Sylviane Agacinski: la fabbrica dei figli e quella voglia di «superare i limiti biologici della procreazione»

Intervista a cura di Natacha Polony1Pubblicato su Marianne.

Mentre il Primo ministro ha annunciato per l’autunno la presentazione al Parlamento di una proposta per estendere la PMA alle coppie omosessuali e alle donne single, la filosofa Sylviane Agacinski pubblica nella piccola collana “Tracts” di Gallimard un testo intitolato “L’uomo disincarnato” (“L’Homme désincarné”). Una riflessione sulla produzione di figli in laboratorio.

Marianne: L’opinione pubblica maggioritaria sembra favorevole a questa evoluzione che ci viene presentata come un progresso e come l’accesso a un diritto da parte di persone che ne erano prive. Lei contesta questa logica?

Sylviane Agacinski: Diffido di un progressismo per il quale la scienza e la tecnica sono la sola fonte di verità. Certo, abbiamo bisogno delle scienze, specialmente in campo medico, ma nessuna conoscenza scientifica, nessuna procedura tecnica può dirci ciò che è bene o male o ciò che è giusto o ingiusto. Ora, dobbiamo constatare che una certa ideologia progressista è cieca davanti alle esigenze etiche, giuridiche e politiche che fin dai Greci costituiscono il fondamento della nostra civiltà. Tutto accade come se non avessimo più altra ambizione che non sia quella di dominare la natura e di cambiare la nostra stessa natura grazie alla potenza tecnoscientifica. Da qui i sogni più folli del transumanismo, che promette di sostituire la vita umana, fragile e sensibile, con degli esseri fabbricati e sempre più performanti. Questa ideologia sopprime le domande fondamentali, e cioè: come vivere in maniera umana gli uni assieme agli altri? Come stabile in società leggi e istituzioni giuste? Sono queste questioni etiche a interessarmi, le questioni poste dalla filosofia da Aristotele fino a Paul Ricœur. Se le abbandoniamo, cadiamo in un relativismo totale.
Guardate cosa è diventato il Comitato consultivo nazionale di etica. A partire da lì, il diritto ha perso la bussola e si vede intimare di non ostacolare le «domande della società», cioè i desideri e le fantasie individuali. Questo progressismo è anche un produttivismo generalizzato. In qualche modo esso ci dice: le tecnologie permettono di fabbricare l’oggetto dei vostri desideri – non soltanto degli oggetti di consumo, per il maggior beneficio dei mercati – ma tutti i vostri desideri, compreso il desiderio di avere dei figli. Il nostro paese non è tutto così, ma, incoraggiato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, poco turbata dal mercato del corpo delle donne, poco alla volta si sta piegando al modello californiano, uno stato in cui la riproduzione umana è diventata un importante settore economico. Negli «istituti di riproduzione umana» la biomedicina viene messa al servizio dei mercati che produce. Il nostro immaginario cambia. Si dice che grazie alle biotecnologie il figlio non è più un essere generato per forza da un uomo e da una donna, che può essere fabbricato in laboratorio.

Si avanza questo argomento: si tratta di un nuovo diritto che non toglie niente a nessuno.

S.A.: È solo che non sappiamo produrre la vita a partire dalla materie inerte. Per «fare» dei bambini servono delle «risorse» biologiche, vale a dire gameti, sperma e ovociti per una inseminazione o per una fecondazione in vitro (FIV). Nel nostro paese, già da alcuni anni, grazie al metodo dell’iniezione diretta degli spermatozoi nell’ovulo (Icsi), la quasi totalità delle coppie infertili (95%) che ricorrono a una PMA si servono delle proprie cellule senza bisogno di donatori terzi, il 4% ricorre a un donatore di sperma e l’1% a una donatrice di ovociti. Tuttavia, c’è mancanza di donatori.
Se la PMA dovesse uscire dal suo ambito medico per rispondere a una domanda sociale di donne sole e di coppie di donne, si dovrebbe far fronte a una penuria di sperma. C’è già chi suggerisce di «indennizzare» i donatori, cioè di remunerarli, come in Spagna. Si aprirebbe allora un mercato dello sperma, poi di ovociti.
D’altra parte sappiamo bene che i figli nati dallo sperma di un donatore sconosciuto vogliono sapere che è il loro genitore, anche quando hanno un padre e una madre. Rifiutano il pensiero di essere nati da «materiali biologici». Il problema sarebbe anche più grave per quelli che avessero solo una madre o due madri e la cui filiazione fosse esclusivamente femminile, a differenza degli altri figli. Potrebbero sentirsi vittime di una ineguaglianza. Le donne dovrebbero riflettere su questo. Bisogna anche considerare il paradosso di andare a creare deliberatamente, per via medica in qualche maniera, delle famiglie monoparentali. Ne esistono già, senza dubbio, ma la responsabilità di tutto questo ricade sui genitori, attraverso quelli che chiamiamo i casi della vita. Spetta forse al legislatore e al medico stabilire delle modalità di procreazione artificiale che un giorno faranno soffrire i figli?

