La meta è il viaggio, si dice (ma guai a ritrovarsi senza gps!)

Quante volte ci siamo sentiti dire che “il viaggio è la meta”! Non serve avere una destinazione precisa, anzi questo è negativo perché è nell’errare, nel vagare, nel perderci e nel perdersi che risiede la più autentica cifra dell’umano.

Così abbiamo preferito, romanticamente, il viandante al pellegrino, Ulisse ad Abramo, l’eroe del periglioso ritorno a quello dell’esodo. Da qualche tempo una domanda si fa spazio in me: e se così non fosse? Naturalmente non contesto che nel vagare nel perlustrare (privi di navigatore) un percorso non vi sia un fascino segreto; dubito però che l’assenza di mete ed obiettivi definiti eretta a programma di vita sia un valore assoluto per l’uomo.

Mi pare infatti che, senza obiettivi, si resti in balia di un io capriccioso e monadico, attorno a cui tutto il mondo è chiamato a ruotare. Perché in natura le mete esistono: lo stesso nostro pellegrinaggio terreno ha una meta, quella nuova nascita al cielo in cui, diciamocelo, non crediamo più. Ed allora, se la meta ultima viene obliata, anche il viaggio, ogni viaggio, può divenire esso stesso meta.

Recuperiamo il pellegrino: figura antica appoggiata al suo bastone con un bagaglio ridotto all’essenziale di una bisaccia. Egli sa in teoria dove andare, ma ignora come farlo. Il fascino del viandante, la curiosità del viaggiatore, non gli sono ignote. Questo accade soprattutto perché egli sa che, anche se non si muove dal suo villaggio, la sua intera vita è un pellegrinare. Un errare nei labirinti della propria anima, uno scandagliare le stanze della memoria e dell’attesa, un nutrirsi di speranza e di vigile pazienza.

Già: l’attesa! questa sconosciuta nell’era del imperialismo della notifica istantanea! Neppure il Natale e la Pasqua sono lungamente attesi. Sí, perché ai misteri grandi una notifica baluginante non basta. Il Dio che si fa Uomo e che muore in croce richiede lo spazio dell’attesa, l’umile ma determinata fatica del pellegrino. Noi, contraddittoriamente, in teoria amiamo perderci; poi però se il navigatore (ultima estrema sicurezza dell’uomo tecnologico) non funziona… andiamo nel panico.

Eppure ripetiamo – perché ci piace tanto – che il viaggio è la meta. Forse ci stiamo perdendo qualcosa di importante, e più della cosa stessa ci manca radicalmente la consapevolezza di perderla.

Informazioni su Alessio Conti 75 articoli
Nato a Frascati nel 1974, Alessio Conti è attualmente docente di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico statale Bruno Touschek di Grottaferrata. Dottore di ricerca in discipline storico filosofiche, ha pubblicato con l'editrice Taυ due libri (Fiat lux. Piccolo trattato di teologia della luce [2019], e Storia della mia vista [2020]). Già docente di religione cattolica per la Diocesi di Roma, è attivo nel mondo ecclesiale all'interno dell'Azione Cattolica Italiana di cui è responsabile parrocchiale del gruppo adulti. Persona non vedente dalla nascita, vive la sua condizione filtrandola grazie a due lenti, quella dello studio, e quella di un'ironia garbata e mordace, che lo porta a vivere, e a far vivere, eventi e situazioni in modo originale.

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