I poveri ci tengono (con Carlo Acutis) nella dottrina eucaristica sana

I santi e il mistero del corpo di Cristo

Sono rimasto colpito (non veramente sorpreso però) dal recentissimo battibecco su Carlo Acutis e sulla sua spiritualità eucaristica: visto che anche qualche amico è venuto a scambiare due parole con me1Mattia Lusetti mi diceva di trovare dannosi certi articoli in quanto «distorcono le parole di un ragazzino per poter polemizzare con degli adulti»; Paul Freeman che «una teologia, pur accademica, che non orchestra le molteplici presenze e sensibilità è un danno di grossolano elitarismo». Mi pare che entrambi questi onorevoli amici colgano punti importanti., e in considerazione dell’imminente celebrazione del Corpus Domini2A proposito, forse dopo decenni di questa prassi, si può provare a tracciare un consuntivo: quanto la pratica italiana di rimandare le celebrazioni alla domenica successiva al Corpus Domini (che, lo dico per chi non lo sapesse, cade nel giovedí dopo la Domenica della Santissima Trinità) contribuisce effettivamente a favorire la partecipazione del popolo di Dio? Non accade invece che “la domenica del Corpus Domini” (che in sé non esiste) diventa una domenica tra le altre?, mi azzardo anche io a scrivere due parole, col duplice proposito di non fomentare discordie e di non scrivere piú del necessario.

Anzitutto una confessione: ricordo nitidamente di avere avuto anche io (e anzi, ce l’ho ancora) una cartella sul mio computer intitolata “Miracoli eucaristici”. L’avevo redatta negli anni della mia adolescenza quando, dalla remota campagna aprutina in cui sorgeva (e tuttora sta) il mio “paterno ostello”, il modem a 56kbps mi permetteva di esplorare questo argomento verso cui mi sentivo attratto. Avevo cominciato approfondendo la storia e le opinioni riguardo al Miracolo Eucaristico di Lanciano (santuario nei paraggi, dove era prassi accompagnare le classi di catechismo che si preparavano alla prima comunione), a quello di Bolsena e a quanti altri potei trovarne, piú o meno antichi, piú o meno autenticati dall’autorità ecclesiastica.

Uno dei ricordi che piú mi bruciano, a riguardo, viene non a caso dalla scarsità di discernimento di cui devo riconoscermi “colpevole”: tanto e tale era il desiderio di riempirmi di quel tipo di informazioni che prestavo un’attenzione solo marginale alle contraffazioni piú o meno estese che sussistevano in materia, e delle quali tanti altri erano già vittime (piú o meno colpevoli, come me).

Per esempio, nella mia cartella conservo ancora le foto e i testi inerenti i presunti “miracoli eucaristici” legati a Claudio Gatti, sacerdote romano e sedicente “vescovo consacrato da Gesú” (aberrazione che già pochi anni piú tardi mi avrebbe fatto saltare sulla sedia e sarebbe bastata a farmi «turare gli orecchi / per non udire fatti di sangue»): a oggi è difficile trovarne notizie in rete, ogni tanto mi sono chiesto come sia andata a finire la sua vicenda (e quella del movimento ecclesiale da lui diretto sotto il nome di “Maria, Madre dell’Eucaristia”).

Eppure in quell’acqua sporca (parlo di me e della mia esperienza, non di quella di Carlo Acutis – che pure aveva 7 anni meno di me e, da plusdotato qual era, doveva darsi alle medesime ricerche in quegli stessi anni) galleggiava un bambino sano e vispo, che certamente aveva bisogno di crescere e di dismettere alcuni aspetti transitorî e caduchi della sua costituzione. Si trattava del mio (ancora infantile) “stupore eucaristico”, che pochi anni piú tardi riconobbi con gioia nell’ultima enciclica di Giovanni Paolo II. Lí avrei letto:

5. « Mysterium fidei! – Mistero della fede! ». Quando il sacerdote pronuncia o canta queste parole, i presenti acclamano: « Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta ». 

