
Chi vive una disabilità in modo intellettualmente onesto sa che esistono limiti invalicabili: ci piace molto udire storie di persone che superano le difficoltà elaborando strategie raffinate e sofisticate. Dobbiamo ascoltarle e narrarle, queste storie, perché ci fanno bene. Ma con altrettanto realismo occorre dire che esiste una parte di limite non scalfibile.
Sì, perché se non lo facciamo, rischiamo di trasformare la persona con disabilità in una sorta di superuomo, al quale tributiamo, tanto non costa nulla, la nostra ammirazione. Parlare di questo limite significa affrontare la circostanza che tale condizione va semplicemente accettata: nulla può essere fatto, occorre rimanere nella consapevolezza di non poter svolgere quella operazione e, conseguentemente, avere l’umiltà necessaria per chiedere aiuto. Un’umiltà oggi taciuta, anche da chi di quell’aiuto avrebbe bisogno, perché la fragilità ci spaventa, ci inquieta, incarcerati come siamo all’impossibile chimera dell’uomo che si fa da solo. Mentre forse è vero proprio il contrario: ciascuno di noi è plasmato dalle relazioni e dalle sinergie che è capace di costruire attorno a sé.
Non è un caso che nel mondo biblico, povero non è tanto chi non possiede beni o denaro, ma colui che è o resta solo. Qualche giorno fa, da persona non vedente, volevo comprare una valigetta su una nota piattaforma on line: con il mio telefono Android questa risultava pienamente accessibile. Potevo cercare l’oggetto, osservarlo manifestando così al venditore il mio interesse, inviare una proposta di acquisto, leggere un’eventuale offerta del negozio. Un vero paradiso: la mia sintesi vocalizzava tutto. Mi sono acquattato in posizione virtualmente osservativa, attendendo un ribasso che è giunto, a pochi giorni dal limite temporale che la piattaforma impone alla giacenza degli oggetti. Ho formulato una proposta ulteriormente più economica gestendo il pagamento e l’acquisto.

Ho potuto compiere tutte queste operazioni grazie alle politiche della piattaforma alla quale va dato atto di aver fatto tutto il possibile. Eppure ho avuto necessità di essere aiutato: ecco il limite invalicabile, le foto da guardare. Sto comprando questa borsa: la mia sintesi recita immagine uno di sei. Ottimo: ma questa borsa usata è lisa? Appare in buono stato? Il prezzo è congruo? Domande cui per acquistare consapevolmente era necessario rispondere. Ma io, almeno da solo, non potevo farlo: e allora ho avuto la riprova di quanto le relazioni umane, sincere, profonde, siano la vera ricchezza di ogni persona, soprattutto di chi parte “svantaggiato”.
Avrei certo potuto comprare “alla cieca”, magari scambiando qualche messaggio con il venditore, rimandando poi l’oggetto indietro come reso, ma questa sarebbe stata un’ostinazione irragionevole, una sfida nel voler fare a tutti i costi ciò che non si può fare. Non sono così temerario: anzi, a dirla tutta, credo che anche nel mondo dei disabili si dovrebbe insistere maggiormente su questa parte di limite invalicabile, perché soprattutto in questo campo, il politicamente corretto miete vittime, vendendo l’illusione rassicurante che tutto si possa fare. Tanto che a volte, mi verrebbe voglia di gridare dai tetti che questo non è vero o, più esattamente, non è sempre vero.
Naturalmente non va escluso che, ovunque possibile, le barriere debbano essere abbattute, e che a qualunque livello, ci si debba spendere per un mondo più inclusivo e civile. Ma di questo mondo fa parte anche l’onestà intellettuale che mi impone di parlare del limite non aggirabile. Almeno per ora. E di soffermarmi sulle opportunità relazionali che questo limite dischiude.
Grazie Alessio, conoscerti e starti vicino è un’incredibile opportunità anche per chi non condivide il tuo limite così evidente, ma probabilmente ne cela tanti altri. Grazie a te e Giovanni per questo lavoro che svolgete e che consente riflessioni filosofiche anche a chi, come me, di filosofia ne conosce poca.