Antivangelo di Marco Sambruna. Una lettura critica (ma sim-patica)

In questo senso il testo di Sambruna, in conclusione, coglie una domanda autentica. Come vivere da cristiano in un mondo che sembra muoversi secondo strutture di peccato? Come sopportare il peso di un’esistenza in continua lotta, senza smarrirsi e senza perdere la socialità, ecclesiale ed umana, necessaria a chiunque, non solo psicologicamente, ma pure teologicamente1Questa domanda ha, credo, qualcosa da insegnare anche all’area “progressista” della teologia e del Cristianesimo, che mentre richiama un rapporto positivo con il mondo e con le sue acquisizioni, oggi sempre più proclama un conflitto insanabile con parti larghissime della società elettorale, culturale ed ecclesiale. In questo modo riconoscendo che il mondo non è l’Arcadia di un idillio, a meno di considerare mondo “autentico” una suddivisione etica di esso – dividendo il mondo in giusti e “sbagliati” sulla base del fatto che la storia porta il segno della vittoria dei giusti. Segno che si avvicina pericolosamente al criterio della forza o dell’unanimità. Infatti il concetto del mondo e della storia è spesso etico: Obama (o Biden) sono il mondo con cui dialogare, Trump il nemico da abbattere in ogni modo lecito (più o meno). E tuttavia, se metà degli USA o dell’Italia sono sostenitori dei nostri “nemici”, il mondo – non l’aspettativa etica né l’utopia a venire – non è il mondo amico. Per cui, o la prima: si deve dialogare con Trump e Salvini perché anche loro sono “il mondo” e quindi realizzare quello che sembra l’impossibile, un dialogo senza cedimenti sull’essenziale (su cui bisogna tornare a dialogare, quindi). O la seconda: realizzare che una visione apocalittica della storia come lotta tra bene e male ha allora le sue ragioni e ha senso ammettere un conflitto tra il Cristianesimo e alcune tendenze storiche.? Simili domande non trovano risposta in questo testo, che d’altronde è dedicato a svolgere davanti alla mente del lettore il piano con cui il Cristianesimo viene diluito e volatilizzato mentre il mondo (in senso giovanneo) diventa più forte e determinato precisamente in senso anticristico. Proprio su quello che è sia il luogo teologico che il motore esistenziale di questo testo vorrei proporre alcune osservazioni critiche di più ampio respiro.

La visione secondo cui il cristiano e il mondo sono in una lotta mortale ha fondamenta profonde. Dal punto di vista dell’intelligenza della fede però è chiaro che la signoria all’interno della storia appartiene a Dio ed a Dio soltanto. La lotta tra l’Agnello e la Bestia, tra bene e male, non sfugge a questa signoria, come se il Dio trinitario fosse un agente in lotta contro un suo pari. Non si può certo negare, come pure la moda di oggi chiederebbe – nonostante la concorde catechesi al riguardo del precedente Papa, Benedetto XVI, e dell’attuale, Francesco – l’esistenza di un’intelligenza sovra-umana dedita a nullificare l’uomo chiamato in Cristo e il piano di Dio. Tuttavia niente deve far recedere nell’intelligenza teologica dal dato fondamentale di fede che Dio è l’unico e che non ha uguali. Quando si leggono i piani del nemico – per utilizzare questo piano metaforico – bisogna stare attenti a ricordare che nessun piano, nemmeno quello del Nemico, è mai l’ultimo piano. L’ultimo piano è del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, non soltanto nel senso dell’atto finale risolutivo, ma nel senso che il piano in atto è il loro.

Contrattacco

E ora veniamo al Cristianesimo! Oh certamente, se qualcuno si mette a difenderlo è segno che non ci ha mai creduto. Se invece crede, l’entusiasmo della fede è – non una difesa, ma anzi, è l’attacco, è la vittoria: un credente è un trionfatore.

S. Kierkegaard, La malattia mortale, SE Editrice, Milano 2008, p. 84.

La visione scoraggiante che percorre la conclusione di questo saggio, che lascia al credente come unica scelta eticamente adeguata una fede sofferta, descrivendo con minuzia di ambiente psicologico ed esistenziale l’azione ostativa ed escludente del male, sembra dimenticare precisamente la forma della fede cristiana. La forma della fede cristiana è la Croce, e in un saggio in cui si prende come riferimento la visione della storia come lotta escatologica sembra persino assurdo stupirsene. Non è per cinismo che ciò va detto, ma perché non ci si può stupire che la forma in cui si pone il rapporto del cristiano con il mondo sia, anche, di opposizione, fiera e feroce. Se questo stupore accade è perché, a mio parere, non si è mantenuto lo sguardo fermo sul centro a partire da cui ragiona ogni intelligenza della fede. Tale centro è Gesù di Nazaret e il Corpo totale di Cristo: il Verbo incarnato, il singolo credente, la sua Chiesa, la Scrittura e l’operare di Dio nella storia.