In queste o simili parole la Chiesa, mentre addita il Cristo nel mistero della sua Passione, rivela anche il suo proprio mistero:Ecclesia de Eucharistia. Se con il dono dello Spirito Santo a Pentecoste la Chiesa viene alla luce e si incammina per le strade del mondo, un momento decisivo della sua formazione è certamente l’istituzione dell’Eucaristia nel Cenacolo. Il suo fondamento e la sua scaturigine è l’intero Triduum paschale, ma questo è come raccolto, anticipato, e « concentrato » per sempre nel dono eucaristico. In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l’attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso istituiva una misteriosa « contemporaneità » tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli. 

Questo pensiero ci porta a sentimenti di grande e grato stupore. C’è, nell’evento pasquale e nell’Eucaristia che lo attualizza nei secoli, una « capienza » davvero enorme, nella quale l’intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione. Questo stupore deve invadere sempre la Chiesa raccolta nella Celebrazione eucaristica. Ma in modo speciale deve accompagnare il ministro dell’Eucaristia. Infatti è lui, grazie alla facoltà datagli nel sacramento dell’Ordinazione sacerdotale, a compiere la consacrazione. È lui a pronunciare, con la potestà che gli viene dal Cristo del Cenacolo: « Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi… Questo è il calice del mio sangue, versato per voi… ». Il sacerdote pronuncia queste parole o piuttosto mette la sua bocca e la sua voce a disposizione di Colui che le pronunciò nel Cenacolo, e volle che venissero ripetute di generazione in generazione da tutti coloro che nella Chiesa partecipano ministerialmente al suo sacerdozio. 

6. Questo « stupore » eucaristico desidero ridestare con la presente Lettera enciclica, in continuità con l’eredità giubilare, che ho voluto consegnare alla Chiesa con la Lettera apostolica Novo millennio ineunte e con il suo coronamento mariano Rosarium Virginis Mariae. Contemplare il volto di Cristo, e contemplarlo con Maria, è il « programma » che ho additato alla Chiesa all’alba del terzo millennio, invitandola a prendere il largo nel mare della storia con l’entusiasmo della nuova evangelizzazione. Contemplare Cristo implica saperlo riconoscere dovunque Egli si manifesti, nelle sue molteplici presenze, ma soprattutto nel Sacramento vivo del suo corpo e del suo sangue. La Chiesa vive del Cristo eucaristico, da Lui è nutrita, da Lui è illuminata. 

Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 5-6 passim

Certamente, tale stupore non può e non deve fermarsi alla sola “presenza reale”, della quale infatti lo stesso papa polacco scriveva, ricalcando il magistero montiniano:

La ripresentazione sacramentale nella Santa Messa del sacrificio di Cristo coronato dalla sua risurrezione implica una specialissima presenza che – per riprendere le parole di Paolo VI – « si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente ».22 È riproposta così la sempre valida dottrina del Concilio di Trento: « Con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione ».23 Davvero l’Eucaristia è mysterium fidei, mistero che sovrasta i nostri pensieri, e può essere accolto solo nella fede, come spesso ricordano le catechesi patristiche su questo divin Sacramento. « Non vedere – esorta san Cirillo di Gerusalemme – nel pane e nel vino dei semplici e naturali elementi, perché il Signore ha detto espressamente che sono il suo corpo e il suo sangue: la fede te lo assicura, benché i sensi ti suggeriscano altro ».24 

« Adoro te devote, latens Deitas », continueremo a cantare con il Dottore Angelico. Di fronte a questo mistero di amore, la ragione umana sperimenta tutta la sua finitezza. Si comprende come, lungo i secoli, questa verità abbia stimolato la teologia ad ardui sforzi di comprensione. 

