Antivangelo di Marco Sambruna. Una lettura critica (ma sim-patica)

Per Sambruna però questo non è l’ultimo passo. In fondo alla china sta il «predominio del male spacciato per bene» (AV, 22), ultimo livello nel quale il male, con la sua essenza parassitaria, consuma la vita stessa, però presentandosi ingannevolmente come una sua forma potenziata. Il male qui, secondo l’autore, ha una sua intelligenza nel presentarsi sub specie boni, sotto l’apparenza di una vita più intensa, mentre esso invece consuma soltanto tutto ciò che rende l’uomo tale: ragione, legge morale, compito, scelta. Il ritratto conclusivo del nichilista è perciò in un certo senso anche il destino di questo percorso della modernità in quanto in esso si risolvono, consapevoli o meno, tutti i  momenti precedenti, compresi gli stadi intermedi del deismo e dell’ateismo – a livello “dogmatico” – così come della rivolta contro la moralità e dell’anelito alla libertà.

Il nichilista può anch’esso essere un teista o addirittura un deista, ma è da escludere riconosca qualche valore alla metafisica tradizionale delle religioni specialmente monoteiste come il cristianesimo. Laddove l’ateo non crede nel dio delle religioni storiche, ma può credere nei valori religiosi, il nichilista non solo non crede nel dio delle religioni storiche, ma nemmeno nei valori religiosi che anzi considera nocivi e come tali da demolire in vista di una ri-creazione dell’uomo nel segno di un’illimitata libertà. Il nichilista è un umanitarismo integralista che coltiva il sogno della nullificazione universale traendo un sadico godimento estetico dalla distruzione del vecchio mondo sulle cui rovine costruire il nuovo; spesso coltiva il sogno del dominio personale ricavandone l’ingenuo piacere che deriva dall’esercizio del potere o ambisce al ruolo di eresiarca e fondatore di una nuova dottrina  – una sorta di “nuova religione”.

AV, 25.

Il nichilista viene quindi identificato come colui per il quale la distinzione tra bene e male è indifferente, ma addirittura colui per il quale riconoscere la norma fondamentale della morale – si deve operare il bene ed evitare il male1Nell’etica tommasiana questo è il primo precetto della legge (morale): «quod bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum» (Summa Theologiæ, I-II, q. 92, a. 2 c.): il bene è da attuare e sviluppare, e il male da evitare. – è invertita sicché è il bene che deve essere distrutto. È in gioco

una dialettica perversa: non è più il male a fungere da agente definitorio che con la sua stessa presenza anticristica contribuisce al forgiarsi del bene, ma, al contrario, è il bene con la sua stessa presenza cristica a contribuire alla definizione del male.

AV, 232Tuttavia ciò che è definito come dialettica perversa è in un certo senso precisamente il dispiegarsi del male e del rapporto bene – male secondo la fede cristiana. Non può che essere il bene a “definire” il male, la cui natura parassitaria non è perciò meno violenta e meno virulenta. Il male non può avere alcuna radicalità e soltanto in quanto vinto può essere compreso. Non ha perciò fondamento alcuno affermare che il male con la sua presenza funge da agente definitorio per il forgiarsi del bene. Mai, nemmeno nel senso in cui il bene lotta contro la tentazione, il male ha funzione chiarificante. Solo una volta vinta la tentazione è compresa, ma è nel bene che è vinta ed essa quindi non definisce alcunché. Solo come allusione per un’utile lettura di riflessione e meditazione sul rapporto tra bene e male, a livello spirituale: cf. S. Kierkegaard, Pensieri che feriscono alle spalle, SE Editrice, Milano 2010, pp. 70-73 – una meditazione sul luogo in cui trovare la verità circa la tentazione; e B. Spinoza, Etica Trattato teologico-politico, UTET, Torino 2005, pp. 465-466: una breve esegesi del passo genesiaco sul divieto di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male.

