Respinto l’appello del Cardinal Pell, la Corte non esamina le “prove”

Pell lascia la corte mercoledì mattina. - CREDIT:JASON SOUTH

Chiamata a valutare un “verdetto irragionevole” in primo grado, la Corte Suprema della Victoria sembra invece aver date per assodate le “evidenze” presentate dall’accusa, limitandosi a chiedersi se, prese per vere, fossero sufficienti a determinare assenza di dubbi nella giuria in primo grado. Ora il team del Cardinal Pell tenterà il ricorso all’Alta Corte d’Australia, ma è difficile capire quali scenari si aprono.


La decisione della Corte Suprema dello stato della Victoria di trasmettere in diretta la sentenza in appello non lasciava presagire esiti fortunati per il Cardinal George Pell. Dietro la formale valutazione del grande interesse pubblico del caso si intravedeva la volontà di esprimere una misura esemplare in mondovisione, per annunciare che la disciplina dei victorians è implacabile. Ma la corte di Melbourne, nel confermare la pena, non sembra essersene data nel valutare le “evidenze” che nell’istanza di appello venivano messe in discussione a costituire un “verdetto irragionevole”. Così, se l’obiettivo era quello di segnare il primato sulla condanna penale di un cardinale della Chiesa Cattolica, un primato molto più preoccupante sembra aver attecchito nelle corti australiane e concerne l’equità di fronte alla legge.

Verso le 9.30 nella mattina australiana (attorno all’1.30 italiana) la sentenza è stata pronunciata integralmente sui tre motivi di ricorso: respinti in via unanime il 2° – il rifiuto da parte della corte di consentire tra le rilevanze processuali nell’esposizione della difesa l’animazione video per descrivere i percorsi degli implicati nella cattedrale – e il 3°, inizialmente formulato come composizione pregiudizievole della giuria, poi ridefinito come una più generica irregolarità processuale. Come era stato già previsto dai massimi esperti di diritto penale australiano, questi due argomenti non davano molto spazio alla difesa per l’accoglimento dell’istanza di appello.

I tre giudici che hanno composto la corte in appello: Chief Justice Anne Ferguson and Justice Chris Maxwell (al centro) e Justice Mark Weinberg (a destra).

La Corte Suprema si è invece spaccata sulla prima base di ricorso: l’irragionevolezza del verdetto. L’argomento era il vero determinante, un fattore risolutivo che, se accolto, avrebbe probabilmente portato ad un’assoluzione diretta senza l’ammissibilità di altri gradi in giudizio o di nuovi itinera processuali. Con una maggioranza di 2 a 1, la Corte ha deliberato il rigetto del primo argomento, rovesciando i pronostici degli osservatori specialisti che avevano valutato la sentenza in primo grado come sorprendente. Ha sostenuto l’istanza di appello il giudice Mark Weinberg, l’hanno respinta sia il Presidente della Corte di Appello Chris Maxwell che la Presidente della Corte nominata per questo appello Anne Ferguson, la cui lettura recita:

«Con una maggioranza di 2 a 1, la Corte di Appello rigetta l’istanza di appello contro la sua condanna per crimini di natura sessuale. Il Cardinal Pell continuerà a scontare la sua pena di reclusione di 6 anni e potrà esser candidato alla libertà condizionata dopo che avrà scontato 3 anni e 8 mesi della sua pena. Se il Cardinal Pell sarà rilasciato in libertà condizionata [dopo il suddetto termine] non è competenza di questa corte, ma del relativo comitato».

Il video della pronuncia della sentenza

Ad una lettura così rituale e formale della decisione, si contrappongono le dichiarazioni di accompagnamento di tutt’altro ordine:

«Abbiamo deciso che non c’era nulla tra le prove dell’accusa (o sull’opportunità di considerarle prove) che giustificasse per la giuria la necessità di dubitare della veridicità della versione dell’accusa. Nelle nostre motivazioni scritte abbiamo stabilito che non è sufficiente che uno o più giurati possano aver avuto un dubbio. In caso contrario la giuria avrebbe espresso dubbi».

