Levate l’erba a Saviano: si è bruciato il cervello

La madre del sedicenne di Lavagna suicidatosi per l’insopportabile peso dei paradisi artificiali – una donna che oggi è diventata un po’ la madre di tutta Italia e la sorella di tante madri distrutte dal dolore – ha chiesto perdono al figlio «per non aver saputo riempire il suo vuoto».

Frase che, pronunciata a buona distanza da una bara, sembra il paradigma del sentimentalismo. È diventata invece oggi pomeriggio la cifra della tragedia. E se il tragico classico dice l’impotenza della libertà umana di fronte alla cieca determinazione del Fato – mentre quello moderno esprime la crudeltà del Mondo, in cui tutti gli sforzi dell’eroe non riescono ad evitare che lui e i suoi amati soffrano – il tragico contemporaneo è semplicemente, e banalmente, «l’infinita Vanità del tutto». Ci si uccide perché non si sa come impiegare la vita. Altro che Edipo e Amleto… i nostri sedicenni non si accecano e non si fanno ammazzare, ma possono preferire il «bruciare in un attimo allo spegnersi lentamente».

Fortuna che c’è il “magistero delle Addolorate”, che a questo popolo mammone penetra ancora la dura cervice. E mentre a Lavagna un coro cittadino prendeva posto sulla scena della tragedia, dove la sublime Madre procedeva alla catarsi dell’intero popolo, un giullare triste travestito da filosofo scagliava i suoi spietati insulti. Alla Madre e alla Patria (ché, quando si disonora un genitore, il Comandamento impone di disonorare anche l’altro!): così Saviano ha posto sul segno dell’unità del popolo in lutto la marca infame del paradiso sintetico da cui il giovane è stato consumato a morte.

In una buona tragedia sofoclea, il dramma esigerebbe la catarsi del sangue blasfemo. Noi siamo “brava gente”, invece, e Saviano non morirà per mano nostra. Ma non siano le sue parole le ultime che sentiremo in questo giorno: siano le parole della Madre a consolarci al crepuscolo. «Mentre – dice il Salmista – gli empî si aggirano intorno, / emergono i peggiori tra gli uomini».

La domanda che risuona dentro di noi e immagino dentro molti di voi è: perché è successo, perché a lui, perché adesso, perché in questo modo? Arrovellandoci sul perché, ci siamo resi conto che non facevamo altro che alimentare uno stato d’animo legato alla sua morte senza possibilità di una via d’uscita. Allora abbiamo capito che forse la domanda da porsi in questa situazione è piuttosto: “come?”

Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuol soffocarvi. Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi, invece di mandarvi faccine su WhatsApp. Straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza “sei bella” invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate. Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita. Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete. Per mio figlio è troppo tardi ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo. Noi genitori invece di capire che la sfida educativa non si vince da soli nell’intimità delle nostre famiglie, soprattutto quando questa diventa una confidenza per difendere una facciata, non c’è vergogna se non nel silenzio: uniamoci, facciamo rete.

In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo. La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. Fate emergere i vostri problemi.

[rivolgendosi poi alle Guardie di Finanza, N.d.R.] Grazie per aver ascoltato l’urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di vedere suo figlio perdersi. E ha provato con ogni mezzo di combattere la guerra contro la dipendenza prima che fosse troppo tardi. Non c’è colpa ne giudizio nell’imponderabile, e dall’imponderabile non può che scaturire linfa nuova e ancora più energia nella lotta contro il male. Proseguite.

Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

2 commenti

  1. La signora così spera di essersi lavata la coscienza per aver causato la morte del ragazzo, se non è stata capace di capire il figlio è una sua sconfitta e come se non bastasse lo ha denunciato alle forze dell’ordine. Vergogna.

    • Quanta severità e quanta sicurezza nella condanna.. povera madre! Non si riesce nemmeno a sospettare il tipo di dolore e la sua intensità per quello che è successo a suo figlio. comunque è sempre così.. davanti al dolore estremo resta la solita endiadi: figlio-madre. E intorno gli insulti, le accuse, le ingiurie, gli sfottò alla madre vergognosa. È colpa sua se il figlio ha reagito così? Era in suo potere conoscere tutto e prevedere la virata della libertà del figlio? Siamo liberi e a volte le mamme pensano “puttrpppo!” Perché vorrebbero proteggere ed evitare il male ogni male ai figli. Credo che la signora si terrà stretti il suo dolore e non cercherà facili lavaggi come lei è sicuro che abbia fatto. Credo. Ha rischiato, ha osato, ha tentato anche una sanzione per fargli capire che doveva smettere. Rischiare è amare.. prego per questa mamma e per i nostri cuori così duri

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