Non è un volo mistico. Quanto più sopra osservavo, cioé che Sambruna utilizza “religione” e “metafisica religiosa” come intercambiabili, mostra che il Cristianesimo è reso equivalente alla “metafisica religiosa” che, a inferire dai contesti, sembra equivalere ad un sistema di pensiero da cui deriva un sistema di valori, sia etico che sociale e politico. Da tale riduzione non può che scaturire una disperante situazione di impotenza nel momento in cui il proprio sistema di valori non solo non è condiviso dalla maggioranza, ma è da essa deriso e combattuto. Tuttavia il Cristianesimo è essenzialmente una Persona, Gesù Cristo, e rapporto con Lui – ed è Benedetto XVI e con lui Francesco a ripeterlo2«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus Caritas est, n. 1). «La fede che ha salvato Bartimeo non stava nelle sue idee chiare su Dio, ma nel cercarlo, nel volerlo incontrare. La fede è questione di incontro, non di teoria. Nell’incontro Gesù passa, nell’incontro palpita il cuore della Chiesa. Allora non le nostre prediche, ma la testimonianza della nostra vita sarà efficace» (Omelia alla Santa Messa per la conclusione della XV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi). Cito i due ultimi Pontefici che si sono succeduti (Francesco ancora regnante), ma è formulazione autentica, da parte di Pietro, della fede cristiana.. Ciò non ha per conseguenza il decadere della “dottrina” della fede cristiana, giacché il Corpo del Cristo è un’unità complessa che vivifica e tiene insieme pure quell’aspetto. Tuttavia essa non può fossilizzarsi in una metafisica religiosa, con la quale si dovrebbe intendere un sistema concettuale che attinga l’essere (metafisica), ma sanzionato per così dire dalla devozione degli uomini e fissato in quanto religioso. Tale “metafisica religiosa” non esiste. La metafisica, sulla cui importanza e cardinalità non ci si può mai sbagliare eccedendo, è il pensare stesso della ragione che può servire l’intelligenza della fede, ma che:

  • non può trovare nella Rivelazione la propria sanzione in quanto pensare della ragione;
  • non può sostituirsi alla Rivelazione con le proprie strutture.

Confondere gli approcci perde sia la metafisica, che diventa ideologia di una religione, che la teologia, che diventa deduzione impoverita a partire da alcuni fiochi principî.

Il Novecento è colmo di figure che, pur facendo propria l’idea di un conflitto insanabile tra la fede cristiana e il mondo in cui operavano, hanno contrattaccato non sulla base di qualche sistema di valori, ma a partire dalla fede che scaturiva dall’incontro con il Verbo incarnato: penso a Igino Giordani – a “Rivolta cattolica” del 1924 – e ai fratelli Schöll – della Rosa Bianca, alle lettere, ai diari e ai loro manifesti3Qualche indicazione: Igino Giordani, Rivolta cattolica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2016; Giulia Paola Di Nicola, Sophie Scholl. La forza della debolezza, Effatà Editrice, 2020; Hans e Sophie Schöll, Lettere e Diari, Itaca Edizioni, 2006.. Questo contrappunto non è un richiamo testimoniale, in quanto qui non è in giudizio la vita di nessuno, ma la forma del pensare in questo saggio. L’opposizione al mondo delle figure nominate si esprimeva in un pensiero capace di trovare le forme (nuove, ma antiche) in cui il mondo avrebbe potuto trovare una pace autentica, forme ispirate dal Vangelo. In particolare Giordani tiene insieme sia il cozzare dei principî etici cristiani con quelli del suo nemico – il fascismo in questo caso – sia la fonte abissale di questi principî e, proprio per questo, è capace di rilanciare il senso della lotta in una rete di relazioni storiche e personali. A dispetto delle personali sconfitte – il fascismo durerà un ventennio, il nazismo pochi anni, ma sufficienti a uccidere i fratelli Schöll – il loro pensiero è foriero, persino nella critica più aspra e polemica, di un avvenire non radioso, ma senz’altro fecondo.

Note

Note
1 Questa domanda ha, credo, qualcosa da insegnare anche all’area “progressista” della teologia e del Cristianesimo, che mentre richiama un rapporto positivo con il mondo e con le sue acquisizioni, oggi sempre più proclama un conflitto insanabile con parti larghissime della società elettorale, culturale ed ecclesiale. In questo modo riconoscendo che il mondo non è l’Arcadia di un idillio, a meno di considerare mondo “autentico” una suddivisione etica di esso – dividendo il mondo in giusti e “sbagliati” sulla base del fatto che la storia porta il segno della vittoria dei giusti. Segno che si avvicina pericolosamente al criterio della forza o dell’unanimità. Infatti il concetto del mondo e della storia è spesso etico: Obama (o Biden) sono il mondo con cui dialogare, Trump il nemico da abbattere in ogni modo lecito (più o meno). E tuttavia, se metà degli USA o dell’Italia sono sostenitori dei nostri “nemici”, il mondo – non l’aspettativa etica né l’utopia a venire – non è il mondo amico. Per cui, o la prima: si deve dialogare con Trump e Salvini perché anche loro sono “il mondo” e quindi realizzare quello che sembra l’impossibile, un dialogo senza cedimenti sull’essenziale (su cui bisogna tornare a dialogare, quindi). O la seconda: realizzare che una visione apocalittica della storia come lotta tra bene e male ha allora le sue ragioni e ha senso ammettere un conflitto tra il Cristianesimo e alcune tendenze storiche.
2 «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus Caritas est, n. 1). «La fede che ha salvato Bartimeo non stava nelle sue idee chiare su Dio, ma nel cercarlo, nel volerlo incontrare. La fede è questione di incontro, non di teoria. Nell’incontro Gesù passa, nell’incontro palpita il cuore della Chiesa. Allora non le nostre prediche, ma la testimonianza della nostra vita sarà efficace» (Omelia alla Santa Messa per la conclusione della XV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi). Cito i due ultimi Pontefici che si sono succeduti (Francesco ancora regnante), ma è formulazione autentica, da parte di Pietro, della fede cristiana.
3 Qualche indicazione: Igino Giordani, Rivolta cattolica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2016; Giulia Paola Di Nicola, Sophie Scholl. La forza della debolezza, Effatà Editrice, 2020; Hans e Sophie Schöll, Lettere e Diari, Itaca Edizioni, 2006.

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