La prima motivazione della Suprema Corte sarebbe perciò di natura congetturale. Siccome la giuria in primo grado non ha espresso dubbi, non si ha motivo di pensare che ce ne siano stati, né che ce ne dovettero essere. Per quella che ad ogni effetto pare una fallacia di “affermazione del conseguente”, il dato sorprendente è che la corte era precisamente chiamata a decidere della ragionevolezza del verdetto della giuria, non del consenso trai giurati.

«Affermiamo inoltre che noi stessi non abbiamo sperimentato dubbi. Il giudice Maxwell ed io abbiamo accettato la tesi dell’accusa secondo cui il querelante è un testimone convincente, chiaramente non un bugiardo, né un visionario e che abbia testimoniato il vero».

Il “noi” che esclude il giudice Weinberg è particolarmente significativo. Ferguson e Maxwell hanno ritenuto sufficiente la presunta assenza di dubbi trai giurati in primo grado, ma del tutto irrilevante la presenza di dissenso 2 a 1 nella corte di appello, difatti introducendo una contraddizione formale nel giro di pochi secondi. Nel procedurale la corte riconosce l’onere della prova interamente sull’accusa e che vi abbia assolto dimostrando che «ci fosse una possibilità realistica che il crimine avesse luogo». Qui si entra dunque nel sostanziale, con il team difensivo che in udienza in appello in Giugno aveva per 2 giorni elencato e dettagliato 13 diversi motivi per i quali i fatti non era possibile che fossero avvenuti, di certo non nei termini dell’accusa).

Vi avevamo descritti i principali qui, evidenziando come

  • sia per questioni spaziali e temporali il Cardinale non avrebbe potuto trovarsi nelle sacrestie durante la processione indicata dall’accusa,
  • fosse implausibile che esse al termine di una Messa Solenne le stesse fossero deserte al punto da consentire la consumazione per diversi minuti di un abuso sessuale
  • e perfino materialmente impossibile il prodursi di un’erezione e l’espletamento di una penetrazione per i paramenti liturgici che, secondo il solo testimone dell’accusa, la vittima dichiarata, Pell indossava mentre avrebbe abusato dei due piccoli cantori.  

Su quest’ultimo punto la Ferguson ha spiegato che lei e il giudice Maxwell hanno «giudicato che i paramenti si potessero maneggiare in un modo che può essere descritto come “spostato da un lato” o “da parte”». Secondo la corte, dunque, si può al massimo valutare la descrizione del testimone come sommaria, ma non per questo incongruente. Per valutarla credibile, però, bisognerebbe quantomeno avanzare delle ipotesi su come un uomo vestito come il Cardinal Pell al termine di una Messa Solenne (senza spogliarsi) avrebbe potuto aprirsi lo spazio necessario a praticare la penetrazione. Cosa che la Corte si guarda bene dal fare. La Ferguson ha infatti dichiarato che la Corte d’Appello si è limitata a considerare le prove come presentate alla giuria in primo grado, interrogandosi se, sulla base di queste, fosse ragionevolmente possibile per la giuria pronunciarsi per la condanna del Cardinale.

Qual è dunque l’“evidence”, l’elemento di carattere probatorio determinante? La (sola) testimonianza della vittima, si desume dalle dichiarazioni in aula. Ma il carattere probatorio della testimonianza è stato semplicemente assunto come tale, limitandosi la corte a valutarne la sufficienza, o è stato messo in discussione nella sussistenza del fatto denunciato? Da quanto emerso stamane non è chiaro se Ferguson e Maxwell abbiano dato per acquisiti i presupposti del verdetto in primo grado. Il giudice Weinberg, a favore del ricorso, invece ha richiesto di aggiungere una sua nota, riferita dalla Ferguson.

«Ha concluso che l’evidenza conteneva discrepanze, mostrava incongruenze e che comunque fosse carente di valore probatorio tale da provocare il dubbio sulla colpa del ricorrente».

Non esattamente l’assenza di dubbi enunciata in apertura, dunque. In ogni caso per capire gli esatti elementi di valutazione dovremo leggere il testo della sentenza, che conta oltre 300 pagine (perciò non sintetizzabile nella nostra copertura notturna) ed è stata già pubblicata dalla Corte Suprema della Victoria.

