Dante e la notte in cui ha visto le stelle

C’è una cosa che mi colpisce sempre, in If V (il canto di Paolo e Francesca), ogni volta che lo rileggo – una cosa che non accade in alcun altro punto del viaggio infernale, neanche quando il Poeta incontra il ser Brunetto – ed è che lì si sospende un castigo eterno. Non una novità assoluta, perché l’Apocalisse apocrifa di Paolo (che fondamentalmente offrì a Dante lo spunto per immaginare l’inferno sotterraneo, oltre a corrispondergli per il grave tema della guerra de la pietade…) termina appunto con l’apparizione di Cristo che concede una pausa settimanale dai tormenti eterni, di domenica1Dato interessante non tanto per la concezione del tempo (un po’ naïf, se si vuole) quanto per l’idea che un dannato possa di per sé godere di una qualche pace, laddove la condizione di dannazione è così inerente all’individuo che la vive (e la subisce) da inibirgli qualunque godimento anche se – per assurdo – andasse in paradiso. Tale assurdo teologico lo esplorò Clive Staples Lewis ne Il grande divorzio, ma questo ora ci porterebbe troppo lontano…. Dante invece esclude ogni presenza di Cristo all’inferno (tranne che nel solo limbo) e non si spinge oltre alla presenza dell’angelo (già: e chi è quell’angelo?) che soccorre i pellegrini alle porte di Dite (If IX, 73-103). Il che è già molto, in realtà.

“Quali colombe dal disio chiamate”

Ma è l’incredibile immagine dei due amanti fedifraghi che si sganciano per qualche minuto dalla tormenta infernale a mettermi i brividi:

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;

If V, 82-84

Qual è il volere a cui rispondono Paolo e Francesca? Quale l’affettuoso grido per cui si muovono? Quello di Dante, quello di Virgilio? Altrove è senza dubbio così, ma da nessuna parte, mai, la pena infernale si sospende, come invece Francesca esplicitamente afferma:

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.

If V, 94-96

Niente mi toglie dalla testa che quel voler appartenga (come forse anche l’affettuoso grido) all’Unico che, volendo, può sospendere una pena infernale. A Cristo, quindi, come già nella ricordata Apocalisse apocrifa di Paolo: perché l’Inferno è stato e luogo di dannazione, sì, ma non per questo è posto fuori dal potere di Dio – anzi spesso Dante ricorda la “divina giustizia” che regola l’inferno fin nei sentimenti dei dannati2Anche lì è in qualche modo sempre Dio, si direbbe con Paolo, «che suscita in voi il volere e l’operare» (Fil 2,13a)..

Il meraviglioso endecasillabo del v. 82, poi, non manca di rievocare – dato il contesto di bufera – un riverbero di pace noachica: certo non per i due lussuriosi, che sono ormai nemici eterni del “Re dell’universo”, ma per Dante sì. Il disio quindi può essere di Virgilio, di Dante, forse di Dio stesso… certo non di Paolo e Francesca, che ce l’hanno ormai spento3Nelle famose terzine di Francesca non compare mai la parola “desiderio”, per quanto il contesto sembri evocarla..

Non ogni desiderio viene dal cielo

Dante è sconvolto, e Virgilio se ne accorge. Così al maestro che lo interroga spiega:

«Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!»

If V, 112-114

Dante sta imparando una lezione – forse la più dura, per lui che aveva pensato di trovare nelle proprie passioni la bussola della vita –: non ogni desiderio è buono, l’arbitrio umano è veramente libero, ma è veramente ferito e incline al male, tanto più considerando che il peccato originale ha ferito anche il suo intelletto, oltre che la sua volontà. Ecco la lezione per la quale Dio sospende la macchina infernale: Dante deve capire che le sue passioni non sono tutte sane.

Per questo Francesca non usa la parola “desiderio”, che realmente ha a che vedere con le stelle, e per questo Dante – “poeta del desiderio” – termina tutte le tre cantiche, come è arcinoto, con la parola “stelle”.

La Commedia illustra, con una vastità senza uguali nella storia della letteratura profana, quanto sia difficile tornare «a riveder le stelle» una volta che uno si sia perso nella “selva oscura”. Quando fai due passi sulle tue gambe, dicendoti “ce la faccio da solo”, e puntualmente arrivano le tue debolezze (ognuno ha “tre fiere” che l’attendono acquattate)4Degli eventi che ho vissuto stamattina mi ricordavano il caso della madre del sedicenne di Lavagna, che per salvare il figlio dalla dipendenza da cannabis, dopo innumerevoli altri tentativi falliti, ha chiamato la Guardia di Finanza per far perquisire la stanza del figlio (le Fiamme Gialle hanno trovato sostanze, chiaramente, e il ragazzo si è suicidato: al funerale la donna ha avuto la lucidità di ringraziarle e di incoraggiarle ad andare avanti)..

