Lettera a “Marta”, carissima sorella

di Susanna

Leggendo la tua testimonianza, Marta, ho pianto così forte da dovermi nascondere in bagno perché non avrei saputo come giustificare quel mare di lacrime ai miei figli e perché mai avrei potuto confidare loro quanto ti sento vicina.

Non avevo mai conosciuto prima d’ora qualcuno innamorato come me di quel capitolo di Ezechiele, all’apparenza così sporco, impudico, colmo di aggettivi ed azioni che ti verrebbe solo da scavare una fossa e nascondertici dentro e magari ricoprirla con una bella badilata di terra, pur di non farti vedere mai più sulla faccia della terra. Ed è vero, all’apparenza la sostanza di quella lettura è proprio questa: vergogna. Una lettera scarlatta cucita sul petto. Ma noi sappiamo cosa si cela dietro quelle parole, vero Marta?

Non posso paragonare la mia sofferenza alla tua, carissima sorella. Il mio cammino è stato rovinoso, ma Dio mi ha preservato dal tracollo. E questo è un mistero che i nostri occhi riusciranno a comprendere forse solo quando vedranno Dio faccia a faccia. Solo Lui ci potrà rivelare questa “umana ingiustizia” che qui noi goffamente chiamiamo grazia o croce.

Ma il tuo racconto si è fatto, comunque, carne in me. Le tue parole mi hanno trafitto da parte a parte tirando fuori ancora per una volta il tempo della mia morte e il tempo della mia rinascita. E di questo ti vorrei ringraziare perché scordarsi delle grazie ricevute è proprio di chi dimentica si di suo Padre e fa di sé stesso un dio.

Grazie per avermelo ricordato.

Oggi ho quattro figli e un marito che amo alla follia. Ma so in coscienza e per certo, che potrei non essere qui a raccontartelo. So che se non avessi toccato il fondo e lì incontrato l’amore illimitato e incondizionato di Dio, oggi non sarei qui.

Hai detto bene quando dicevi che ci si dà via nella ricerca di essere amati. Perché infondo è solo quello che cerchiamo. Siamo brocche vuote desiderose di essere riempite. Il problema è con cosa? e da chi?

Le nostre storie sono diverse ma hanno sostanzialmente uno stesso inizio, lo stesso obiettivo e la stessa fine.

L’inizio è la sete di amore; l’obiettivo è l’autodistruzione, e la fine è l’incontro inaspettato con lo Sposo. Io ho iniziato proprio così, in cerca di conferme, come al punto uno: la sete di essere amata. Tredici anni. Ultima di una carrellata di figli. Bisognosa di continue attenzioni. Mi sono imbarcata in una relazione con un ragazzo molto più grande di me che mi faceva da padre (padrone) più che da fidanzato. Non sto qui a raccontarti cosa è accaduto in quei due anni di inferno, ma che non ne sono uscita perché credevo di stare nel posto che mi meritavo, questo te lo posso dire, Marta. Meritavo quel supplizio. Dopo un anno di violenze psichiche e fisiche, è continuato il mio viaggio come annunciato al punto due: la mia lenta auto distruzione.

il-grillo-parlante-in-una-divertente-scena-del-film-d-animazione-pinocchio-1940-143043Ho vissuto nella doppiezza per un tempo. Poi il mio grillo parlante è stato silenziato. Schiacciato. Il peccato non era più peccato. La mia carne ha soffocato l’anima e ho vagato come un automa in cerca del primo uomo a cui svendermi. E ne ho trovati. Tanti. Uomini vuoti, che feriti ferivano.

Ero di tutti e di nessuno. Che dolore. Solo dopo lo senti. Prima il nulla, come sotto anestesia. Poi cominci a sentire come un bisturi che ti apre il costato. Ti domandi se davvero eri tu o se era quella ragazza che ogni tanto vedevi da dietro, dall’alto, quasi fossi impazzita. E lo eri. Una borderline sul ciglio di un burrone.

