Hadjadj: fare meno figli per salvare il pianeta? E chi l’ha detto?

di Eugénie Bastié1Da Le Figaro del 21 ottobre 2018. Traduzione di Emiliano Fumaneri.

Dobbiamo avere meno figli per salvare il pianeta? Il filosofo, padre di otto figli e sostenitore dell’ecologia integrale, difende una visione opposta al malthusianesimo.

Le Figaro: In una infografica controversa, l’AFP2Agence France-Presse, agenzia di stampa tra le più importanti e autorevoli al mondo. NdC. ha presentato la mossa di «avere un bambino di meno» alla stregua di un mezzo come altri (assieme a «cambiare le lampadine» e «stendere i panni») per «ridurre la propria impronta ecologica». Cosa pensa di una simile raccomandazione?

Fabrice Hadjadj: Mi rammenta la Modesta proposta3Nel pamphlet satirico del 1729 A modest proposal for preventing the children of poor people from being a burden to their parents or Country, and for making them beneficial to the Public (Una modesta proposta per impedire che i bambini della povera gente siano di peso per i loro genitori o per il Paese, e per renderli utili alla comunità) lo scrittore anglo-irlandese Jonathan Swift «espone «un metodo onesto, facile e poco costoso» di trasformare il problema della sovrappopolazione tra i cattolici irlandesi nella sua stessa soluzione. La proposta dell’autore consiste nell’ingrassare i bambini denutriti e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. I figli dei poveri potrebbero essere venduti in un mercato della carne all’età di un anno per combattere la sovrappopolazione e la disoccupazione.
Così facendo si risparmierebbe alle famiglie il costo del nutrimento dei figli fornendo loro una piccola entrata aggiuntiva, si migliorerebbe l’alimentazione dei più ricchi e si contribuirebbe al benessere economico dell’intera nazione. L’autore offre un supporto statistico per le sue asserzioni e fornisce dati specifici sul numero di bambini da vendere, il loro peso, il prezzo e i possibili modi di consumazione. L’autore suggerisce alcune ricette per preparare questo “delizioso” tipo di carne ed è sicuro che questa cucina innovativa darà spunto per ulteriori piatti.
Anticipa, inoltre, che le pratiche di vendita e di consumo di bambini avranno positivi effetti sulla moralità familiare: i mariti tratteranno le loro mogli con più rispetto e i genitori valuteranno i loro bambini in modi finora sconosciuti. La sua conclusione è che l’implementazione di questo progetto aiuterà a risolvere i problemi complessi dell’Irlanda in materia sociale, politica ed economica più di ogni altra misura finora proposta». (da Wikipedia).
pubblicata da Jonathan Swift nel 1729, che non valuta i figli in base alla variabile dell’«impronta ecologica» ma a seconda del loro apporto proteico. La raccomandazione è che i poveri mangino i loro piccoli o li vendano ai ricchi come pietanza raffinata. Così in un sol colpo potremo risolvere il problema della fame, evitare il dramma dell’aborto e, aggiunge Swift, «diminuire enormemente il numero dei papisti che sono quelli che fanno più figli». Per quanto concerne l’infografica che l’AFP riprende dalla rivista Environmental Research Letters, prima ancora di indignarsi per il suo moralismo senza morale bisognerebbe inquietarsi per la sua mancanza di rigore scientifico. È evidente che significa «stendere i panni» o «rinunciare a un volo transatlantico», ma che vuol dire esattamente «avere un bambino di meno»? Si tratta di accarezzare l’idea di averne tre e di ridurli a due, oppure di averne uno e poi di eliminarlo?
Inoltre, qui si comparano cose che non appartengono allo stesso ordine di realtà: avere un’auto a benzina (2,4 tonnellate di diossido di carbonio all’anno) e avere un bambino (58,3 tonnellate). Non ci sono foto, ma da un lato abbiamo un oggetto, dall’altro un soggetto; da un lato uno stile di vita, dall’altro una vita. Il bambino cumula in una certa maniera l’auto, l’asciugatrice, i pampers, ecc. Ora, non è molto logico comparare degli elementi tra di loro e poi comparare un elemento col gruppo che li contiene tutti.

