniera opposta. Per esempio le conseguenze di una determinata iniziativa dal punto di vista della consistenza numerica di una comunità religiosa possono essere viste come un segno di conferma o di giudizio negativo – una diminuzione può essere segno del “piccolo gregge” o una diminuzione dell’evangelizzazione, e così per l’aumento: numerosità di credenti senza convinzione o effetto evangelizzatore.
Esempi più concreti, sebbene passati: il crollo numerico dei cattolici in Olanda in relazione al fermento “dottrinale” post ’68 come va interpretato? Purtroppo qui spesso sorgono applicazioni ideologiche della categoria dei segni dei tempi: gli stessi che spingono verso prassi “progressiste” per diffondere il Vangelo fra tutti e scongiurare l’irrilevanza citano la libertà e l’iniziativa olandese degli anni ’70; gli stessi che esaltano la nozione di piccolo gregge, convinto e in opposizione al mondo vedono nella scomparsa numerica dei cattolici in Olanda un segno degli errori dottrinali.
10 Intendo dire “aperto” questo movimento non tanto per connotare quella circolazione in senso positivo – oggi dire “aperta” una qualunque cosa suggerisce una valutazione positiva – quanto per qualificarla in maniera specifica dal punto di vista teologico: il movimento deve permanere aperto all’agire di Dio nella storia (futura e passata) e alla relazione tra questo agire e la libertà umana.
11 A questi compiti bisognerebbe aggiungerne uno, in negativo, per la prima serie di interventi: quello di tentare di decostruire il “da tenersi in maniera definitiva”. Così il documento della Congregazione per la Dottrina delle Fede afferma vada accolto il rifiuto della possibilità di ordinazione sacerdotale femminile; Grillo nega tale definitività richiedendo un altro pronunciamento, questa volta chiaro. Questo compito è non soltanto impossibile, ma ammette come risposta soltanto ciò che la Papessa ha già scritto: ovvero che si ribalti la necessità di chiarezza al mittente: si vuole o no accogliere come definitiva quella risposta?
12 Le due questioni sono qualitativamente diverse dal punto di vista teologico. Le “diaconesse” sono realtà testimoniata dalla storia, al di là della precisa determinazione della funzione e natura del ministero svolto. Il sacerdozio femminile non ha esempi né precedenti e nemmeno – se limitiamo alla Chiesa Cattolica e a quella Ortodossa – contemporanei. Il riferimento alle Chiese cattolica ed ortodossa non è solo classificatorio perché ci si riferisce a comunità che condividono l’affermazione della natura sacramentale del ministero (ordinato) e non soltanto funzionale/ministeriale. Eccezione è la Chiesa anglicana – peraltro “eccezionale” anche per la posizione dottrinale – che ammette ministri ordinati donne.
13 Bisognerebbe accennare anche alle numerose tentazioni a cui è sottoposto il teologo. Alcune in comune con chiunque si dedichi al labor intellettuale, altre proprie al teologo. Una delle più importanti è la resistenza al limite che chiude ogni tentativo di omni-comprensione e di omni-sistematizzazione. Tale limite sta, per il filosofo, nel “darsi” delle cose nel mondo e nella storia all’uomo come esistente, mentre per il teologo esso sta anche nella Rivelazione come norma e come futuro. A volte inoltre questo limite si presenta nelle vesti probabilmente più fastidiose (a volte anche scandalose) che può assumere – interventi magisteriali anonimi, asettici, brevi, più o meno opportuni ai desideri di comprensione o di dialogo con altri e più o meno frutto di manovre e ambizioni “troppo umane”.

2 commenti

  1. Ottimo articolo. Aggiungerei che il punto fondamentale è proprio la questione se Grillo interpreta correttamente i segni dei tempi. A loro rigurdo, come ben dice l’articolo, «si elimina un reale discernimento». Non basta, infatti, prendere atto di alcune correnti che fanno di tutto per imporsi, anche nella Chiesa, per rendere ragione dei segni tei tempi. Nei loro confronti va operato, appunto, un discernimento. Mi permetto di rimandare al mio volume “Per una teologia rinnovata” (Edizioni Sant’Antonio, 2018), di cui si attende ancora una recensione adeguata, nel quale richiamavo la dottrina di Alphonse Gratry (1805-2872), secondo il quale ogni movimento, nessuno escluso, ha origine da Dio. Egli, infatti, in ogni momento storico ispira gli uomini a realizzare i suoi piani. Ma purtroppo gli uomini quasi sempre corrompono questo movimento iniziale e così ostacolano, anziché promuoverli, i disegni provvidenziali di Dio. È soprattutto compito del sacerdozio cattolico saper discernere il vero movimento impresso da Dio al proprio tempo, distinguendolo dalle corruzioni a cui è soggetto a causa della malizia umana. Anche il movimento di rivalutazioe della donna, caratteristico dei nostri tempi, non sfugge a questa dialettica ed è, perciò, necessario un discernimento guidato dalla tradizione sapienziale biblica e teologioca e dalla spaienza, dono dello Spirito Santo. Mi permetto anche di rimandare al seguente articolo, dal quale dovrebbe apparire, a quanto credo, che la distinzione dei ruoli, maschile e femminile, nei riguardi del sacerdozio cristico non ha, quale unico fondamento biblico, il fatto contingente che gli apostoli fossero uomini: https://massimolapponi.wordpress.com/e-voi-mariti-amate-le-vostre-mogli-ef-5-25/

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