Il dono della Sapienza non è solo uno dei doni dello Spirito Santo che ci fa assaporare quanto la Scienza vede e l’Intelletto scruta.
La Sapienza è anche il saper vivere. Il sapere stare al mondo. Non altri mondi, ma questo. Questa specifica porzione di storia e di cammino che ci è affidata.
Ora, indubbiamente, l’epoca presente porta in sé grande smarrimento, su più piani. Anzi porta smarrimento perché vero terremoto è presente nelle fondamenta. Quello dei principi, quello dei valori, quello dell’antropologia, quello della comunicazione, quello delle relazioni. Forse, un tale smarrimento, un tale “smottamento”, con una guerra silenziosa ed una dittatura “spalmata”, non è mai avvenuto con tale entità. In altre epoche, forse, più facilmente era chiaro l’errore ed il promotore di cattiveria.
Ma noi sappiamo che il “principe” di questo mondo non vuole essere manifesto ma rivestito di pelle d’agnello per portare al nulla ed al vuoto. Suo compito è promuovere disumanità e zizzania. Suo compimento è quello di essere menzognero e ladro sin dal principio. Menzognero, perché chiama male il bene e bene il male e nel contempo è ladro di bene e di luce.
Ed egli non risiede in sola persona, in maniera semplificata, tale da dire di questi: “è l’Anticristo!”. Chi pronuncia questo, sovente è ingannato ed inganna. Sovente è già vittima dello “sterminatore”.
Tuttavia l’atteggiamento che la Sapienza stessa ci chiede non è quello della lamentela e della mormorazione, perché, come citando San Paolo ricorda Sant’Agostino Vescovo, nell’ufficio delle letture di oggi:
Mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore.1 Cor 10,10
Un conto è essere sentinelle ed un conto è vivere senza resa e speranza in Colui che realmente regna nella storia, per vie che per noi sono talvolta incomprensibili. Ora, quando alcuni di noi oppure noi stessi, oscilliamo tra atteggiamenti di “rigidità conservativa” o “compromesso con il mondano” non stiamo agendo secondo Sapienza ma come uomini e donne di poca fede.
La fede retta (per dirla con Francesco di Assisi) ci porta a compiere tutto quello che riteniamo giusto in coscienza, avendo nel contempo, costantemente, la docilità ad affinare e purificare la coscienza, perché diventi retta e nel contempo la capacità, tutta umana, perché in seme divina, di arrenderci a Dio e di “Fermarci e riconoscere che Egli è Dio” (cf. Sal. 46,11) e non ve ne sono altri. Questa è la Sapienza ed è il contrario della mormorazione. Perché essa apre, pur dentro la croce ed alla sofferenza, alla luce del Padre e non fa entrare lo “sterminatore”. Dentro di noi e tra noi. Non ci indurisce ma ci rende veglianti perché malleabili allo Spirito Santo. Umili. Umili, umili.
Non in un possibile futuro, ma nel qui ed ora. Questo è il tempo della Salvezza.
Un tempo in cui rendere lode anche se la speranza si obnubila. E questo è già chiamata, già vocazione.
Dunque caro amico mio è sostanzialmente un problema di fede il vivere secondo Sapienza.
E già gridare a Dio, dal profondo e con tutto sé stessi, la propria impotenza e la propria poca fede, è medicina di guarigione.
Che zittisce lo “sterminatore” e lo incatena nella sua rabbia ruggente.
Sosteniamoci in questo, come il grande Vescovo Boccaccio (nella foto) sosteneva San Giovanni Paolo II in visita nella sua diocesi.
Sosteniamoci, dunque nella Sapienza.
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. Caillau-Saint-Yves 2, 92; PLS 2, 441-442) Chi persevererà sino alla fine sarà salvato
Tutte le volte che sopportiamo angustie o tribolazioni, queste costituiscono per noi un avvertimento e nello stesso tempo un mezzo per correggerci. Infatti anche la Sacra Scrittura non ci promette pace, sicurezza e tranquillità; anzi il vangelo non ci nasconde le tribolazioni, le angustie e gli scandali. Assicura però che «chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 10, 22). Dal primo uomo non avemmo alcun bene, anzi ereditammo la morte e la maledizione, da cui doveva venire Cristo a liberarci. Perciò non lamentiamoci e non mormoriamo, o fratelli. Ce ne mette in guardia anche l’Apostolo dicendo: «Mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore» (1 Cor 10, 10). Che cosa di nuovo e insolito, o fratelli, patisce ai nostri tempi il genere umano, che non abbiano patito i nostri padri? Anzi possiamo noi affermare di soffrire tanto e tanti guai quali dovettero soffrire loro? Eppure troverai degli uomini che si lamentano dei loro tempi, convinti che solo i tempi passati siano stati belli. Ma si può essere sicuri che se costoro potessero riportarsi all’epoca degli antenati, non mancherebbero di lamentarsi ugualmente. Se, infatti, tu trovi buoni quei tempi che furono, è appunto perché quei tempi non sono più i tuoi. Dal momento, infatti, che sei già libero dalla maledizione, che possiedi già la fede nel Figlio di Dio, che sei già stato iniziato e istruito nelle sacre Scritture, non vedo come tu possa pensare che Adamo abbia conosciuto tempi migliori. Anche i tuoi genitori hanno portato l’eredità di Adamo. Ed è proprio Adamo colui al quale fu detto: Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane e lavorerai la terra da cui sei stato tratto; essa spine e cardi produrrà per te (cf. Gn 3, 19. 18). Ecco che cosa ha meritato, che cosa ha ricevuto, ecco che cosa gli ha inflitto il giusto giudizio di Dio. Perché allora credi che i tempi passati siano stati migliori dei tuoi? Considera bene che dal primo Adamo sino all’uomo odierno non s’incontra se non lavoro, sudore, triboli e spine. Cadde forse su di noi il diluvio? Son venuti forse su di noi tempi tanto terribili di fame e di guerre, come una volta e tali da giustificare il nostro lamento contro Dio a causa del tempo presente? Pensate dunque che sorta di tempi erano quelli. Sentendo o leggendo la storia di quei fatti, non siamo forse rimasti inorriditi? Perciò abbiamo piuttosto motivo di rallegrarci, che di lamentarci dei nostri tempi.
Di’ cosa ne pensi