Né Charlie, né Alfie. La storia unica della bimba che forse non tutti vogliono morta – parte 1ª

Mohammed Raqeeb e Shelina Begum con la figlia Tafida alla PICUs del Royal London Hospital - © News Group Newspapers Ltd

L’inchiesta su Tafida Raqeeb, la bambina cerebrolesa in stato di minima coscienza ricoverata al Royal London Hospital in attesa che una sentenza dell’Alta Corte decida se rimuovere la ventilazione assistita come richiede il National Health Service o se concedere l’espatrio per proseguire l’assistenza e le cure al Gaslini di Genova. Dopo aver consultato fonti indipendenti dalle cronache e dai comunicati della famiglia, possiamo delineare il quadro unico e complesso che contraddistingue la vicenda clinica e giudiziaria della bambina, inassimilabile ai precedenti di eutanasia pediatrica in Regno Unito che tanto clamore hanno destato negli ultimi anni. Un quadro da cui emerge anche l’inedita debolezza processuale della posizione dell’ospedale londinese. Tafida può scampare al copione da accanimento tanatologico del best interest?

Si pubblica qui la 1a parte dell’inchiesta
In arrivo la 2a parte sulla storia clinica di Tafida

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Delle ultime vicende drammatiche affioranti in gridi d’aiuto materni e paterni, prorompenti dalle PICUs, le corsie di Terapia Intensiva Pediatrica d’Oltremanica, pensavamo probabilmente di aver compreso e catalogato i modelli, schematismi suscettibili di variazioni leggere, ma nel complesso composizioni di algoritmi ripetitivi. Pensavamo di aver mappato i percorsi del pensiero che guidavano le scelte e le strategie e perfino il gusto di un tormento studiato in una forma analitica, snodo dopo snodo, per crescere progressivamente nel tempo, ramificarsi e reclamare sempre più offerte votive al proprio potere e i suoi bilanci. Quel combinato fatale nel metabolismo di due organi intangibili, oracoli della religione secolare della Corona Britannica, l’uno il sistema giudiziario plenipotenziario di Corti Alti e Supreme che tollera appelli solo per non ascoltarne le istanze, l’altro il sistema sanitario di ogni eccellenza indubitabile e insindacabile che archivia le urgenze con i minus delle voci di spesa in entrata e i plus delle voci di risparmio in “uscita”. Un’exit-strategy di molto anteriore alla BREXIT che dal Liverpool Care Pathway for Dying Patients attraverso i suoi più recenti aggiornamenti si è occupata di pazienti molto lontani dall’evento fatale. Tra di loro una bambina di 5 anni sta scardinando tutto quello che credevamo di sapere.

Molto è stato detto di Tafida Raqeeb e il più, quasi il tutto, a sproposito; e chi avrebbe preferito liberare la sua culla in corsia non ha detto molto di peggio di chi si immolerebbe per presidiarla. Si è detto – ancora si dice – che fosse in coma, o addirittura in “stato comatoso profondo”1Senza aver cura di precisare cosa dovrebbe significare nelle scale di classificazione condivise., sebbene quando la piccola è balzata ai timori delle cronache fossero passati quasi 3 mesi dal termine massimo entro il quale si possa permanere nel coma. Si è detto che fosse in “stato vegetativo”, qualcuno ha provato ad impreziosirlo con “persistente”. Qualcun altro ha pensato di tradurre dai contributi inglesi il “semi-conscious coma” in “coma semicosciente”, senza preoccuparsi di scoprire se la propria traduzione arrangiata potesse significare qualcosa o se invece non fosse solo una pessima abitudine di giornalisti britannici troppo pigri per chiedere ad un neurologo competente quale sia il rapporto tra veglia e disordini di coscienza.

A proposito, noi lo facemmo per capirci di più sulla situazione di Vincent Lambert, interpellando chi da più d’un decennio si è occupata di centinaia e centinaia di casi di disordini di coscienza – Ascolta l’intervista con la dott. Matilde Leonardi.

Da quest’estate abbiamo potuto consultare fonti vicine al Gaslini per individuare precisamente in che situazione si trovasse Tafida. Memori degli immensi sforzi che per Aleteia Giovanni Marcotullio e ancor prima Benedetta Frigerio da La Nuova Bussola Quotidiana hanno profuso per documentare giorno dopo giorno l’evoluzione della tragedia di Alfie Evans, il nostro scopo era anzitutto quello di capire quale tipo di margine ci fosse per la bambina di origine bengalese dell’East London borghese di arrivare ad un esito dissimile dai suoi precursori. Tafida da questo punto di vista non è certamente un caso clinico di frontiera come Alfie Evans, né come Charlie Gard, mentre si presta molto più facilmente a paragoni con Isaiah Haastrup. La bambina, per quanto terribilmente sfortunata, è come tante altre ne sono documentate, come non poche delle quali ci si prende cura ordinariamente nelle Terapie Intensive Pediatriche italiane che hanno sofferto una lesione cerebrale per un grave episodio vascolare. Per questi pazienti il reparto dell’Ospedale Pediatrico dell’Istituto Gianna Gaslini di Genova, ove la famiglia Raqeeb richiede il trasferimento è eccellenza in ambito nazionale, continentale e mondiale.

Quanto dichiarato nelle aule dell’Alta Corte di Londra negli ultimi giorni dalla parte dei rappresentanti legale del National Health Service poggia su una rappresentazione della realtà di cura di Tafida (senza far altro che accennare alle condizioni in cui versa la bambina) che alla situazione concreta risponde molto limitatamente. Una rappresentazione che ha sconfinato già in una vergognosa deformazione, nel momento in cui l’avv. Katie Gollop è arrivata ad accusare le buone pratiche del nosocomio ligure di permettere violazioni dei diritti umani dei pazienti pediatrici. Come si vedrà, non solo queste affermazioni oltraggiose sono irricevibili a fronte della comprovata esperienza di cura del Gaslini, ma sono sconfessate dall’attitudine che gli stessi medici del Royal London Hospital hanno tenuto da giugno ad oggi.

Note

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1 Senza aver cura di precisare cosa dovrebbe significare nelle scale di classificazione condivise.

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