Ivi 15

E non sarà vano ricordare che il futuro Giovanni Paolo II, a quattro anni dall’elezione alla prima sedes, scelse parole da questo medesimo inno del Dottore Angelico – scritte dall’Aquinate (pie fertur) appositamente per l’ufficio della nuova solennità resa universale da Urbano IV nel 1264: nel novembre del 1974, infatti, l’arcivescovo di Cracovia si recò in pellegrinaggio a Lanciano e cosí scrisse nel “libro d’oro” – «facci credere in te sempre di piú, sperare in te, amare te».

Qualcuno bisticcia raccontando che quel giorno avrebbe chiesto un inginocchiatoio, cosa che avrebbe fatto storcere il naso a qualche baccelliere presente: in punta di dottrina, infatti – lo chiarisco a beneficio di chi non sia addentro alla tessaratricotomia –, il credente è tenuto ad adorare la presenza di Cristo nel mistero eucaristico fintanto che permangono intatte le specie del pane e del vino. In un caso come quello di Lanciano, dunque, dove (a differenza di casi come quello di Bolsena) nulla sarebbe rimasto del pane e del vino, il credente sarebbe (paradossalmente) non tenuto a credere che lí sia presente Cristo. E sta bene, perché (come è stato correttamente ricordato) i miracoli possono aiutare la fede – ed è per questo che sono dati – ma non per questo essi stessi sono contenuto di fede. Certo che, se in ossequio a questo principio si volesse esigere che il credente si senta obbligato a non credere ai miracoli si sarebbe di fronte a un paradosso ben strano, il cui fondo teoretico tuttavia è abbastanza chiaro e lineare: c’è sempre stato (specialmente negli ultimi secoli) chi ha preteso che la ragione umana escluda categoricamente il soprannaturale in quanto tale, e questo è un grave errore sia della fede sia della ragione3Il quale non a caso fu denunciato da quello stesso Pio IX che volle dedicare una delle Costituzioni del Concilio Vaticano I a ricordare le forti capacità di cui il Creatore volle dotata la ragione umana..

Durante gli studî filosofici e teologici, poi, capii meglio i rischi di un’attenzione che, resa morbosa dall’esclusività, si concentrasse su questi miracoli senza orientarli al “vero grande miracolo dell’Eucaristia” (espressione felice e giusta, che però non dovrebbe essere usata in via antitetica ai miracoli eucaristici): il “miracolismo” è una degenerazione sempre possibile del senso religioso, sulla quale è giusto e doveroso che non solo i pastori, ma anche i teologi vigilino – nella debita distinzione dei rispettivi carismi ecclesiali.

Ora, però – e finalmente – a me sembra che la devozione eucaristica di Carlo Acutis (ancorché tinta delle nuances tipiche dell’età adolescenziale, ancora ricca di tensioni immaginifiche e di tendenze magiche) sia ben lungi dall’indulgere al miracolismo, comprensiva com’è di un’ardente e devota attenzione ai poveri4La quale accomuna Carlo Acutis a Pier Giorgio Frassati, e tanto basterebbe a spiegare perché i due giovani vengano canonizzati insieme.: Francesco d’Assisi aveva una dottrina eucaristica che sconfinava nettamente, di tanto in tanto, nel fisicismo, eppure quell’ardore con cui il Poverello adorava Cristo nel pane consacrato era lo stesso con cui baciava i lebbrosi – si sbaglierebbe se si dicesse che Francesco «non fu canonizzato per il suo fisicismo ma nonostante esso», perché Francesco fu canonizzato per la sua santità, e quella santità si rifletteva in frutti di dottrina e di opere strettamente imparentati, e che pur essendo qua e là “sopra le righe” (a nessuno la retta dottrina insegna il fisicismo, come a nessuno raccomanda di baciare lebbrosi per strada) essi furono un dirompente segno dell’azione dello Spirito.

