La fine di 10 quaresime con la Pasqua di Pell (e di noi tutti)

Secondo il decano degli osservatori giudiziali della stampa australiana, Michael Pelly, il verdetto è stata una «lezione sul ragionevole dubbio». Così scrive per l’Austrialian Financial Review :

«Il messaggio dell’Alta Corte è chiaro: non ti puoi aggrappare alla credibilità di un testimone quando le improbabilità proseguono con l’accumularsi. Se lo fai, una corte può finire col rovesciare su di te l’onere della prova, difatti costringendo l’accusatore a dimostrare che è lui o lei ad essere incolpevole».

Aggiungiamo pure che le evidenze in questo caso hanno costretto l’Alta Corte a sua volta a farlo, riprendendo a criterio il medesimo ravvisato in primo appello dal parere del giudice in minoranza Mark Weinberg, che in dissenso dai colleghi della Suprema Corte della Victoria aveva fatto mettere agli atti: «La sua evidence poteva bene esser stata sufficiente a provocare un ragionevole dubbio quanto alla colpa del ricorrente».

Leggi il nostro report sulla sentenza in primo appello.

Una lezione che veniva da lontano, ma anche una messa in discussione della correttezza dell’iter giudiziario ai danni del porporato fin dalle fasi iniziali. L’inciso dell’«acting rationally» (agire, comportarsi con razionalità), ripetuto 3 volte nella sintesi di sentenza (in apertura, nel resoconto e nella conclusione), da solo cancella esplicitamente la qualifica della giura ad aver espresso un verdetto accettabile secondo diritto; ed implicitamente anche dei magistrati Victorians che l’hanno confermato 2a1 in primo appello. Così conclude la giuria permanente al vertice del sistema australiano:

«In merito ad ognuna delle condanne in capo al ricorrente c’era, in accordo con le parole della Corte pronunciate nel caso Chidiac contro La Regina (1991) e M. contro La Regina (1994) “una possibilità significativa che una persona innocente sia stata condannata perché le evidenze non suffragavano la colpa fino ai requisiti minimi della prova”.»

Non è soltanto una sentenza ribaltata, è una pronuncia con cui viene rimosso il valore formale e sostanziale di qualunque intervento nella giurisprudenza che ha preceduto quest’ultimo grado. Non solo vengono archiviate le accuse a Pell, vengono spazzate via. Caso non chiuso, ma blindato, incatenato e sigillato in una miniera di sale, come la scoria radioattiva di una centrale di malagiustizia che altrimenti contaminerebbe e deturperebbe l’intero sistema kangaroo.

Con le parole dell’analista politico Andrew Bolt, a terminare è una vera e propria «caccia alle streghe», «uno dei massimi errori della giustizia nella storia australiana» del quale molti «dovrebbero provare vergogna». Bolt per SkyNews Australia aveva diretto un’inchiesta che nel novembre dello scorso ha fatto molto scalpore nella mediasfera anglofona, con la ricostruzione dei presunti delitti sentenziati come accertati in 2 gradi di giudizio dalle corti della Victoria. L’Australia, il Regno Unito, il Commonwealth e gli Stati Uniti scoprivano dal video di Bolt come fossero «intrinsecamente non plausibili» gli stessi movimenti che Pell avrebbe dovuto compiere per commettere gli abusi di cui era stato giudicato colpevole.

L’inchiesta di Andrew Bolt per SkyNews Australia.

Su LaCroce – insieme ad una parte assolutamente minoritaria della stampa italiana (comprese diversi assenti in ambito cattolico) – e Breviarium eravamo arrivati alle stesse conclusioni fin dalla lettura delle cronache giudiziarie all’indomani del primo verdetto, dedicandovi a partire dal 27 febbraio 2019 un dettagliato dossier a firma del sottoscritto. Avevamo ribadito lo stesso ad agosto, dopo la conferma della condanna in appello, mentre tutt’intorno con toni da devozione autoritaristica ci si chiedeva di cessare la difesa d’ufficio di un acclarato violentatore di minori.

Ma infine l’autorità giudiziaria si è dovuta piegare alla verità, così come ha affermato il card. Pell appena dopo la sua scarcerazione in un comunicato.

«Mi sono sempre dichiarato innocente ed ho sofferto per aver subito una grave ingiustizia. Tutto si è risolto oggi con la decisione unanime dell’Alta Corte. Non vedo l’ora di leggere la sentenza e le ragioni della decisione nel dettaglio.

Non provo però nessun risentimento verso chi mi ha accusato né credo sia stato mosso da cattiva volontà; non voglio che la mia assoluzione aggiunga dolore alla ferita e all’amarezza che molti provano; c’è abbastanza sofferenza e abbastanza amarezza. Il mio processo non è stato un referendum sulla Chiesa cattolica; né un referendum su come le autorità della Chiesa in Australia hanno affrontato il crimine di pedofilia.

Il punto era se avevo commesso o no questi terribili crimini e io non li ho commessi. L’unica base per la guarigione a lungo termine è la verità e l’unica base per la giustizia è la verità, perché la giustizia implica verità per tutti.

Voglio ringraziare in particolare la mia famiglia per il loro amore e supporto e per ciò che hanno dovuto vivere. I miei più pronfondi ringraziamenti e riconoscenza vanno al mio team legale per la ferma determinazione a far prevalere la giustizia, far luce sull’oscurità prefabbricata e a rivelare la verità».

Il Santo Padre Francesco nell’omelia mattutina alla Domus Sanctæ Marthæ di ieri, 4 ore dopo la pronuncia ha platealmente modulato la situazione del porporato al tempo di Quaresima, onorando così la sua liberazione:

«In questi giorni di Quaresima abbiamo visto la persecuzione che ha subito Gesù e come i dottori della Legge si sono accaniti contro di lui: è stato giudicato sotto accanimento, con accanimento, essendo innocente. Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento».

Oggi ci permettiamo di metterci, trai pochi a buon diritto, in prima fila nel gioire per la fine della persecuzione di uomo che, rinunciando ad ogni protezione, con la sua composta sofferenza ha dato la luminosa testimonianza di cosa significhi amare la verità fino ad essere pronti a dare i beni più preziosi della propria persona, la libertà e – quale atroce strazio per un sacerdote – perfino la celebrazione dei Misteri, amare la Verità fatta Persona al costo di rinunciare per dieci quaresime alla sua presenza sacramentata. Non posso che ringraziare il direttore e il caporedattore per avermi permesso di dar voce a questa testimonianza dolorosa, ad una Passione il cui tragitto ci accompagna con richiamo pressante alla Pasqua di Risurrezione, per intonare insieme al liberato Cardinal Pell un Exsultet che scarceri ognuno di noi al seguito della Verità:

Nam, quæ patribus in figura contingebant,
nobis in veritate proveniunt.

Ecce iam ignis columna resplendet,
quæ plebem Domini beatæ noctis tempore
ad salutaria fluenta præcedat,
in quibus persecutor mergitur,
et Christi populus liberatus emergit
.

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