Il “brutto” dell’Avvento: come si fa a non addormentarsi

Perché uno dovrebbe addormentarsi? Stanchezza senz’altro, ma questa è comprensibile, la lotta diretta. C’è però un motivo più sottile per dormire, che è quello di cercare di addormentarsi. Questa poi! Ovviamente non è questione di insonnia, qui. L’esperienza però non ci è affatto così lontana come sembra. Cercare di trascorrere i giorni dal lunedì al venerdì o al sabato dormendo cioé cercando di far sì che il tempo passi senza accorgersene forse ci è familiare. Vivere da settembre a giugno aspettando l’estate, dai 14 ai 17 anni aspettando la maggiore età, vivere aspettando un qualcosa che riempia il vuoto che percepiamo molto chiaramente. Perché?

La nostra esistenza si dispiega nel tempo, attesa, veglia, sonno, momenti di relativa pienezza fanno parte della vita. Qui però la vita si alterna in due momenti, il periodo in cui si aspetta e il periodo in cui si gode, in cui il tempo è “pieno”. Ora però ciò che è aspettato, ciò che dovrebbe riempire, riempie a mala pena se stesso, ma lascia vuoti tutti i momenti precedenti. L’inconsistenza qui è doppia: l’inconsistenza del finito che si è elevato a pienezza (il sabato sera, il riposo, l’hobby della vita) ed un’inconsistenza più sottile, quella di voler avere il controllo. Si vuole avere un compito ed il potere di farlo, ma si vuole che questi vengano da sé. La prima implicazione è ovvia e collega la seconda inconsistenza alla prima: in questo modo si perviene soltanto al finito, l’unica cosa che (a malapena) abbiamo il potere di maneggiare.

La conseguenza fondamentale, invece, è lo stato di alienazione da cui l’esistenza viene invasa. Vegliare non è solo difficile, cioé questione di stanchezza, vegliare è insopportabile. Perché dunque chiederci di vegliare, perché chiederci l’intollerabile? Perché Gesù ce ne fornisce i mezzi. Non tanto per tollerare l’intollerabile (per farci superuomini), ma per mutare l’immutabile ovvero per dare un senso infinito al tempo.

Per capire questo bisogna tornare indietro e osservare un paio di cose. Per prima cosa l’assenza di qualcosa che rischiamo di dare per scontato: il pericolo è quello di addormentarsi, non quello che sottintendiamo, ovvero quello di essere pescati a far nulla. Il comando di vegliare è dato dopo aver assegnato compiti e autorità corrispondenti (il «potere»). Il compito ed il lavoro non sono quindi il criterio di giudizio, ma il dono che permette di vegliare senza incorrere nel pericolo più grande: volersi addormentare. Quindi la soluzione è solamente considerare il lavoro quotidiano come un dono invece di un fardello? No, senza che si sia spiegata quale sia la differenza effettiva tra il fardello ed il dono.

Per capire in che senso Gesù dia un compito quotidiano ed un potere come un dono possiamo notare due cose, una nel brano ed una in ciò che al brano segue. La prima è che i servi, partito il padrone, diventano partecipi della casa del padrone ad un livello più alto. Infatti, assumendosi quelli che sono in qualche modo i suoi compiti, i servi diventano ciò che il padrone è. Gesù sta dicendo quindi che abbiamo il potere e il compito di diventare quello che egli è ovvero di diventarne imitatori.

La seconda annotazione arriva dal capitolo successivo. I capi del popolo decidono di uccidere Gesù e sempre Gesù, mentre è a cena in casa di un lebbroso a Betania, viene unto con un profumo costosissimo da parte di una donna. Alcuni si indignano per lo spreco, ma uno solo prende la risoluzione estrema, Giuda, che si reca dai sommi sacerdoti per consegnargli Gesù. La stessa parola “tradimento” non deriva altro che dal latino consegnare, l’atto con cui Giuda abbandona il proprio amico ai suoi nemici invece di prendersene cura.

Il compito affidatoci come dono è quindi duplice: prendersi cura di coloro che ci sono stati affidati e imitare Gesù. L’imitazione non comporta solo un rapporto da imitante a modello, ma comporta il concentrare la propria attesa ed azione nel diventare e nel vedere Gesù in noi e nelle persone che costituiscono il nostro compito. Soltanto in questa maniera il tempo ch’è la nostra vita sarà riempito e lo spazio dell’attesa non sarà un tempo alienante e strumentale perché sarà l’Atteso a riempire la nostra esistenza.


PS: come contraltare vorrei evidenziare un altro possibile esito, che si apre come possibilità nel momento in cui l’uomo prende coscienza del funzionamento alienante della propria esistenza e della propria fondamentale dispersione. In un testo manicheo Adamo è risvegliato dal sonno e scopre la natura del suo vero io e il suo stato di prigionia nel corpo e nel cosmo, da cui ora verrà liberato tramite un lungo cammino:

E Adamo si esaminò e scoprì chi egli era. Gesù gli mostrò nell’alto i Padri e il suo proprio Io gettato in tutte le cose, ai denti di pantere ed elefanti, divorato da coloro che divorano, consumato da coloro che consumano, mangiato dai cani, mescolato e legato in tutto quello che è, imprigionato nel fetore delle tenebre. Egli lo fece alzare e gli fece mangiare dall’albero della vita. Allora Adamo pianse e si lamentò: alzò la voce in modo terribile come un leone ruggente, strappò [il suo vestito], si percosse il petto e disse: «Guai, guai a colui che ha formato il mio corpo, a coloro che hanno incatenato la mia anima, e ai ribelli che mi hanno reso schiavo!».

H. Jonas, Lo Gnosticismo, SEI, 100 ss

Adamo comprende la propria alienazione come estraneità e dunque il rapporto al mondo come irreformabile: l’unica soluzione è intraprendere il cammino per uscire dal cosmo. I testi sono mitologici, ma è chiaro che le conseguenze esistenziali concrete sono la precisa e chiara affermazione pratica dell’inconsistenza ed insignificanza del mondo, della creazione e di ogni creatura. Il rifiuto del mondo può portare all’ascesi carica di odio per il mondo come al libertinaggio estremo. Quello che è comune è l’impossibilità di un rapporto di cura al fratello come qualcosa di decisivo e la radicale estraneità del divino dal mondo: l’annuncio e la presenza di Gesù sono l’unico possibile antidoto.

PS2: approssimo questo testo manicheo alla gnosi come puro esempio senza impegnarmi alla scuola di Jonas nel voler inserire in senso proprio il manicheismo come fenomeno gnostico.

PS3: avevo promesso di riprendere le due domande che caratterizzano l’escatologia alla fine; non l’ho fatto e lo faccio ora. Entrambe hanno la loro importanza, sapere cosa succede alla fine e sapere cosa è decisivo, ma gli Apostoli sembrano concentrati sulla prima domanda, così come anche noi. Sapere che è Gesù che ritornerà e che la squadra è vincente non è senza importanza, e chi appiattisce i novissimi soltanto sull’esistenza forse è più gnostico di quanto pensi. Ciò che è decisivo, tuttavia, è sapere ciò che è decisivo. Un gioco di parole? No, come abbiamo visto. Senza ciò che abbiamo visto esser decisivo l’esistenza diventerebbe un cammino di alienazione, uno sforzo di volontà: così è soltanto una lotta impossibile, ma non senza speranza.

1 commento

  1. Per comodità: prima Domenica di Avvento, anno B: Marco 13, 33-37:
    «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

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