Lobbizzate, lobbizzate. Ma cosa resterà?

I lobbisti amano confondere le acque presentandosi come rappresentanti del bene comune laddove partiti come il PDF non sarebbero che espressione di un interesse parziale (o dell’ambizione di qualche arrivista, come amano malignare i lobbisti). Ma le cose stanno giusto all’opposto. Sono i gruppi di interesse a non curarsi che degli interessi dei propri membri. Così facendo «essi si distinguono dai partiti politici, che, almeno secondo il loro ideale, dovrebbero rappresentare gli interessi di tutto il popolo, per il fatto che [i gruppi di interesse] si curano solo degli interessi particolari degli associati».1Joseph Höffner, La dottrina sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1987, p. 262

Non bisogna dimenticare che gli eletti in Parlamento non rappresentano soltanto i loro elettori, bensì tutti i cittadini. Per questo va compreso chi nutre riserve nei confronti delle forze politiche intenzionate a rottamare il libero mandato sancito dall’articolo 67 della nostra Costituzione. A tale proposito non sarà inutile ricordare che tanto il M5S quanto la coalizione di Centrodestra hanno in programma l’introduzione del mandato imperativo. La motivazione all’apparenza è assai valida: sconfiggere il trasformismo dei parlamentari «voltagabbana» costringendoli a seguire strettamente le istruzioni degli elettori. Perciò, come propone il M5S, i parlamentari che nel corso della legislatura dovessero cambiare partito, contribuendo così all’attuazione di un programma diverso da quello con cui si sono presentati agli elettori, dovrebbero essere penalizzati sia economicamente che politicamente, riducendo la loro possibilità di incidere sulle votazioni delle leggi.

Sembra una posizione ragionevole. Sembra, appunto. Ma non è. Il fatto è che il mandato imperativo declassa il parlamentare da rappresentante della nazione a semplice funzionario delle oligarchie interne al partito, le quali così hanno facile gioco a presentarsi come migliori garanti e interpreti della volontà popolare. In questa maniera la funzione del parlamentare viene ridotta al rapporto fiduciario col partito, non con la società civile. Il mandato imperativo non responsabilizza il parlamentare nei confronti degli elettori, lo asservisce alla legge ferrea dell’oligarchia.

L’ostilità per il libero mandato è un marcatore di antidemocrazia. Indica la presenza di pulsioni autoritarie. Non a caso tra i contestatori storici del principio del libero mandato si annoverano Jean-Jacques Rousseau, già padre della giacobina «Volontà Generale», nonché la Comune di Parigi del 1871 (primo embrione, per Marx, di dittatura del proletariato), la Costituzione sovietica e le democrazie popolari. Il partito giacobino, nelle sue molteplici espressioni storiche, ha sempre tentato di blindare la fedeltà dei parlamentari al partito dominante, cioè a se stesso. Sarà un caso che il sistema operativo del Movimento pentastellato – lo strumento con cui i grillini votano on line le proposte del partito – si chiami proprio Rousseau?

Al larvato totalitarismo di Rousseau si oppose un grande conservatore: Edmund Burke, col celebre Discorso agli elettori di Bristol (1774) in cui propugnava il principio del libero mandato contro la malsana idea secondo la quale gli eletti avrebbero dovuto rappresentare esclusivamente gli interessi dei propri elettori.

Il Parlamento – faceva osservare Burke in quel fatidico discorso – non è un congresso di ambasciatori d’interessi diversi e l’un all’altro ostili, che ciascuno deve sostenere come mandatario e patrocinatore in opposizione ad altri mandatari e patrocinatori; il Parlamento è invece un’assemblea deliberativa di una unica Nazione, con un solo interesse, quello dell’intero. Voi scegliete un membro, è vero; ma una volta che l’avete scelto egli non è un membro di Bristol, ma un membro del Parlamento. 2Edmund Burke, Discorso agli elettori di Bristol, in Lorenzo Ornaghi (a cura di), Il concetto di “interesse”, Giuffrè, Milano 1984, p. 321.

Senza dimenticare che un parlamentare è obbligato, come ogni uomo, dalla coscienza. Per questo, insisteva Burke,

istruzioni imperative e mandati che, una volta inoltrati, il membro del Parlamento è tenuto a seguire ciecamente ed incondizionatamente e per i quali è tenuto a battersi, quantunque contrari alla più chiara convinzione del suo discernimento e della sua coscienza, queste cose sono letteralmente sconosciute alle leggi di questa terra… 3Ivi.

