Come a Maria Egiziaca “si aprirono gli occhi”

Nella figura di Maria Egiziaca, che ricordiamo oggi, ci sembra possibile leggere la bellezza di una vicenda che è più comune di quanto non sembri: il ritorno a Dio dopo la discesa nelle profondità delle tenebre del peccato. La trama esile di una storia, in cui elemento leggendario e probabile residuo storico si fondono, come desumiamo dalla lettura di Vita Sanctæ Mariæ Ægyptiacæ di Sofronio di Gerusalemme, può essere letta in vari modi. Io preferisco partire non dalla sua storia di peccatrice notoria – quella di una donna senza freni nella lussuria – ma direttamente dalla sua rinascita.

Ancora giovane, Maria Egiziaca, donna di facili costumi per scelta, arriva a Gerusalemme, per nulla interessata alla rilevanza spirituale del luogo. Un giorno, però, in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, spinta da una curiosità in cui si intravede in filigrana un richiamo superiore, si affretta verso la Chiesa del Santo Sepolcro e prova ad entrare insieme ai pellegrini. Per tutti l’ingresso è realtà. Non per lei: una forza misteriosa le nega l’accesso alla sacra soglia. Dopo momenti di comprensibile smarrimento, Maria Egiziaca “legge” quell’enigmatico avvenimento attraverso un’intuizione interiore. Comprende che non può entrare perché la sua vita di peccato l’ha resa impura per il luogo sacro. Piange, si batte il petto, si lamenta, e il suo sguardo è catturato da un’icona della Madre di Dio, posta in alto.

Jacopo Tintoretto, Santa Maria Egiziaca

La Tutta Bella e il Sono qui

La bellezza delle icone è indiscutibilmente legata alla loro capacità di aprire un varco tra due realtà distanti, eppure in relazione, quali l’umanità e la divinità. La Divina Bellezza è contemplabile, in modo mirabile, in Maria, la Tutta Bella. È la donna in cui la Grazia, preservandola dal peccato originale, si è resa visibile, schermata dal vetro di pura trasparenza che questa creatura umana è stata con il proprio fiat. Di fronte all’icona, Maria Egiziaca avverte tutta la propria miseria e lo sgomento diventa – secondo la narrazione – un’accorata preghiera in cui ella chiede alla Vergine Madre il dono di entrare a contemplare nella chiesa il Sacro legno al quale era stato appeso il Figlio; domanda anche di esserle “degnissima” testimone del fatto che mai più avrebbe macchiato la sua carne con atti lussuriosi, promettendo inoltre che sarebbe andata dovunque la Vergine avesse voluto. La preghiera è un elemento presente nella dinamica delle conversioni che, spesso, hanno inizio proprio con la necessità di pregare, suscitata dalla Grazia come suo primo intervento; spesso, questo colloquio con il Cielo inizia proprio da una supplica a Maria, che è percepita come straordinariamente idonea a venire incontro alla persona che cerca di redimersi1Cf. G. Barra, Psicologia dei convertiti, Roma 1959, 225-228.. In Maria, chiamata in soccorso dal peccatore, è Dio stesso l’oggetto del desiderio umano (come risposta al desiderio di Dio), che viene ricercato attraverso una mediazione che sembra più familiare. E Dio interviene. Come ha spiegato ottimamente mons. Sanna, la traduzione del nome di YHWH,  che traduciamo con “Io sono”, in realtà, esprime più significativamente un “Sono qui”, con la sottolineatura non tanto dell’essenza quanto della relazione che Dio instaura con il suo popolo, in modo che la sua ontologia finisce per identificarsi con la stessa economia di salvezza2Cf. I. Sanna, L’antropologia cristiana, cit., 440.. Il Dio che è relazione persino quando sceglie di nascondersi e di farsi silenzio (egli è e rimane anche il Deus Absconditus di Is 45,15) non perde mai di vista l’oggetto del Suo amore. L’orazione fervorosa di Maria Egiziaca viene esaudita ed essa può entrare nella Basilica e fermarsi a lungo in preghiera davanti al simbolo della redenzione, la reliquia della Croce.

Uno sguardo nuovo

Cosa è accaduto all’animo di Maria Egiziaca nel momento della sua conversione? Nelle conversioni il “vedere” sembra fondamentale. In un racconto poeticizzato della vita di Maria Egiziaca ella stessa parla di questa sensazione con cui lo sguardo, adesso diverso, non più opacizzato dall’alone oscuro del peccato, osserva la realtà con un inatteso stupore:

Quando […] uscii sulla piazza, mi parve che tutto fosse nuovo, meravigliosamente mai visto. Neppure il colore del cielo sembrava più lo stesso, né il volto della gente. Mi ricordai allora di un giorno in cui, dopo una pioggia torrenziale, mi guardai intorno e vidi che tutto era pulito.

L. Manetti – S. Zuffì (curr.), Leggende cristiane, cit., 359

Andando oltre il ricamo poetico di questo racconto misto a leggenda, possiamo leggere dalla viva voce di Frossard come si caratterizza questa novità di sguardo. Dopo l’esperienza straordinaria di conversione, egli scrive:

Fuori faceva sempre bello; avevo cinque anni, e quel mondo fatto in precedenza di pietra e di catrame era un gran giardino dove mi sarebbe stato permesso di giocare per tutto il tempo che sarebbe piaciuto al cielo […] Dio esisteva, ed era presente, rivelato e mascherato da quella delegazione di luce che senza discorsi né figure dava tutto alla comprensione e all’amore […]. Il miracolo durò un mese. Ogni mattino, ritrovavo affascinato quella luce che faceva impallidire il giorno, quella dolcezza che non dimenticherò mai, e che è tutta la mia sapienza teologica.

A. Frossard., Dio esiste, cit., 147-148

È soprattutto nel Vangelo di Giovanni che il verbo “vedere” acquista quattro significati in rapporto all’esperienza di Dio che le persone fanno con e attraverso Gesù di Nazaret: dal semplice vedere (βλέπω), di chi non sa scorgere in lui nient’altro che un uomo qualunque, al guardare con attenzione (ϑεωρέω); dal vedere attraverso la fede che diventa comprensione del mistero in Gesù (ὁράω) al contemplare questo mistero (ϑεάομαι)3Cf. V. Pasquetto, Il lessico antropologico del vangelo e delle lettere di Giovanni, in B. Moriconi (cur.) Antropologia Cristiana, cit., 251-252.: c’è dunque un cammino di fede che qualsiasi persona può compiere “attraverso lo sguardo”, anche se può accaderle di fermarsi ad una delle prime due soglie senza proseguire. La figura della peccatrice redenta ha percorso integralmente questa strada del “vedere”, passo dopo passo, rimanendo “occhi negli occhi” con Dio (un’espressione certamente impropria, se intesa in senso fisico, ma non dal punto di vista simbolico-mistico) fino alla fine della propria esistenza terrena. Maria la vedente.

Note

Note
1 Cf. G. Barra, Psicologia dei convertiti, Roma 1959, 225-228.
2 Cf. I. Sanna, L’antropologia cristiana, cit., 440.
3 Cf. V. Pasquetto, Il lessico antropologico del vangelo e delle lettere di Giovanni, in B. Moriconi (cur.) Antropologia Cristiana, cit., 251-252.

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