Miguel de Unamuno, tra Pascal e Kierkegård nella Spagna del ’900

Vivere in un’ancestrale sintonia con le profonde viscere della Spagna traversando alcuni tra i momenti più drammatici della sua storia. Miguel de Unamuno, il Pascal iberico, antepose la vita al pensiero e la tradizionale saggezza delle persone umili alla boria degli intellettuali che vorrebbero spiegare ogni meandro del reale con una ragione algida ed astratta.

Nel 1913, dopo essere stato nominato rettore della prestigiosa Università di Salamanca, il filosofo scrive la sua opera speculativamente più importante, “Del sentimento tragico della vita” che, fin dal suo titolo, rappresenta una critica, mordace ed amara, alle illusioni positivistiche e idealistiche che avevano dominato la seconda parte dell’ottocento.

Gli stessi motivi lo conducono a diffidare del tomismo e della scolastica, ma non certo del Cristianesimo che egli visse come lotta. Un duplice agonismo, tanto del fedele di Cristo nei confronti del mondo, quanto nei riguardi della sua stessa coscienza che appare scissa e dilaniata in una visione tragica dell’esistere. Imprigionato alle Canarie durante la dittatura di Primo De Rivera, riuscirà rocambolescamente ad evadere raggiungendo la Francia, dove vivrà in esilio in una località prospicente la costa Basca, fino al 1931 quando in Spagna fu proclamata la Repubblica ed il filosofo occupò nuovamente la sua cattedra. In questa fase Unamuno aderì al Socialismo, dal quale però prese le distanze proprio in nome della difesa delle persone umili, asseritamente difese da quel movimento.

Ma con le destre non andrà meglio: scelse il Franchismo all’inizio della guerra civile, 1936; ben presto, però, criticò anche i falangisti per il loro acceso nazionalismo, tanto da rinunciare all’insegnamento. Gli sembrava infatti paradossale che, proprio chi parlava della grandezza della nazione iberica, ignorasse le vite di tante persone sofferenti, inutilmente sacrificate ad astratti ideali.

Profetiche sono le parole che, indirizzate al Franchismo da un punto di vista liberale, possono fungere da critica ad ogni totalitarismo:

Vincerete, perché avete forza bruta in abbondanza, ma non convincerete. Per convincere bisogna persuadere e per persuadere avreste bisogno di qualcosa che vi manca, ragione e diritto nella lotta.

In un parallelismo sempre presente tra biografia e milizia poetica e speculativa, durante il soggiorno francese, Unamuno scrisse “L’agonia del cristianesimo”. È in questa opera che prende le mosse una riflessione su una visione anti intellettualistica dell’esistenza che si approfondirà in “L’essenza della Spagna”. In questo libro la stessa storia è attinta dall’ottica, tacita e silenziata, di una tradizione umana, ancor prima che spagnola:

I giornali non dicono niente della vita silenziosa di milioni di uomini senza storia, che ad ogni ora della giornata ed ovunque si levano all’ordine del sole e vanno nei loro campi per proseguire il loro compito oscuro e silenzioso, quotidiano ed eterno che getta le basi su cui si innalzano i flutti della storia.

Quasi prefigurando una critica all’odierno politicamente corretto, vera peste che ci attanaglia, il filosofo iberico prorompe in un grido, forse unilaterale, ma non certo privo di verità:

Maledetti i vantaggi di un progresso che ci obbliga a sfibrarci di affanno, di lavoro, di scienza.

Per lui l’ignoranza in cui il popolo vive è saggezza: un punto di vista ironico, simile a quello della sua seconda fonte di ispirazione, il pensatore danese Kierkegaard, che avrebbe forse accolto la salace espressione di Unamuno: il popolo è arretrato? Ebbene: “Lasciamo correre gli altri, anche essi, prima o poi si fermeranno”.

Tutto ciò che è vitale è irrazionale, mentre tutto ciò che è antivitale è razionale: Hegel è rimesso sì con i piedi per terra, ma in un senso opposto a quello auspicato da Marx. Irriducibile a materia, forza o spirito, la vita prorompe nelle angosce e nelle speranze di ogni uomo, nella stessa fede delle masse, anteposta alle prove dell’esistenza di Dio. Un esistenzialismo tragico, quello di Unamuno e per questo capace con Pascal di rammentarci sempre che l’ultimo passo della ragione è ammettere che un’infinità di cose la sorpassano.

Informazioni su Alessio Conti 41 articoli
Nato a Frascati nel 1974, Alessio Conti è attualmente docente di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico statale Bruno Touschek di Grottaferrata. Dottore di ricerca in discipline storico filosofiche, ha pubblicato con l'editrice Taυ due libri (Fiat lux. Piccolo trattato di teologia della luce [2019], e Storia della mia vista [2020]). Già docente di religione cattolica per la Diocesi di Roma, è attivo nel mondo ecclesiale all'interno dell'Azione Cattolica Italiana di cui è responsabile parrocchiale del gruppo adulti. Persona non vedente dalla nascita, vive la sua condizione filtrandola grazie a due lenti, quella dello studio, e quella di un'ironia garbata e mordace, che lo porta a vivere, e a far vivere, eventi e situazioni in modo originale.

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