I partigiani della PMA «per tutte» affermano che questa pratica, per il momento, viene vietata ad alcune donne a causa del loro orientamento sessuale e, con Iréne Théry, che essa dovrebbe basarsi sul dono, come accade per gli eterosessuali.

S.A.: È una interpretazione distorta: in Francia la procreazione assistita risponde, fino ad oggi, a una logica medica di lotta contro l’infertilità, in altre parole coinvolge alcune patologie che affliggono uno o l’altro membro di una coppia «in età fertile». La nozione di infertilità ha senso solo per una coppia potenzialmente fertile, cioè mista, composta da un uomo e da una donna. La procreazione, fatta in laboratorio o altrove, richiede la partecipazione dei due sessi. È così. In questo campo i due sessi non sono equivalenti o intercambiabili.
È per questo che i partigiani della PMA generalizzata vogliono sottrarre la procreazione al quadro dell’assistenza medica. Ben di più, come scrive in ogni lettera il deputato LREM Jean-Louis Touraine (nel rapporto consegnato all’Assemblea nazionale nel gennaio 2019) si tratta di «superare i limiti biologici della procreazione». Secondo questo rapporto, la genitorialità non deve più essere collegata alle condizioni della procreazione ma alla volontà degli individui. Così, dal solo fatto di aver dichiarato davanti al notaio la propria volontà di avere un figlio grazie a una donazione di sperma, due donne diventerebbero entrambe le madri del bambino. Contro ogni verosimiglianza. È un copia-incolla del vocabolario giuridico americano che chiama «genitori di intenzione» le persone che hanno utilizzato una madre surrogata per far nascere un bambino e figurano sul suo stato civile. La volontà, come l’intenzione, aggira il ruolo asimmetrico dei due sessi nella procreazione e nella filiazione. La volontà non ha sesso, è disincarnata. Dunque il sesso dei «genitori di intenzione» non ha alcuna importanza. Se importiamo questa concezione della genitorialità intenzionale in materia di procreazione assistita giudicando, in maniera irrazionale, che esiste una «uguaglianza tra le coppie» (che siano di sesso differente o dello stesso sesso), allora la PMA per tutte porterà alla GPA per tutti. Già non disturba più l’alta società, e in ogni caso non i media, che delle coppie si rechino all’estero per acquistare i servigi di una madre surrogata e comprare un bambino come si acquisisce una proprietà.

Il legislatore e i militanti affermano che la PMA e la GPA non hanno niente a che vedere e che l’una non porterà all’altra.

S.A.: Tutti sanno che il mercato mondializzato della procreazione è in grande espansione e che, in ultima istanza, sono i figli ad essere ordinati e acquistati. A caro prezzo. Basta andare sulla rete a visionare i siti degli istituti, da Los Angeles a Kiev o da altre parti, per comprendere l’ampiezza del fenomeno senza farsi ingannare dalla retorica della donazione. Un ultimo punto: perché oggi domandiamo alla medicina di fabbricare dei figli? Da dove è venuta questa domanda sociale? È alimentata dall’offerta commerciale che esiste da altre parti. Sperma in Spagna, uteri negli Stati Uniti, in Ucraina e altrove. Dato che altrove esistono industrie e mercati della procreazione, c’è chi esige così dal medico e dall’assicurazione sanitaria di fornire, gratuitamente, le stesse prestazioni che gli vengono proposte da imprese private e commerciali. Ma questo è incompatibile col nostro sistema sanitario e con le nostre leggi. Almeno si dovrebbe poterne discutere.

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