Non dobbiamo prendere sul serio nemmeno l’argomento secondo cui la demografia galoppante rappresenta una minaccia ecologica?

Quando mia moglie ed io abbiamo avuto il nostro settimo figlio, qualcuno mi ha scritto che stavo contribuendo al suicidio del pianeta. Ho risposto che non era colpa mia se il pianeta aveva tendenze suicide. Oggi ne ho otto. Tanti esseri unici, con uno sguardo che rinnova il mondo e che mi incitano a combattere per il suo avvenire. Ho la tendenza a pensare due cose: che la Terra è bella solo per la vita che si dispiega al suo interno e che questa vita si manifesta ancor di più nell’animale razionale – e spesso irragionevole – che chiamiamo uomo, il solo a poter celebrare la bellezza del mondo, a comprenderne la «biodiversità» e a proteggerla.
Senza l’apertura del nostro sguardo, la diversità del vivente non rimane altro che una proliferazione senza testimoni né garanti. Seconda osservazione: il «pianeta» – come si usa dire tra le persone in assenza di gravità, visto che c’è pianeta solo da un punto di vista astronomico – non ha atteso l’homo sapiens per operare catastrofi. Tutti sanno che i dinosauri si sono estinti alla fine del Creataceo e che solo l’uomo è inconsolabile per questa perdita, dato che regala le figurine del T-Rex ai propri figli.
Peraltro non dobbiamo dimenticare che i demografi non sono tutti concordi: alcuni credono ancora all’esplosione demografica esponenziale, altri parlano già di implosione. Jean Bourgeois-Pichat, che ha diretto l’Ined4Institut national d’études démographiques (Istituto nazionale di studi demografici, l’analogo della nostra Istat). NdC, scriveva nel 1988 che con un tasso di natalità discendente al livello di quello tedesco le popolazioni europee sarebbero sparite attorno al 2250. Non siamo i padroni del tempo e le nostre prospettive dimenticano spesso i fattori meno evidenti o imprevedibili, i colpi di scena o le catastrofi, le epidemie o le scoperte.

Come concepire una ecologia in grado di fare a meno del malthusianesimo che raccomanda la limitazione delle nascite a scopi sociali?

È tanto più difficile per il fatto che la visione darwiniana della natura è a sua volta fondata su una logica malthusiana. Darwin lo dichiara a proposito della selezione naturale: «Nascendo un numero d’individui superiore a quello che può vivere, deve certamente esistere una seria lotta per l’esistenza. […] Questa è la dottrina di Malthus, applicata con maggior forza a tutto il regno organico».
Tuttavia, se l’ecologia consiste nel rispetto della natura, dobbiamo ammettere che è la natura a volere che l’albero dia frutti e che l’uomo e la donna accolgano figli. D’altro canto opporsi al malthusianesimo non significa predicare un natalismo sfrenato e nemmeno prendere la famiglia numerosa come modello. La Santa Famiglia ha un figlio soltanto. E in una famiglia cattolica, tradizionalmente, alcuni figli scelgono di non generare per entrare in una maternità o in una paternità spirituali. In ogni caso il mistero della nascita va lasciato all’intimità coniugale. Osserviamo di passaggio che i mezzi attuali per «avere dei bambini in meno» sono anche cause di inquinamento se consideriamo le industrie che servono a produrli.

Non pensa che la famiglia numerosa possa essere – lungi dall’essere da un luogo di spreco – un rifugio, anzi il luogo per eccellenza dove mettere in pratica l’ecologia?