Mentre la Ferguson ripeteva il monito del giudice in primo grado Peter Kidd sul non dover interpretare le sentenze del presente caso come un “capro espiatorio” per le colpe presunte o reali della Chiesa Cattolica, né degli abusi clericali, i gruppi di sostegno alle vittime comprensibilmente esultavano fuori dalla corte esprimendo l’importanza di una simile sentenza per i sopravvissuti d’abuso, dando elementi più significativi per comprendere la sentenza di quanti ne abbia concessi la lettura. Anche il governo australiano ha espresso immediatamente vicinanza alle vittime, precisando che dall’esecutivo non s’intende commentare la sentenza in rispetto alla separazione dei poteri, ma il Primo Ministro Scott Morrison ha anticipato che Pell verrà spogliato di ogni onorificenza civile.

Sulla sentenza e nell’espressione di vicinanza per le vittime di abusi sono inoltre già intervenuti sia l’Arcivescovo Mark Coleridge, pres. della Conferenza Episcopale Australiana, per il dovere di «accettare il verdetto odierno in accordo con il diritto di venir giudicati con equità» e l’Arcivescovo di Melbourne Peter Comensoli, anche lui dichiarante il rispetto della sentenza, assicurando tutto il sostegno spirituale e pastorale al condannato. Diverso il registro dell’Arcivescovo di Sidney Anthony Fisher, che nel suo comunicato oltre a ribadire il lavoro di sostegno alle vittime di abusi ha evidenziato il dissenso sulle questioni giuridiche sia entro l’iter processuale che trai commentatori, aggiungendo che «la Santa Sede farà bene ad attendere che il procedimento di appello si esaurisca».

Nella forte eco mediatica, le principali testate australiane sottolineano con insistenza il rilievo della conferma di condanna per un presule del rango di Pell. Lui, come già nelle precedenti occasioni, anche stamane è rimasto silente e immobile durante tutto il tempo e altrettanto silenziosamente è stato ricondotto in carcere. Durante la lettura in aula si è udito un singhiozzo, ma nulla più (e forse non proveniva nemmeno dal condannato). La portavoce Cardinal Pell, nel comunicarne la delusione, ha confermato che il team difensivo ricorrerà all’Alta Corte d’Australia, il massimo organo giudiziario dell’ordinamento federale dei 6 stati. Ma è difficile stabilire se il ricorso possa venire anche solo valutato. Con un rigetto richiesto per verdetto irragionevole, la migliore carta della difesa potrebbe essere stata scartata.

Il presente contributo è frutto del livestream della Suprema Corte della Victoria e dei report dai media australiani che hanno corrispondenti sul campoAGGIORNATO alle ore 6:00.

5 commenti

  1. Grazie per il tenerci aggiornati e in modo così puntuale su questa controversa e poco sorprendente vicenda, quanto agli esiti che si vanno sin qui profilando.

  2. Salve!

    “temo la giustizia degli statunitensi”
    (citazione di un prete “santo”)

    si potrebbe parafrasare con
    “temo la giustizia degli anglosassoni”

    la parola “giustizia” in queste frasi
    ha più un senso impositivo che altro.

    L’Australia che usa manodopera giovane
    e straniera e pagata si e no il “giusto”
    nelle manovalanze agricole di basso profilo
    ma mantiene una grande rigdità alle
    frontiere non è proprio un gra bel
    esempio di accoglienza e libertà e pensare
    che se la “tirano” anche parecchio!

    Direi che ogni giorno di più si vedono i limiti
    di questo tipo di società (anglosassone)
    dove le innumerevoli
    regole (per la verità rispettate
    dalla cittadinanza) servono perlopiù ad
    impedire che si ammazzino fra di loro
    e non a creare uan società condivisa.

    saluti

    RA

  3. Ero stata facile profeta nel prevedere che l’appello avrebbe avuto questo esito! Non è un bel segno, né per i cardinali , né per i semplici fedeli. Non ci resta che pregare per il cardinale e per tutti noi !

Di’ cosa ne pensi