Ma Dante ci credeva, nell’astrologia?

I novi cieli del sistema aristotelico-tolemaico sono fatti girare da nove cori angelici concentrici che Dante vede ruotare per amore e con amore intorno a Dio stesso. È Beatrice che gli espone il loro ordine nel canto 28 del Paradiso: Serafi, Cherubi, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli. Tal nove cori angelici con il loro “vorticoso” amore per Dio trasmettono ai nove cieli il movimento, da cui “piovono” sulla Terra le “virtù”, che è il termine usato comunemente da Dante per “influenze celesti”. Inoltre la gioia degli angeli per la loro visione beatifica di Dio si trasforma nella luce che fa brillare pianeti e stelle.

Dante apre e chiude il suo Paradiso contemplando questo movimento impresso dalle intelligenze motrici:

La gloria di Colui che tutto move
per l’universo penetra e risplende
in una parte più, e meno altrove

Pd I, 1-3

Quindi:

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle
sì come rota ch’igualmente è mossa
l’amor che move il sole e l’altre stelle

Pd XXXIII, 142-145

Quest’ultimo verso è spesso frainteso: “l’amor che move il sole e l’altre stelle” non è, direttamente, Dio, ma l’amore degli angeli-motori.

Dio muove le cose “in quanto amato”: gli angeli fanno girare i cieli per amore di Dio, che è quindi il fine di tutto. Dante alla fine, dopo l’ultima visione, “si muove” con lo stesso movimento con cui gli angeli muovono le “rote”, offrendo al creatore la sua risposta di amore umano perfetto.

Come e perché le influenze astrali operino sugli uomini e le loro vicende lo spiega a Dante Carlo Martello nel canto ottavo del Paradiso:

Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi.

E non pur le nature provedute
sono in la mente ch’è da sé perfetta,
ma esse insieme con la lor salute:

per che quantunque quest’arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta.

“Lo ben” (Dio) fa sì che la sua Provvidenza si faccia “virtute”, cioè influenza astrale, nei cieli (“corpi grandi”). La “mente perfetta” di Dio non provvede soltanto alle diverse nature umane, ma anche alla loro salvezza (“salute”): perciò ogni cosa che (quantunque) questo arco (i cieli) fa “piovere” sulla Terra, cade preordinato a un fine voluto dalla Provvidenza.

Ogni uomo nasce quindi, in vista della propria realizzazione personale e della sua salvezza eterna, con un corredo di doti, caratteristiche e qualità, infuse in ciascuno da Dio stesso attraverso le influenze celesti, che sono perciò tutte buone e positive.

E tanta importanza viene attribuita nella Commedia a tali influenze, che al primo apparire dei beati del Paradiso Beatrice esclama:

Ecco le schiere
del trïunfo di Cristo e tutto ‘l frutto
ricolto del girar di queste spere.

Ci si salva grazie alle “virtù”, alle buone disposizioni seminate in terra dagli angeli-motori delle sfere celesti, accolte e coltivate dal libero arbitrio degli uomini.

A proposito di quest’ultimo argomento è necessario chiarire ed evitare un possibile equivoco, separando nettamente, riguardo all’astrologia, la posizione di Dante e del Medioevo cristiano da quella degli antichi, e nuovi, cultori della magia divinatoria e di ogni gnosticismo esoterico. Lo facciamo con le parole di Paolo Pecoraro, che meglio e più di tutti ha studiato i riferimenti astronomici, astrologici e cosmografici della Divina Commedia.

Il punto è che la cultura medievale, e Dante che ne è la voce profetica, non sentono l’uomo come solo nell’Universo; e non sentono sola nell’Universo la Terra. La loro visione del mondo è cosmicamente unitaria, e in senso conoscitivo e in senso pratico. Essi sanno, cioè, che la natura è « sacramentale »: che racchiude ed esprime per simboli, anagogicamente, un’immensa profusione di verità divine e di spirituali impulsioni, offerte così a chi abbia mente e cuore per recepirle 2; e sanno che quel che avviene in Terra non è indifferente ai cieli, e quel che operano i cieli non è senza effetto in Terra: i cieli astrali, non il solo cielo divino, o Empireo; innanzi al quale poi tutte le cose, e gli uomini e gli Angeli e i cieli astrali stessi, si muovono e procedono verso una universale unitaria operazione provvidenziale di vita1Paolo Pecoraro, Le stelle di Dante, Bulzoni editore..

A comprovare ciò, basti pensare alla dura condanna di maghi e indovini nel canto ventesimo dell’Inferno: di fronte a Dante che si commuove alla vista di questi dannati che camminano all’indietro con la testa rivolta, “stravolta” verso la schiena, Virgilio si indigna:

Ancor se’ tu de li altri sciocchi?
Qui vive la pietà quand’è ben morta;
chi è più scellerato che colui
che al giudicio divin passion comporta?

If XX, 27-30

La gravità della colpa di maghi e indovini sta nella pretesa della loro scienza divinatoria di presentarsi come esaustiva del vero, capace di predire esattamente il futuro, imprigionando letteralmente così la Provvidenza divina, facendo cioè prepotenza al “giudicio divin”.

Gli indovini si trovano nella quarta bolgia del cerchio ottavo dell’Inferno e quindi fra i “fraudolenti”: ingannano gli uomini perché vogliono costringere Dio nei loro schemi astrologici, negando l’apertura, l’attesa di Dio, il senso del Mistero, che è tale non perché non si capisce, ma perché non Lo si finisce mai di capire proprio perché è infinito.

Note

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1 Paolo Pecoraro, Le stelle di Dante, Bulzoni editore.

1 commento

  1. Con piacere leggo questo testo del prof. Fiorito! Benvenuto! Io sono un frequentatore del blog “Breviarium” e sono di Subiaco, dove varie volte ho assistito a suoi incontri su Dante, sempre in occasioni legate alla memoria, viva, del nostro amato Don Paolo Pecoraro. Da oggi un altro motivo, semmai ce ne fosse bisogno, per vivere questo spazio di vera fede che si fa cultura. Buon inizio!

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