Gli autori di Environmental Research Letters lo hanno riconosciuto in una intervista rilasciata a LifeSite: «Il problema centrale non è il numero di figli, ma la società ad elevato consumo in cui questi figli nascono». Gli amish hanno in media dagli otto ai dieci figli e uno stile di vita ben più ecologico del golden boy newyorchese. Conviene che il resto del mondo si interroghi su quello che è l’effetto e su quella che è la causa. Lo sviluppo del consumismo e la diminuzione del numero dei figli per famiglia sono strettamente correlati. I figli vi occupano e vi rendono sedentari, vi impongono il senso del recupero (i vestiti passano dal grande al piccolo), vi invitano a trovare la gioia attorno alla tavola piuttosto che ognuno attorno al suo tablet.
Al contrario, il solitario che ha non ha sufficiente speranza per dare la vita è ridotto alla necessità di divertirsi a fondo, di fare del turismo, di compensare col consumo di merci a quanto ha perduto dal lato della comunione con le persone. Personalmente mi auguro di vivere, non di sopravvivere o di inserirmi in un programma totalizzante. La vita è un’avventura e possiede sempre una dimensione drammatica, se non tragica. È questo il prezzo della più alta vitalità. Dobbiamo certamente vigilare per evitare l’autodistruzione materiale; ma dobbiamo, nondimeno, vigilare per evitare l’autodistruzione morale. Sarebbe parecchio triste salvare le scimmie trasformandoci in robot.

A margine dell’Assemblea generale dell’ONU, il presidente della Repubblica ha dichiarato: «Vi prego, presentatemi quella donna che ha deciso, essendo perfettamente istruita, di avere setto, otto o nove figli». Che ne pensa?

Mia moglie è un’attrice. Può recitare Molière o Shakespeare a memoria e dirigere una compagnia per fare sì che si operi l’incarnazione di una parola; ciononostante, non sono sicuro che sia istruita nel senso che intende il signor Macron, vale a dire formattata dalle discipline della tecnocrazia mercantile. Indubbiamente il presidente fa riferimento alle statistiche che stabiliscono un rapporto tra il numero di figli e il grado di istruzione accademica delle donne (preciso «accademica» perché c’è anche una trasmissione tradizionale, di donna in donna, proprio in relazione con la maternità), ma ne deduce, in maniera erronea, che la madre di una famiglia numerosa sia necessariamente ignorante o sottomessa.
Si tratta comunque di un vecchio problema che i Latini formulavano attraverso l’adagio aut puer aut liber: o si fanno figli, o si fanno libri. Resta il fatto che i grandi libri hanno bisogno di una posterità che li legga. E che la vita traboccante e incasinata di un’abbondante progenitura può alimentare una scrittura tanto più realistica e movimentata.

Note

Note
1 Da Le Figaro del 21 ottobre 2018. Traduzione di Emiliano Fumaneri.
2 Agence France-Presse, agenzia di stampa tra le più importanti e autorevoli al mondo. NdC.
3 Nel pamphlet satirico del 1729 A modest proposal for preventing the children of poor people from being a burden to their parents or Country, and for making them beneficial to the Public (Una modesta proposta per impedire che i bambini della povera gente siano di peso per i loro genitori o per il Paese, e per renderli utili alla comunità) lo scrittore anglo-irlandese Jonathan Swift «espone «un metodo onesto, facile e poco costoso» di trasformare il problema della sovrappopolazione tra i cattolici irlandesi nella sua stessa soluzione. La proposta dell’autore consiste nell’ingrassare i bambini denutriti e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. I figli dei poveri potrebbero essere venduti in un mercato della carne all’età di un anno per combattere la sovrappopolazione e la disoccupazione.
Così facendo si risparmierebbe alle famiglie il costo del nutrimento dei figli fornendo loro una piccola entrata aggiuntiva, si migliorerebbe l’alimentazione dei più ricchi e si contribuirebbe al benessere economico dell’intera nazione. L’autore offre un supporto statistico per le sue asserzioni e fornisce dati specifici sul numero di bambini da vendere, il loro peso, il prezzo e i possibili modi di consumazione. L’autore suggerisce alcune ricette per preparare questo “delizioso” tipo di carne ed è sicuro che questa cucina innovativa darà spunto per ulteriori piatti.
Anticipa, inoltre, che le pratiche di vendita e di consumo di bambini avranno positivi effetti sulla moralità familiare: i mariti tratteranno le loro mogli con più rispetto e i genitori valuteranno i loro bambini in modi finora sconosciuti. La sua conclusione è che l’implementazione di questo progetto aiuterà a risolvere i problemi complessi dell’Irlanda in materia sociale, politica ed economica più di ogni altra misura finora proposta». (da Wikipedia).
4 Institut national d’études démographiques (Istituto nazionale di studi demografici, l’analogo della nostra Istat). NdC

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