Mi punivo senza accorgermene. E poi la droga e l’alcool perché il grillo ogni tanto tentava di risvegliarsi. E non potevo permettermi di ascoltarlo. E allora ti sballi, ti ubriachi fino a non ricordarti come ci sei tornata a casa quella notte. Ti lacera dentro l’amnesia di non sapere cosa hai fatto, cosa potresti essere arrivata a fare. Allora ti alieni ancora e ancora. Per forza. Altrimenti muori.

La mia vita per anni è stata un lento e costante logorio. Ho smesso di fare la conta degli uomini che si sono portati via la parte più intima di me, quella più mia, quella che dovrebbe spettare di diritto solo all’uomo che amerai e a cui sarai fedele per il resto della tua vita. E so che in questo, ancor prima di incontrarlo, ho dato a mio marito un carico di dolore da portare; un carico che doveva essere solo mio. L’ho coinvolto, involontariamente, nel mio peccato, lasciandogliene sulla sua pelle le conseguenze.

Intanto stava arrivando il tempo dell’incontro con il mio Sposo, ma io ancora non lo sapevo. Volevo, invece, che mi fosse «appesa al collo una macina da mulino e fossi gettata nel profondo del mare» (Mt 18,6). Non so dire ciò che provavo perché il grillo era stato messo definitivamente a tacere. Ma sentivo un vuoto che mi soffocava. Il peccato, che io non riconoscevo più, si era trasformato in accusa. Una sentenza di morte. La mia vita non aveva più sbocchi. Il mio destino era scritto. Non meritavo nient’altro che quello che mi stava accadendo. L’inferno, qui. Ora.

Allora non restava che farla finita. Per due mesi ho organizzato la mia morte. Le pasticche. Avevo deciso. Mi sarei dolcemente addormentata e chi s’è visto s’è visto. Sarebbe finito il tempo di vendermi per un po di affetto. Sarebbe finito il tempo di alienarmi. Sarebbe finito il tempo.

Poi all’improvviso lo Sposo. Dici bene Marta, basta un piccolo spiraglio lasciato aperto anche solo per sbaglio, per stanchezza, per distrazione

e lamato mio
ha introdotto la mano
nella fessura
e le mie viscere
fremettero per lui.

(Cantico dei Cantici 5,4)

ed ho iniziato a sentire un sussurro. Non era il grillo che si era svegliato, era mio Padre che mi cercava come un folle innamorato. E il sussurro si è fatto parola e voce e grido:

…Passai vicino a te e ti vidi;
ecco, la tua età era l’età dell’amore;
io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia…
Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori ad ogni passante.
Fra tutte le tue nefandezze e infedeltà non ti ricordasti del tempo della tua giovinezza, quando eri nuda e ti dibattevi nel sangue!

In ogni piazza ti sei fabbricata un tempietto e costruita una altura; ad ogni crocicchio ti sei fatta un altare, disonorando la tua bellezza, offrendo il tuo corpo a ogni passante, moltiplicando le tue prostituzioni.
Hai concesso i tuoi favori ai figli d’Egitto, tuoi corpulenti vicini, e hai moltiplicato le tue infedeltà per irritarmi… Come è stato abbietto il tuo cuore – dice il Signore Dio – facendo tutte queste azioni degne di una spudorata sgualdrina!

Ad ogni prostituta si dà un compenso, ma tu hai dato il compenso a tutti i tuoi amanti e hai distribuito loro doni perché da ogni parte venissero da te per le tue prostituzioni. Tu hai fatto il contrario delle altre donne, quando ti prostituivi: nessuno è corso dietro a te, mentre tu hai distribuito doni e non ne hai ricevuti, tanto eri pervertita

ma io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna. Allora ti ricorderai della tua condotta e ne sarai confusa… io ratificherò la mia alleanza con te e tu saprai che io sono il Signore, perché te ne ricordi e ti vergogni e, nella tua confusione, tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato quello che hai fatto. Parola del Signore Dio

Io ti amo! Ti amo nella tua prostituzione. Ti amo nella tua disperazione. Ti amo nel tuo scellerato desiderio di sparire, di annientarti. Ti amo. E scendo lì giù fino nel fondo delle tue paludi e ti raccolgo.

Io sono figlia di Re. Come te, Marta, carissima sorella.

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