Ecco uno dei motivi per cui Dante non passa mai, e per cui ogni generazione lo trova attuale: l’esperienza che racconta – così umana, così religiosa – è riscontro inderogabile per la vita di tutti noi.

Le parole d’ordine però mi vengono in uggia

Una volta che abbiamo ricordato quanto sia importante la categoria di “desiderio” per comprendere la Commedia, bisogna pur dire che non si può ridurre la poetica delle stelle a una mera etimologia: è la poetica del desiderio, semmai, ad essere in dante una poetica (e una scienza!) delle stelle. Il che spiega perché Dante possa impiegare tre terzine a dar conto della posizione del sole e delle stelle su Gerusalemme e sull’India solo per dire che lì, sulla riva del Purgatorio, l’aurora cede il passo al giorno:

Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto
lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;

e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;

sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov’i’ era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan rance.

Pg II, 1-9

Il mondo è tutto pieno di senso, ogni suo angolo grida potentemente la rispondenza a un disegno complessivo, che solo le creature razionali hanno facoltà di godere appieno, ma di cui tutti gli esseri partecipano. Ecco il manifesto dell’ecologia integrale, che deve opporsi tanto agli speculatori ambientali quanto ai misantropi che sembrano voler negare all’uomo il suo posto nel mondo.

Per questo mi sono piaciute le lezioni dantesche del professor Antonio Fiorito, che oggi accogliamo su Breviarium: benché spesso ripeta la questione del de-siderio (e del dis-astro, come vedrete subito), mai si crogiola in queste sole etimologie, ma sempre illustra l’ampiezza del cosmo dantesco come psicogramma di ciascuno di noi. Vale la pena di seguirlo con attenzione, e anche per questo sul canale YouTube di Breviarium abbiamo caricato le registrazioni di alcuni suoi incontri:

Dal video al blog… e alla radio

Peraltro ho l’enorme piacere di annunciare che le belle lezioni dantesche di Antonio Fiorito (per gli amici “il Professore” – con l’articolo) stanno per diventare un programma radiofonico: tutte le seconde domeniche del mese (dunque la prima puntata sarà domenica 10 settembre, cioè domenica p.v.), dalle 18:00 alle 19:30, su Radio Maria potremo ascoltare “Dante: stelle e misteri”. E mi sento di annunciare che si parlerà di misteri non meno che di stelle.

Un motivo di speranza

La Commedia è bella perché è “evangelica”, cioè nel narrare una ben precisa e individuale vicenda di redenzione lascia socchiusa la porta per tutti: io ho avuto la grande grazia di avere una professoressa, al liceo, che si sarebbe fatta tagliare un braccio piuttosto che saltare la fatidica ora dantesca (e girava per l’aula declamando a memoria e indicandoci le varianti testuali come se glie le ricordasse un ospite invisibile – era Dante?); appunto per questo mi piace che nella mia compagnia siano presenti lettori appassionati e appassionanti del Poeta. Benevenuto, Professore, su Breviarium. E grazie fin d’ora.

Note

Note
1 Dato interessante non tanto per la concezione del tempo (un po’ naïf, se si vuole) quanto per l’idea che un dannato possa di per sé godere di una qualche pace, laddove la condizione di dannazione è così inerente all’individuo che la vive (e la subisce) da inibirgli qualunque godimento anche se – per assurdo – andasse in paradiso. Tale assurdo teologico lo esplorò Clive Staples Lewis ne Il grande divorzio, ma questo ora ci porterebbe troppo lontano…
2 Anche lì è in qualche modo sempre Dio, si direbbe con Paolo, «che suscita in voi il volere e l’operare» (Fil 2,13a).
3 Nelle famose terzine di Francesca non compare mai la parola “desiderio”, per quanto il contesto sembri evocarla.
4 Degli eventi che ho vissuto stamattina mi ricordavano il caso della madre del sedicenne di Lavagna, che per salvare il figlio dalla dipendenza da cannabis, dopo innumerevoli altri tentativi falliti, ha chiamato la Guardia di Finanza per far perquisire la stanza del figlio (le Fiamme Gialle hanno trovato sostanze, chiaramente, e il ragazzo si è suicidato: al funerale la donna ha avuto la lucidità di ringraziarle e di incoraggiarle ad andare avanti).
Informazioni su Giovanni Marcotullio 296 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

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