Proprio in questo senso il nichilista agirebbe in maniera anticristica nel momento in cui parteciperebbe alla natura annichilente del male in maniera, per così dire, attiva e cosciente.

Il nichilismo nella modernità filosofica

A terminare l’introduzione un paragrafo che intende delimitare le interpretazioni del nichilismo secondo la filosofia moderna (AV, 26-33), delimitazione necessaria nel momento in cui si vogliono indagare le radici filosofiche del nichilismo. Sambruna presenta quattro diverse definizioni e considerazioni del nichilismo. Per Heidegger esso è il destino di tutta la filosofia occidentale da Platone in avanti. Marx ritiene il nichilismo una fase intermedia di transizione tra due conformazioni ideologiche stabilizzate. Per Nietzsche esso corrisponde semplicemente alle metafisiche religiose tout court. Per Freud invece il nichilismo è tutto ciò che ostacola la metafisica positivista e la sua fondazione. Di Heidegger si accenna alla sua storia (filosofica) della filosofia come storia dell’essere frainteso da Platone in avanti il cui culmine ed inversamente è precisamente il nichilismo – e Nietzsche la parola più alta dunque di questo percorso.

Proprio Heidegger e Nietzsche sono gli autori a cui rivolgersi per affrontare il tema del nichilismo proprio in quanto radici della nostra società – Nietzsche ha inteso se stesso come profeta del superuomo, come superamento del nichilismo. Curioso, quindi, che nell’analisi più diffusa sui varii filosofi Heidegger sia “sostituito” da Feuerbach: probabilmente per tre motivi. Il primo è che Sambruna nel saggio che precede “Antivangelo” ha già introdotto la considerazione di Heidegger, anche se in altro contesto e con altra intenzionalità; il secondo è che Feuerbach è utilmente esplicativo come antesignano di Marx nella linea del pensiero post-hegeliano; il terzo è più profondo, e tocca la questione del modo in cui qui è inteso il pensiero dei quattro filosofi posti sotto giudizio e la loro relazione con l’impianto del saggio.

Sambruna individua in tutti e quattro i pensatori un’unica identica funzione della filosofia moderna che

si presenta come fondatrice di una nuova era nel momento in cui indica nella metafisica religiosa e specialmente nel cristianesimo il vero nichilismo. Dunque in definitiva liberare l’uomo dal nichilismo significa desacralizzare il sacro vale a dire l’attività specifica a cui si sono dedicati i quattro pensatori affrontati in questo studio.

AV, 29-30

Il nichilismo come essenza del cristianesimo o della “metafisica religiosa”3Pongo tra virgolette questa espressione perché essa è per più ragioni problematica. Solo se si intende “metafisica” nel senso vago di concezione del mondo che comporta l’esistenza di realtà spirituali e soprannaturali, allora “metafisica religiosa” è espressione che può essere accolta, pur essendo pleonastica – “religione” o “religioso” oppure “metafisica” basterebbero. Se per “metafisica” si intende quella riflessione che sì presuppone l’esistenza di realtà immateriali, ma condotta in maniera filosofica come riflessione sul mondo e sull’uomo, allora “metafisica religiosa” non è espressione perspicua. Anche condividendo il necessario legame tra un pensiero filosofico metafisico e la realtà della religione il pensiero della fede che ne può sgorgare – ciò su cui concordo, non solo: vedere la “Fides et ratio” – tuttavia metafisica e religione sono distinte per finalità  e metodo, e perlomeno se ne dovrebbero discutere i rapporti reciproci. e come sua origine è in effetti tesi precisamente nietzscheana4Sambruna espone questa tesi specialmente in AV, 73-81, ma attraversa tutta la ri-presentazione del pensiero di Nietzsche. Il pensiero di Nietzsche stesso giustifica questa pervasività del considerare il Cristianesimo come ultimo passo dell’inversione ebraica dei valori e della presa di potere degli inetti in preda al risentimento.. Heideggeriana è invece la considerazione del nichilismo come ultimo e necessario sviluppo della metafisica.