Questo segno mi pare che adorasse Carlo, questo Pier Giorgio, questo Giovanni Paolo, questo Tommaso e questo Francesco: “segno di contraddizione”, certo, ma non di gratuito conflitto ecclesiale. C’è una “stoltezza della croce” che dev’essere sempre conservata, anche (e soprattutto) all’interno di un discorso teologico dal respiro veramente ecclesiale. Diversamente, ci sarebbe sempre in agguato il rischio cui accennava Paul Freeman, cioè quello di un “elitarismo intellettualistico” – a ben vedere uguale e contrario al “pensiero magico” del “miracolismo”. Questo si vanta della sua “popolarità”, quello della sua “spiritualità”; questo viene apprezzato dai pastori (o sedicenti/deputati tali) per la sua vasta accessibilità, quello solletica i teologi (o sedicenti/aspiranti tali) per la sua rarefatta astrattezza – ma in soccorso a queste debolezze morali e intellettuali, uguali e contrarie, viene proprio (per disposizione della Provvidenza) la miseria della condizione umana.

Chiudersi davanti a un computer a cercare miracoli (Paolo direbbe “come Giudei”) o bearsi della propria eco in un’aula accademica (“come Greci”, stigmatizzerebbe l’Apostolo) sarebbe sempre e comunque distrarsi dalla carne di Cristo – la quale non si trova di per sé nelle eccezionali sospensioni delle leggi di natura (e delle forme sacramentali ordinarie) né in riferimenti al “popolo di Dio” che possono diventare vaghe formule ed essere poco piú di un flatus vocis. I poveri, invece, poveri di tutte le crocifiggenti povertà della nostra umanità (economiche, sociali, relazionali, di salute fisica, mentale e spirituale)… solo quelli ci tengono ancorati alla Carne di Cristo, con quello stesso realismo che tenne sospeso il Crocifisso alla Croce – e tale è il mysterium che viene reso sempre di nuovo presente in ogni (e in tutta la) celebrazione eucaristica. Mi pare che sia Carlo Acutis sia Pier Giorgio Frassati possano mostrarci quella genuina dottrina cristiana che a suo tempo Giovanni Crisostomo immortalò con la sua indimenticabile eloquenza:

Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt 25, 42), e: Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l’avete fatto neppure a me (cfr. Mt 25, 45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.

Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli quell’onore che egli ha comandato, fa’ che i poveri beneficino delle tue ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro.

Con questo non intendo certo proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire, con questi e prima di questi, l’elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri.

Nel primo caso ne ricava vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là il dono potrebbe essere occasione di ostentazione; qui invece è elemosina e amore. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d’oro e non gli darai un bicchiere d’acqua? Che bisogno c’è di adornare con veli d’oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d’oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?

Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell’edificio sacro. Attacchi catene d’argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l’ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo secondo Matteo, L

Note

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1 Mattia Lusetti mi diceva di trovare dannosi certi articoli in quanto «distorcono le parole di un ragazzino per poter polemizzare con degli adulti»; Paul Freeman che «una teologia, pur accademica, che non orchestra le molteplici presenze e sensibilità è un danno di grossolano elitarismo». Mi pare che entrambi questi onorevoli amici colgano punti importanti.
2 A proposito, forse dopo decenni di questa prassi, si può provare a tracciare un consuntivo: quanto la pratica italiana di rimandare le celebrazioni alla domenica successiva al Corpus Domini (che, lo dico per chi non lo sapesse, cade nel giovedí dopo la Domenica della Santissima Trinità) contribuisce effettivamente a favorire la partecipazione del popolo di Dio? Non accade invece che “la domenica del Corpus Domini” (che in sé non esiste) diventa una domenica tra le altre?
3 Il quale non a caso fu denunciato da quello stesso Pio IX che volle dedicare una delle Costituzioni del Concilio Vaticano I a ricordare le forti capacità di cui il Creatore volle dotata la ragione umana.
4 La quale accomuna Carlo Acutis a Pier Giorgio Frassati, e tanto basterebbe a spiegare perché i due giovani vengano canonizzati insieme.
Informazioni su Giovanni Marcotullio 300 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

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