In altre parole, Burke aveva intuito i guasti del mandato imperativo, a cominciare dalla trasformazione del parlamentare in lobbista, ossia nel curatore di interessi particolari. Su questo punto la posizione di Burke è ferma: il parlamentare deve tutelare il bene comune della nazione, un bene al tempo stesso di tutti e di ciascuno.

Note

Note
1 Joseph Höffner, La dottrina sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1987, p. 262
2 Edmund Burke, Discorso agli elettori di Bristol, in Lorenzo Ornaghi (a cura di), Il concetto di “interesse”, Giuffrè, Milano 1984, p. 321.
3 Ivi.

5 commenti

  1. L’analisi politologica (articolo postato da Chiara Ardente) è per lo più, e nelle linee generali, ineccepibile… Però sovrapporre il CDNF con le aree e le dinamiche contraddistinte dai gruppi di pressione, che peraltro esistono da sempre nella politica e nei sistemi democratici è una forzatura. La compensazione (delle forze contro-democratiche e non antidemocratiche citate nell’articolo) è data proprio dal bilanciamento tra gruppi di potere – come in USA – ma soprattutto ed eminentemente in senso rappresentativo (e mai compiutamente realizzato) dall’attuazione del principio di sussidiarietà costituzionale. Attraverso uno sviluppo policentrico dei corpi intermedi composti dalla cittadinanza che composta insieme rappresenta la globalità degli interessi dettati dal Bene Comune. Il CDNF non ha mai identificato e proposto se stesso e la sue attività, ora forse questo invero sembra più evanescente, come una realtà socio-politica (per quanto tutto è politica sopratutto la vita manifesta nella Fede) contraddistinta dalla potenziale capacità di rappresentare i valori irriducibili, trasversalmente o in maniera focalizzata (lobby); e quindi, con questo, diventare un “rappresentante rilevante” dei bisogni della società civile riguardo a questi stessi assi valoriali. IL CDNF era un comitato di scopo (e ciò doveva restare a mio avviso) idoneo al coordinare in coro la voce di una comunità che ancora non sapeva – e non sa – che personalità collettiva è e qual’è il “suo posto nel mondo” … Lungo doveva essere il processo che poteva poi pervenire alla costituzione di soggetti (legittimi) con dignità di rappresentanza, magari solo dal punto di vista socio-culturale… Questo è il problema !! Per contro in una visione sistemica e sistematica, e qui altro elemento critico rispetto all’articolo, non è assolutamente vero che pone, alle fondamenta della politica e prima ancora della comunità umana, i “sedicenti” valori dell’antropologia cristiana, cioè le istanze mosse dal CDNF o anche dal PDF che dir si voglia. Perchè la persona umana nella sua dimensione individuale e nella sua dimensione collettiva è indivisibile, quindi: sistemi educativi, sistemi lavoro, sistema economico-finanziario, utilizzo delle risorse naturali, accesso ai beni universali, e oggi più che mai sistemi di trasformazione digitale del pensiero,del linguaggio e della comunicazione… e decine e decine di altre categorie appartengono ad un unicum che va visto nella sua complessità di insieme (elaborazioni oggi assolutamente e ovunque inesistenti)… Ergo un cosiddetto partito o movimento monotematico è semplicemente improponibile, perchè incapace di visione politica ! Incapace di visione storica !

    • Caro Gianluigi, grazie per il denso commento e per le osservazioni critiche, che sono sempre stimolanti. Premesso che in questo campo nessuno è infallibile, a cominciare dal sottoscritto, rispondo che la natura lobbistica della propria azione è stata rivendicata dal CDNF stesso (qui ad esempio) e, stando a chi ne conosce meglio le dinamiche interne, l’attività più propriamente culturale, di sensibilizzazione delle coscienze, sta cedendo progressivamente il passo all’analisi delle strategie politico-partitiche nell’ottica di un “condizionamento” dei centri decisionali di stampo tipicamente lobbistico. Per una valutazione generale del fenomeno del lobbismo credo di non dover aggiungere molto a quanto ho provato a scrivere sui rapporti tra populismo e postdemocrazia.

      Nessuno nega il ruolo “fisiologico” dei corpi intermedi, inevitabilmente portatori di interessi particolari, nella determinazione del bene comune della società. Ma quando il lobbismo finisce per bypassare il ruolo del parlamento, allora siamo di fronte a un pericolo per la democrazia rappresentativa.

      Al di là di tutti i discorsi che possiamo fare, i fatti testimoniano che il CDNF non è un comitato di scopo quanto un comitato di supporto all’area di centrodestra. In una democrazia rappresentativa però la rappresentanza politica passa attraverso il voto popolare, non attraverso il rapporto “carismatico” con le masse che è invece caratteristico di una tradizione plebiscitaria che, com’è noto, appartiene sempre al verticismo della cultura di destra. Quindi, torno a insistere, è ben difficile che il comitato potesse fungere da naturale “incubatrice” per la nascita e la “coscientizzazione” di esperienze politiche popolari.

