San Pietroburgo e l’identità che (non) può salvarci

di Giovanni Marcotullio

San Pietroburgo dopo Londra. La Russia come il Regno Unito, che Europa non è (più), e la Corona di Elisabetta II come l’oligarchia tecnocratica che riveste l’istituzione del Vecchio Continente. È una guerra senza quartiere: non si scampa né isolandosi dal gruppo né guadagnandosi la parte dell’orso della steppa. Pochi giorni fa anche l’innocuo e splendido Ponte di Rialto era nel mirino di terroristi che lo avrebbero mandato in fondo al canale, se il lavoro dei servizî segreti non fosse riuscito a parare quel terribile rigore.17760533_10155169740354137_949001469_n

Mi spiace però constatare che il panico fomentato dal terrorismo internazionale (di qualunque matrice) sia il combustibile primario di certe opzioni politiche, che poi sono le stesse che a Natale si scattano le foto coi presepi e a Santo Stefano se ne escono con l’idea che salverà il welfare – la tassazione delle prostitute (e dei prostituti trans!).

Sia chiaro, non ce l’ho personalmente con Salvini, per il quale anzi nutro una certa ammirazione professionale: più volte ho apprezzato la sua duttilità nel modulare il registro comunicativo e per riuscire a vendersi efficacemente ai mitologici “moderati” italiani. Oggi anche lui ha il diritto, come tutti, di dire la sua sul triste attentato di San Pietroburgo e, se crede, di pregare per le vittime.

Non ce l’ho con Salvini ma reputo pericoloso il cavalcare le (comprensibilissime) paure dei cittadini per accrescere il proprio consenso politico: la lezione di Grillo dovrebbe essere ormai perspicua a tutti – così uno può anche prendersi il mondo, ma di certo non può governarlo.

Soprattutto, poi, mi fa orrore che ci si omologhi alla lettura che di “noi” occidentali dànno i terroristi: l’occidente non è il regno dei crociati (come a ben vedere non è mai stato, non del tutto), è soltanto un’area geografica governata da molti particolarismi che permettono a pochi oscuri poteri di tessere trame opache a vantaggio di ignoti.

Proprio oggi riflettevo sul prezzo inaccettabile, in termini teologici e politici, della cosiddetta “Benedict Option”, che rinuncia alla resistenza culturale intestina all’Occidente (ovvero quella che dovrebbe contrapporsi a spinte eversive dall’interno) a vantaggio di una prodigiosa resilienza che metterebbe da parte il deposito della civiltà per i secoli a venire. Mi è sempre spiaciuto constatare che anche capaci pensatori come Francesco D’Agostino sembrano aver abbracciato quella via. Trovo però ancora più strano che una certa parte, forse minoritaria, di quanti affermano di trovare la “Benedict Option” formidabile ad intra si mostra poi entusiastica sostenitrice di una politica “dura e pura” ad extra. Io invece auspicherei il contrario: che si sia tanto fermi ad intra nel ribadire la propria identità – e quindi nel resistere attivamente alle forze che vorrebbero dissolvere la civiltà occidentale – quanto aperti ad extra nel dialogare con culture provenienti da una geostoria completamente diversa dalla nostra.

Ecco perché da diversi mesi auspico che venga tradotto in italiano Identitaire, di Erwan Le Morhedec, il cui suggestivo sottotitolo recita: «Le mauvais génie du christianisme» [«Il cattivo genio del cristianesimo»]. Fin dall’Introduzione vi si legge:

Se i praticanti regolari continuano a votare per il Front National in proporzioni certamente trascurabili, rispetto all’insieme dei francesi, il partito frontista cresce più rapidamente tra di loro di quanto non faccia nell’elettorato medio.

Una lettura sociologicamente raffinata del dato elettorale: i cattolici “conservatori” sono tanto in ricerca di miraggi identitarî da rivolgersi sempre più alle formule politiche delle signore Le Pen, che col cristianesimo non hanno parentele più strette di quelle che potrebbe vantare la Lega. Eppure anche in Italia i transfughi del voto berlusconiano, dapprima ospitati nella tronfia baracca alfaniana, si dirigono in parte non trascurabile verso quella retorica barbara e vuota che placa l’ansia alimentando la rabbia al grido di “prima gli italiani”.

Così tutto diventa scontro di civiltà, anche nei casi in cui o c’è semplice criminalità occasionale o i crimini vengono perpetrati da stranieri che non sono stati adeguatamente integrati (e anche in questa contraddizione la multietnica Francia, con le sue periferie-ghetto in guerriglia, ci è di triste monito).

L’attentato di San Pietroburgo, verosimilmente suggerito dalla presenza in città del presidente Putin, non torna che a porre più urgentemente l’interrogativo: abbiamo davvero una civiltà da difendere o non siamo semplicemente «l’Empire à la fin de la decadence» [«l’Impero alla fine della decadenza», Paul Verlaine], che doverosamente soccomberà ai nuovi barbari senza poter trarre giovamento dai tesori di civiltà degli avi?

È anche un interrogativo evangelico, a ben vedere: se non abbiamo custodito la ricchezza dei nostri antenati, perché la storia dovrebbe assegnarne una a noi? (cf. Lc 16,12). Non sono Putin, Salvini e le Le Pen gli obiettivi del terrorismo islamista (se fosse vero, potrebbero campare come Roberto Saviano: sotto scorta e di interviste). La pressione di questi popoli spinge invece a una revisione, a una verifica.

74edc074-6562-4302-b67e-4afafdde9c13.jpegÈ invece un segnale consolatorio che il libro di Le Morhedec stia vendendo bene, in Francia: forse c’è ancora speranza di ricominciare a ragionare da persone lucide, o perlomeno non così disperate da voler usare la croce di Cristo come spranga al portone di casa.

Se l’avvenire di una tale tentazione identitaria è incerto, non c’è dubbio che quanto comunicheremmo in tal modo non avrebbe allora più niente di cattolico. Possiamo anche solo immaginare di trasmettere la fede senza il Cristo? Cedendo alle sirene identitarie dobbiamo paventare la precipitazione della sovversione del cristianesimo. Il perpetuarsi della cristianità non è una battaglia legittima se non a condizione che il cristianesimo sopravviva alla vittoria. E l’avvenire della cristianità non può scriversi senza Cristo.


aggiornamento: the day after

Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

1 commento

  1. Giovanni io mi chiederei perché tanti cattolici e non preferiscono il voto identitario che beninteso è sempre legato ad una situazione di paura o di crisi economica (vedi Hitler nel 1933) a cui si accompagna l’incapacità di una classe politica “tradizionale” di fornire convincenti risposte … se in Francia dopo la fine di Fillon (colpito non a caso da una tempestiva inchiesta) ormai l’alternativa a Le Pen è Macron (uomo Rotschild) come dovrebbe votare un cattolico? … ciò che scrivi è vero ma quanto tempo ocore prima che si possa realizzare? Ho l’impressione che i populismi (a cui non do un’accezione negativa) risposta danno all’esigenza del “primum vivere deinde philosophare”

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