
Quei due piatti di una bilancia che, in molte raffigurazioni, rappresentano la giustizia, ne colgono con l’immediatezza propria dell’arte alcuni aspetti salienti. Una raffigurazione questa che, non casualmente, sorge in Grecia tanto da riassumere, per molti rispetti la mentalità stessa dell’uomo ellenico.
La giustizia sussume in se tutte le virtù, almeno quelle etiche, sia nella sistemazione aristotelica, sia, forse ancor più, nelle raffinate analisi delle scuole ellenistiche. Dialetticamente possiamo scorgere questo basilare principio nella punizione che è riservata ai tracotanti, a coloro che oltrepassano quella misura, quel limite che è cifra della stessa umanità.
Fin dalle remote plaghe del mito questa ancestrale verità si esprime in mille figure che non è qui il caso di rievocare. In ambito filosofico Aristotele che ha sistematizzato storicizzandola, la sapienza dell’Ellade , parlando della virtù etica della giustizia scrive:
Nella giustizia ogni virtù si raccoglie in una sola, ed è una virtù perfetta al più alto grado perché chi la possiede è in grado di usare la virtù anche verso gli altri e non solo verso se stesso.
«Incomparabilmente più splendente sia della stella della sera che di quella del mattino», e quindi più lucente di tutti gli astri racchiusi in questo spettro ermeneutico, la giustizia ha per lo Stagirita anche un senso particolare che consiste nel dare a ciascuno il suo. Da questo punto di vista tale virtù si connette proprio con quel limite di cui si diceva: l’uomo è essere mortale e finito, poco vale la sua sapienza, specie se calibrata su quella del Dio saggio unico e sommo. Una sapienza quella umana e quindi filosofica che, se per Platone si riassumeva nella misura, per Aristotele era soprattutto equilibrio.
Le filosofie ellenistiche che assisteranno al drammatico crollo di quel sistema delle città stato coincidente per gli attici con la civiltà stessa, imprimeranno a tali concetti una curvatura eminentemente pratica, ma qui la riflessione è più generale: virtuoso e quindi giusto è colui che soppesa, valuta, non tanto i singoli atti compiuti da ogni uomo, ma quelli che Aristotele chiamava abiti, cioè i tratti stabili perché ricorrenti di una personalità. Chi guida un veicolo, solo per fare un esempio attuale, deve naturalmente rispettare il codice della strada che gli impone non di andare in assoluto piano o forte, indipendentemente dalle condizioni date, ma di adattare la sua guida proprio a queste condizioni. Non è quindi virtuoso chi va sempre e comunque piano perché, se io sto portando un ferito in ospedale, debbo bilanciare l’esigenza di arrivare presto con quella di arrivare a destinazione integro, per non causare al infortunato, a me ed ad altri automobilisti o pedoni, ulteriori danni. Una virtù non quindi statica, ma capace di modellare ogni azione secondo quella prudente saggezza pratica che rappresenta uno dei lasciti più fecondi dell’Ellade antica.
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