
Le vite degli autori non rappresentano ciò che il corridoio è in una casa; un ambiente utile solo ad accedere ad altre stanze. Sono, proseguendo nell’analogia, una sorta di portico, in cui sostare acclimatandosi al contesto personale, storico e culturale. Un contesto che, mentre in alcuni casi è uno sfondo da cui comunque non si può prescindere; in altri costituisce un nutrimento sostanziale del pensiero. Per questo i profili biografici non solo non vanno saltati, ma è opportuno indugiare sui loro avvenimenti più rilevanti, tanto da riverberarsi nella riflessione dell’autore.
Non si tratta di aneddotica sterile, né di insulsa erudizione, ma della possibilità di comprendere che ciascuno è anche, certo non deterministicamente, influenzato dalla società in cui vive. Occorre, soprattutto, oltrepassare la retorica romantica del genio solitario che produrrebbe, indipendentemente dalle contingenze, la sua arte.
Per illustrare questa tesi, assai meno banale di quanto potrebbe sembrare vista l’illogica abitudine invalsa nella scuola di saltare senza discernimento tutte le biografie, gli esempi potrebbero moltiplicarsi: vorrei però prenderne due assai diversi ma, a loro modo, paradigmatici.
Marx non si limita a vivere con gli operai, osservandoli dall’alto con il severo sguardo dell’intellettuale che, a differenza di loro comprende come va il mondo, egli vive come gli operai: ne condivide le privazioni materiali, la difficoltà nel pagare l’affitto, la necessità – soprattutto nel suo periodo londinese – di abitare in stanze sempre più squallide. Tutto questo entra nel Capitale, che non rappresenta solo un’analisi della società alla luce dei criteri dettati dall’economia politica, ma la radiografia di un uomo povero e sfruttato.
Un uomo che non si limita a subire la sua condizione: egli cerca piuttosto di indagarne le cause, proponendo rimedi strutturali.
Volendo accompagnare lo studente, ma starei per scrivere l’uomo, in quell’affascinante dedalo che è la vicenda di Agostino di Ippona, lo storico della filosofia Giovanni Reale lo introduce a partire da alcuni incontri. Si tratta non solo di persone – la madre Monica, il Manicheo Fausto, il Vescovo Ambrogio – ma anche di testi – soprattutto di Cicerone e Plotino – che hanno plasmato la personalità del futuro Dottore della Chiesa.
Il Vescovo Manicheo che balbetta di fronte alle sue domande di senso, la madre che continua ostinatamente a credere e a sperare, il brillante figlio morto in età ancora giovane, non sono circostanze accidentali ed esornative, ma presenze feconde che sollecitano: il retore, il teologo, il pastore, in una parola Agostino.
Tanto nel caso di Marx quanto in quello del pensatore cristiano, questi fattori possono certo essere dilatati. Ci si potrebbe interrogare non infruttuosamente sulla condizione dei proletari durante la seconda rivoluzione industriale, o su quella dell’Africa romana tra il IV e il V secolo d.C.
Un’indagine utile certo per comprendere alcune circostanze, ma che non esaurirebbe la genialità di Marx ed Agostino che, muovendo da condizioni date, hanno creato i loro sistemi. Una genialità fatta al contempo di continuità e di iato: complesso ed ambiguo è il rapporto di Marx con Hegel, ambivalente appare anche la relazione tra Agostino ed il mondo latino in cui si realizzò per intero la sua formazione.
Entrambe le ambivalenze esulano certo da una mera biografia che per sua natura non può tenere conto di aspetti teoretici, ma anche queste non si comprendono prescindendo totalmente dal contesto che le ha viste sorgere.
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