Frizzi e Beltrame: quei morti che dovrebbero insegnarci molto

La folla ai funerali di Fabrizio Frizzi nella chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo, 28 marzo 2018 a Roma. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Cosa è accaduto in Italia e in Francia in queste ultime settimane? La cronaca ci riporta che sono morti due uomini tra gli altri. Eppure la loro morte ha suscitato sentimenti che vanno al di là dell’umana commozione per la scomparsa di qualcuno. Le circostanze della dipartita sono state molto diverse: uno si è spento per l’ultima aggressione della malattia con cui combatteva, l’altro per essersi sacrificato al posto di una possibile vittima. Fabrizio Frizzi e Arnaud Beltrame non potrebbero avere avuto vite più differenti: eppure due nazioni, in questi giorni, ne hanno pianto la scomparsa, quasi riecheggiando,nel loro dolore, le parole che il profeta Zaccaria scrisse in prospettiva di una morte ben più rilevante per l’umanità

Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.

Zc 12, 10

Quando si muove la massa, il collettivo, la folla, c’è sempre da stare in guardia, che si tratti di una piazza reale o virtuale. La titolarità dei sentimenti espressi non può essere realisticamente patrimonio di tutti: molti si associano per esibizionismo, viltà, per pronunciare l’ormai consueto “io c’ero” e per altri motivi che esulano dalle intenzioni originarie che hanno suscitato il moto. Abbiamo avuto modo di meditarlo in questi giorni: la stessa folla che acclama l’ingresso del Figlio di Dio in Gerusalemme dopo poco tempo ne chiederà la crocifissione.

Eppure, purificati da una lettura riduttiva o trionfalistica (che minimizzi l’istanza espressa o, di contro, enfatizzi la partecipazione), i movimenti popolari possono interrogare e suscitare, a seconda dei contenuti di cui si fanno portavoce, inquietudini o speranze. Anche quelli recenti, che hanno visto social e piazze in fibrillazione per la morte di un conduttore televisivo e per il sacrificio di un gendarme.

Joseph Ratzinger scrisse sul finire degli anni ‘60 un libro che non ha perso la sua attualità: Introduzione al Cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico.

Introduzione

In quelle pagine illustra il cambiamento di paradigma culturale delle varie epoche storiche. Si è passati dalla coincidenza del Verum con l’Ens nell’antichità e nel Medioevo (con l’uomo che, pur essendo pienamente inserito nella storia, si eleva verso l’Eterno, nella convinzione che Verità ed Essere si equivalgano) al Verum quia factum di Giambattista Vico, filosofo che per Ratzinger è autore di una vera svolta: da quel momento la Verità coinciderà con ciò che è stato fatto da noi, e la storia avrà una preminenza, fino a risucchiarla, sulla metafisica. Negli anni in cui scriveva la sua opera, tuttavia, Ratzinger evidenziava un ulteriore cambio di paradigma:

Il factum ha generato il faciendum; la cosa fatta ha dato origine a quella fattibile, ripetibile, controllabile, ragion per cui essa è presente solo in funzione di quest’ultima. Si giunge così al primato del fattibile sul già fatto […] La tecnica diventa così un vero potere e dovere dell’uomo

Introduzione al Cristianesimo, 58

2 commenti

  1. Salve!
    Non voglio smontare questo bel articolo né nessuna delle sue idee che anzi mi piacciono e voglio anche io senz’altro unirmi alla speranza che inducono quelle “crepe sul muro”…
    Il mio pensiero comune davanti a questi grandi movimenti di folla in occasione di importanti funerali (non solo per Frizzi e Beltrame ma anche per Ferrucci che morì suicida…e per tanti altri eccetera) è simile al tuo ma forse troppo realista: anche i cristiani e non solo quelli di oggi, si fermano al sepolcro. Pur essendo battezzati e quindi avendo in sé il seme della resurrezione, sentiamo di appartenere al sepolcro più che alla nuova vita in Dio… Io setsso sono tentato spesso a questi pensieri quando ho partecipato a funerali di persone giovanissime, Alice di 10 anni, Francesco di 18, Diletta di 19… anche io ero disperato e non solo addolorato, per la loro morte… tutti e tre cristiani, tutti e tre figli di famglie profondamente cristiane, tutti e tre figli di madri che hanno confermato la loro adesione a Dio anche nel discorso funebre… il padre di Francesco parlò per la moglie (che in quel momento era troppo commossa) e disse: “siamo addolorati nel modo più triste possibile ma non siamo disperati” … ed io che ero lì ed ero più disperato di loro! C’è una troppo umana adesione al sepolcro anche in noi cristiani che dovremmo avere invece ben inculturata la promessa di una elevazione della nostra umanità oltre le barriere della morte… Anche noi cristiani non abbiamo ben capito cosa è veramente il “passaggio” cioè la Pasqua… Io sono sempre più convinto che dovremmo non solo affidarci molto di più alle parole “è veramente risorto” ma dovremmo cominciare a smettere di dirle e di ripeterle perché finalmente assimilate!
    saluti
    RA

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