Un giorno d’autunno una viaggiatrice (orante)

La mia vita sulle quattro ruote è iniziata da diversi anni. Con delle pause, mai prolungate. Guidare per distanze chilometriche mi stanca, ma mai al punto di rinunciare a servirmi dell’auto. Sono una guidatrice non provetta, e tante volte protetta, anche miracolosamente. Ho imparato ad essere prudente, ma su strada, come nella vita, la presunzione è bandita: mi metto integralmente nelle mani di Dio. Penso ai tanti che non sono mai arrivati alla destinazione che si prefiggevano.

Di solito è un mazzo di fiori di plastica legato al guardrail, a volte una lapide, raramente una croce, a ricordarmi quello che è accaduto mesi o anni addietro. In una notte sferzata dalla pioggia o in un pomeriggio deliziato dai raggi del sole; in una mattina velata di nubi o nell’aria mite di una sera fiorita di stelle. Non c’è un’ora adatta alla morte, ma ogni minuto è il tempo in cui la fine può arrivare.

Osservando le tracce affettuose lasciate da chi ha amato le persone morte su strada, rifletto su esistenze finite prematuramente. Alcuni li ho conosciuti e in questo caso il pensiero si inoltra per i sentieri malinconici del ricordo. La maggior parte mi sono ignoti, ma per quella stessa umanità di cui siamo impastati – noi, discendenti di Adamo – e perché siamo tutti uniti in una comune fraternità come figli di Dio, i loro volti non mi sono estranei, i loro nomi non mi sono ostili.

Chiedo loro – in tanti, spero, più vicini a Dio di come lo sia io – che intercedano per le mie necessità. Nel frattempo cerco di sovvenire a chi ha ancora bisogno di essere presto nella Gloria, recitando quella preghiera soave, l’Eterno Riposo, che, tramandata dalle labbra dei nonni a quelle dei nipoti, continua a salire verso il Cielo. Un mutuo scambio tra pellegrinanti, quello tra me e questi defunti, anche se a latitudini diverse. Se servisse un ministero apposito, la preghiera in macchina, pure per altre intenzioni, potrebbe essere definita il ministero dell’orante itinerante: non sarà tra i più visibili, ma Gesù ci ha mai voluti sgomitanti per un palcoscenico ecclesiale? Sono certa che gli oranti itineranti siamo in molti, e nel silenzio di un abitacolo mobile ci ritroviamo uniti da una tessitura luminosa di lodi, suppliche, invocazioni.

La preghiera per tutti i defunti è importante, non solo il 2 Novembre, ma per chi è morto di morte improvvisa potrebbe esserlo di più. Perché alcuni di loro saranno stati pronti per la Vita Eterna, altri no. Il cristiano ha sempre chiesto a Dio di liberarlo da una morte inattesa. In un testo classico di meditazione, Apparecchio alla morte di Alfonso Maria de’ Liguori, il santo così spiegava il timore della fine che non lascia tempo di prepararsi: è temuta «la morte subitanea perché allora non vi è tempo di aggiustare i conti».

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda:

La Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte («Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore»: antiche Litanie dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi «nell’ora della nostra morte» («Ave Maria») e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte.

n. 1014

Poi, riportando un passo dall’Imitazione di Cristo, aggiunge:

«In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?».

In questi tempi rovesciati, abitati dalla fluidità di sentimenti e dalla relatività di convinzioni, la condanna ad una morte che si allunga nei giorni, trascinando un corpo nella sofferenza prima di ghermirlo, appare la più odiosa. Una morte annunciata (da una malattia, per esempio) sembra una barbarie insostenibile. Ma è una delle realtà che ci consente un congedo reale, un’uscita di scena meditata, una preparazione feconda. Ci dà la possibilità di prendere commiato dalla vita terrena e di prepararci sacramentalmente alla Vita Vera. Non c’è una retorica idilliaca dell’approssimarsi della morte, ma c’è – per chi non si infrange nelle rocce della disperazione – almeno la possibilità di trovare un senso all’addio e attendere senza sconfortarsi ciò che è stato preparato per noi. Benedetto XVI, in un Angelus del 2008, ha immaginato il Signore che ci rivolge queste parole:

Sono risorto e ora sono sempre con te […] e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce.

Dove trovare una conclusione più amabile?

 

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