Tuttavia definire la “diagnosi” genealogica del nichilismo operata da Heidegger come un attacco alla metafisica tout court è problematico, non solo per l’attenzione esegetica puntigliosa e strategica che Heidegger dedica ad Aristotele – anche se proprio per fondare la flessione onto-teologica della metafisica – ma proprio per il fatto che la riscoperta del senso dell’essere è (un) filo conduttore del pensiero heideggeriano. Sebbene infatti si possano non condividere le conclusioni delle correnti filosofiche e teologiche che tentano di proseguire la riflessione heideggeriana, e si possa non condividere il giudizio heideggeriano – senz’altro sommario – su tutto il pensiero occidentale come smarrimento del senso dell’essere, tuttavia non si può neanche semplicemente equiparare la denuncia della metafisica come ontoteologia come puro attacco al pensiero metafisico come ricerca del senso dell’essere. Numerosi pensatori hanno portato a fondo la critica heideggeriana anche in relazione ad un recupero del pensiero di Tommaso – Fabro e Gilson ad esempio – facendosi interpellare a fondo dal pensiero heideggeriano e specialmente dall’accento posto sull’oblio della differenza ontologica5L’impostazione critica della filosofia moderna operata da Fabro è ispirata al pensiero heideggeriano e alla sua diagnosi dell’oblio dell’essere nella filosofia. Con differenze radicali e puntuali critiche alle inesattezze ermeneutiche del filosofo tedesco – a cui neanche Fabro a volte sfugge: in chi legge i filosofi anche come coloro che svolgono un tema pre-costituito forse è insita la possibilità di questo errore. Gilson nel suo “Introduction à la philosophie chrétienne” nota come Tommaso consegua la sua nozione dell’essere proprio alla sequela della Rivelazione, grazie a cui mantiene aperto il senso dell’essere – l’essere come atto – senza cedere alle tentazioni di chiuderlo al pur lodevole fine di salvaguardare la chiarezza e la presa del pensiero.. Se poi si considera che la stessa distinzione che Heidegger opera tra teologia, filosofia e fede è a sua volta tutta da problematizzare allora assumere la sua stessa categorizzazione epocale della storia della filosofia semplicemente come allontanamento dal Cristianesimo6Più diretto invece intendere la modernità come degradazione della metafisica e quindi in un certo senso allontanamento dalla metafisica come orizzonte di senso per la vita dell’uomo, in un altro potenziamento estremo della volontà di potenza / di nulla insita nella metafisica nel suo ultimo succedaneo ovvero la tecnica. diventa, a maggior ragione, azzardato. Infatti la visione heideggeriana della fede come modo originale di esistenza che sostituisce quello della filosofia e non può presupporlo in nessun senso chiaramente non può coincidere con la nozione sulla fede stessa all’interno della fede cattolica7E questo spiega anche perché andando contro la lettera espressa di Heidegger alcuni abbiano cercato di vedere nel suo pensiero un utile chiarificazione antropologica e teologica anche per la teologia..

A veder meglio quindi il vero e proprio corrispondente dell’opposizione tra nichilismo e sacro / Cristianesimo così come presentata da Sambruna è Nietzsche. Identificando nel Cristianesimo il vero e proprio nichilismo vitale del risentimento è egli che vede espressamente nel Cristianesimo l’avversario dell’epocale liberazione dell’umano, ancora a venire8Sambruna ricostruisce questa decadenza del risentimento in AV, 62 ssg.. In questo senso qui, guardando a Nietzsche, sta la ragione dell’inversione operata da Sambruna: non il Cristianesimo è il nichilismo da superare, ma il nichilismo è invece arginato dal Cristianesimo e dalla metafisica religiosa. Invece Feuerbach, Marx e Freud possono essere inseriti sotto la categoria dello sviluppo del nichilismo in maniera estrinseca in quanto essi non si rifanno alla nozione di nichilismo per esporre o sviluppare la propria stessa opera. I tre dunque vi sono ricondotti una volta che il nichilismo è stato definito come ciò che si oppone al Cristianesimo in quanto desacralizzazione del sacro. In questo senso soltanto i tre diventano radici filosofiche del nichilismo proprio in quanto attaccano il Cristianesimo che, per Sambruna, è in verità l’unico possibile argine contro il diffondersi del nichilismo (cf. AV, 30).

