
Qualora volessi cimentarmi in una partita a scacchi non sarei molto interessato al fatto che questo gioco, originariamente nato in Persia, si è poi diffuso in Europa, né al materiale dei singoli pezzi che possono essere in legno o in avorio. Valuterei queste come circostanze esterne che non influiscono sulla mia strategia. Ma, ove il numero delle pedine diminuisca per una modifica del regolamento, o i movimenti consentiti sulla scacchiera fossero mutati, queste due fattispecie cambierebbero significativamente il mio modo di giocare.
Insomma negli scacchi ciascun pezzo riceve il suo stesso significato dalla posizione che occupa e dai movimenti che gli sono permessi nel quadro di regole arbitrarie ma valide. Secondo il pensatore svizzero Saussurre qualcosa di analogo accade anche con la lingua che, proprio come il gioco degli scacchi, è un sistema. Diversa dal linguaggio in virtù della sua natura sociale, la lingua si inscrive in un orizzonte più complesso quello della semiotica – dal greco semeion cioè segno.
La semiotica studia appunto la vita dei segni presenti nei più svariati ambiti dell’agire umano: dalle forme di cortesia ai segnali che regolano la navigazione, dalla moda ai riti religiosi. Una vita che, già a questo livello, appare profondamente connessa con la socialità, pur senza esaurirsi in essa. Restringendo il campo all’analisi del segno linguistico, questo possiede alcune rilevanti peculiarità: tradizionalmente, a partire da Platone ed Agostino, lo si è considerato l’unione tra una parola e una cosa. Saussurre muta radicalmente questa prospettiva creando una linguistica sincronica che ha il suo fulcro nella comunità di parlanti. Questi ritrovano per così dire sedimentati nella lingua i prodotti della loro stessa evoluzione spirituale, tanto che proprio il modo di funzionare della lingua ci dice molto su quello della mente umana.
Ma questo, rileva Saussurre, è solo un aspetto del fenomeno linguistico: se, infatti, il segno non unisce più un nome e una cosa, ma un significante, cioè un concetto, e un’immagine acustica; la lingua appare simile ad un foglio di carta in cui abbiamo due facce. Il significante di natura auditiva perché riferito al mero suono con cui una certa comunità appella quel significato; e il significato, cioè il concetto denominato da quell’immagine acustica.
Il segno unisce arbitrariamente queste due facce del linguaggio: una concezione rivoluzionaria a patto che, naturalmente si comprenda limitandolo, il senso dell’avverbio arbitrariamente. Il legame tra concetto ed immagine acustica è arbitrario nel senso che non è naturale: infatti il concetto di sorella si lega, in lingue diverse a diversi termini. Non è invece arbitrario in senso relativistico, come se ogni singolo parlante potesse decidere il senso di ogni singolo lemma cosa che farebbe venire meno, oltre alla natura sociale della lingua, anche la finalità comunicativa.
Ma – ci si potrebbe domandare – se la lingua è una sorta di deposito in cui i segni vivono nel loro commercio sociale, in che modo questi accedono a tale magazzino? Secondo Saussurre, oltre a questa dimensione istituzionale della lingua, veicolata dalla scuola e dalla società, ne esiste una individuale definita parola: prima di sedimentarsi nel loro uso pubblico i segni sono parola, lemma individuale dei singoli parlanti.
La dicotomia tra lingua e parola è fondamentale nel filosofo ginevrino che rinviene la presenza di questo fenomeno sia nella possibilità di studiare le lingue morte, sia nella stessa afasia in cui chi ne è affetto, pur capendo quanto gli si dice, non riesce a parlare.
Concludendo il suo “Corso di linguistica generale” Saussurre ci consegna una suggestiva immagine, quella della lingua come di un “vascello nel mare” un vascello che fluttua tra le onde sospeso tra interno ed esterno, dimensione pubblica e aspetti privati, concetti significati ed immagini acustiche di cui ci si serve in modo arbitrario ma non relativistico. La lingua diviene così lo spazio di una libertà straordinaria in cui, salvaguardando le singole differenze percepibili nella sfera individuale della parola, una comunità di parlanti si riconosce. Una lingua vivente e viva, quindi capace di veicolare non solo fatti, ma anche sentimenti ed emozioni.
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