Quello dell’attacco frontale al Cristianesimo – la religione dell’Occidente in cui sono vissuti i quattro autori – è effettivamente il comune denominatore di questi pensatori, ciò su cui questo saggio si dilunga con dovizia di informazione. Il loro rapporto con il nichilismo è mediato invece dall’impostazione che abbiamo rilevato, impostazione problematica. Essa vale per Nietzsche, per il quale il Cristianesimo è nichilismo, meno per gli altri autori. Per gli altri autori il Cristianesimo è un argine e un motore potente, ma che ha fatto il suo tempo:

  • per via del proprio essere maschera dell’uomo (dell’antropologia) in Feuerbach;
  • per essere stato motore del cambiamento che ha fatto il suo tempo e proprio per questo ora residuo di un’altra epoca storico-sociale e perciò argine sì, ma del progresso (Marx-Engels) e distrazione delle masse;
  • per via della sua funzione sociale di contenimento delle pulsioni distruttive e di soddisfazione illusoria delle castrazioni del principio di piacere, funzione che svolge soltanto provocando una nevrosi di massa in luogo di tante singole nevrosi diverse (Freud).

Il Cristianesimo è quindi per tutti questi pensatori un “nemico”, più o meno ben studiato9Feuerbach conosce ciò di cui parla quando analizza la teologia del Cristianesimo, per Kierkegaard con più acutezza di Hegel. Freud conosce alcuni testi capitali della religione ebraico-cristiana, ma non mostra spessore filosofico o teoretico sufficiente per dire qualcosa di nuovo al riguardo., e su questo si basa senz’altro in maniera fondata la sinteticità nella trattazione dei loro assunti che segue l’introduzione e costituisce il corpo del saggio.

Indicare le radici o sprofondare in esse: l’insufficienza della polemica

Il nichilismo è l’avversario del Cristianesimo; la modernità filosofica identifica il Cristianesimo come nichilismo, ma sbaglia e così facendo annulla l’unico argine alla nullificazione di tutti i valori. Gli autori che attaccano il Cristianesimo e fondano il diffuso sentire nichilista sono presentati ed esposti. Tutto si richiama e si sostiene in questo saggio, fin troppo. Come evidenziato già per Heidegger, manca un lavoro ch’è quello prettamente filosofico e pure, in realtà, apologetico, che è quello di evidenziare ciò che di positivo appare nei pensieri di questi filosofi per mostrare dove stia concretamente l’errore. Non basta, quando si discutono le radici filosofiche di un movimento cangiante e complesso come il nichilismo, affermare che esso è sbagliato in quanto attacca il Cristianesimo ed esporre gli attacchi serrati dei filosofi della modernità/contemporaneità.

Note

Note
1 Nell’etica tommasiana questo è il primo precetto della legge (morale): «quod bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum» (Summa Theologiæ, I-II, q. 92, a. 2 c.): il bene è da attuare e sviluppare, e il male da evitare.
2 Tuttavia ciò che è definito come dialettica perversa è in un certo senso precisamente il dispiegarsi del male e del rapporto bene – male secondo la fede cristiana. Non può che essere il bene a “definire” il male, la cui natura parassitaria non è perciò meno violenta e meno virulenta. Il male non può avere alcuna radicalità e soltanto in quanto vinto può essere compreso. Non ha perciò fondamento alcuno affermare che il male con la sua presenza funge da agente definitorio per il forgiarsi del bene. Mai, nemmeno nel senso in cui il bene lotta contro la tentazione, il male ha funzione chiarificante. Solo una volta vinta la tentazione è compresa, ma è nel bene che è vinta ed essa quindi non definisce alcunché. Solo come allusione per un’utile lettura di riflessione e meditazione sul rapporto tra bene e male, a livello spirituale: cf. S. Kierkegaard, Pensieri che feriscono alle spalle, SE Editrice, Milano 2010, pp. 70-73 – una meditazione sul luogo in cui trovare la verità circa la tentazione; e B. Spinoza, Etica Trattato teologico-politico, UTET, Torino 2005, pp. 465-466: una breve esegesi del passo genesiaco sul divieto di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male.
3 Pongo tra virgolette questa espressione perché essa è per più ragioni problematica. Solo se si intende “metafisica” nel senso vago di concezione del mondo che comporta l’esistenza di realtà spirituali e soprannaturali, allora “metafisica religiosa” è espressione che può essere accolta, pur essendo pleonastica – “religione” o “religioso” oppure “metafisica” basterebbero. Se per “metafisica” si intende quella riflessione che sì presuppone l’esistenza di realtà immateriali, ma condotta in maniera filosofica come riflessione sul mondo e sull’uomo, allora “metafisica religiosa” non è espressione perspicua. Anche condividendo il necessario legame tra un pensiero filosofico metafisico e la realtà della religione il pensiero della fede che ne può sgorgare – ciò su cui concordo, non solo: vedere la “Fides et ratio” – tuttavia metafisica e religione sono distinte per finalità  e metodo, e perlomeno se ne dovrebbero discutere i rapporti reciproci.
4 Sambruna espone questa tesi specialmente in AV, 73-81, ma attraversa tutta la ri-presentazione del pensiero di Nietzsche. Il pensiero di Nietzsche stesso giustifica questa pervasività del considerare il Cristianesimo come ultimo passo dell’inversione ebraica dei valori e della presa di potere degli inetti in preda al risentimento.
5 L’impostazione critica della filosofia moderna operata da Fabro è ispirata al pensiero heideggeriano e alla sua diagnosi dell’oblio dell’essere nella filosofia. Con differenze radicali e puntuali critiche alle inesattezze ermeneutiche del filosofo tedesco – a cui neanche Fabro a volte sfugge: in chi legge i filosofi anche come coloro che svolgono un tema pre-costituito forse è insita la possibilità di questo errore. Gilson nel suo “Introduction à la philosophie chrétienne” nota come Tommaso consegua la sua nozione dell’essere proprio alla sequela della Rivelazione, grazie a cui mantiene aperto il senso dell’essere – l’essere come atto – senza cedere alle tentazioni di chiuderlo al pur lodevole fine di salvaguardare la chiarezza e la presa del pensiero.
6 Più diretto invece intendere la modernità come degradazione della metafisica e quindi in un certo senso allontanamento dalla metafisica come orizzonte di senso per la vita dell’uomo, in un altro potenziamento estremo della volontà di potenza / di nulla insita nella metafisica nel suo ultimo succedaneo ovvero la tecnica.
7 E questo spiega anche perché andando contro la lettera espressa di Heidegger alcuni abbiano cercato di vedere nel suo pensiero un utile chiarificazione antropologica e teologica anche per la teologia.
8 Sambruna ricostruisce questa decadenza del risentimento in AV, 62 ssg.
9 Feuerbach conosce ciò di cui parla quando analizza la teologia del Cristianesimo, per Kierkegaard con più acutezza di Hegel. Freud conosce alcuni testi capitali della religione ebraico-cristiana, ma non mostra spessore filosofico o teoretico sufficiente per dire qualcosa di nuovo al riguardo.

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