      Fatico un poco ad afferrare la seconda parte del commento. Tuttavia non posso concordare con l’idea che il PDF – se interpreto bene il riferimento implicito – sia un partito monotematico senza una visione prospettica e storico-politica. Il Popolo della Famiglia nasce, di fatto, come ripresa del popolarismo di marca sturziana, anche se in un contesto sociale e politico completamente mutato rispetto al 1919. Per dirne una, quell’Italia strapaesana e contadina a cui don Sturzo voleva dare dignità civile e politica non esiste più. Così come alle tradizionali linee di frattura (“cleavages”) o assi della politica (centro-periferia, stato-chiesa, città-campagna, imprenditori-operai, destra-sinistra) si è aggiunta una nuova forma di conflitto sociale che altrove (con pseudonimo) mi sono permesso di definire “frattura biopolitica”.

      Rispetto a quanto scrivevo allora, la speranza in una distinzione di ruoli tra PDF e CDNF si è fatta alquanto residuale, per non dire inesistente. Anzi, stante la natura lobbistica del comitato sono sempre più convinto che non sia nemmeno auspicabile una riunificazione. Si tratta di due strategie concorrenziali e in quanto tali difficilmente conciliabili. E come ha detto qualcuno, l’aggressività scatta tra specie simili. Se il comitato facesse davvero attività prepolitica o culturale che dir si voglia, cercando di sensibilizzare le coscienze sui temi a lui cari, non ci sarebbe alcun motivo di conflitto. Se io giocassi a hockey su ghiaccio e il mio interlocutore a pallavolo, non ci sarebbero mai occasioni di “contatto”. Il discorso cambierebbe, e di molto, nel momento in cui il pallavolista volesse scendere sul ghiaccio e cominciare a contendermi il disco. In quel caso i contatti, giocoforza, ci sarebbero. Con quale intensità e frequenza, se più o meno duri dipende da tanti fattori concomitanti. In ogni sport c’è chi gioca al limite del regolamento, chi è maestro di fair play, chi ha uno stile di gioco più raffinato, chi più irruento ecc. Ma il problema sta a monte: sta nel fatto che è stata stabilita una competizione diretta.

      Un caro saluto

  2. “Resta infine un bruciante interrogativo: il lobbismo è davvero coerente con le fonti del cattolicesimo politico?”

    No, certo che no, ma se alla base del movimento politico ci sono movimenti e/o gruppi cattolici che hanno ragionato su base lobbistica già in ambito religioso/spirituale al loro ingresso nella Chiesa, allora l’azione politica conseguente è inevitabile. Come dire, è la forma mentis. (E non è neanche scontato che ciò riguardi specificamente soltanto una formazione politica con un nome preciso e con un intento lobbistico dichiarato esplicitamente).

    Il tuo passaggio successivo è perfetto in questo senso.
    Scrivi: “Il realismo politico di Machiavelli è il riflesso del suo pessimismo antropologico. Discende da una visione cupa dell’uomo, considerato irrimediabilmente cattivo e, pertanto, da costringere con la forza”.

    Perfetto.
    “Pessimismo antropologico” e “visione cupa dell’uomo considerato irrimediabilmente cattivo”.
    Direi che ci hai visto bene, anzi benissimo.
    Questa visione dell’uomo fa parte innanzitutto di una certa (distorta) teologia.
    Insomma, il problema è molto più a monte e riguarda il “cattolicesimo” (o presunto tale) da cui partono determinate formazioni.

    Grazie per l’ottimo articolo.

    • Cara Francesca, un grazie anche a te per il commento.

      Sono perfettamente d’accordo. È esattamente così: il lobbismo è connaturale a certi ambienti cattolici, la cui mentalità trova spontaneamente sbocco in una certa “teologia politica”. Sono circoli caratterizzati dalla stretta correlazione, per non dire dall’identificazione, tra fede e politica.

      Non sarebbe inutile allargare il discorso anche all’attività di quella che Sandro Magister ha chiamato la «chiesa extraparlamentare», che agisce di fatto come una macroscopica lobby negoziando direttamente col potere politico, esautorando di conseguenza il laicato. La cosiddetta diaspora dei cattolici in politica è funzionale a questo schema che non bisogna aver timore di definire una espressione del clericalismo della peggior specie. Tanto è vero che mai come oggi abbiamo avuto tanti cattolici in politici ma al contempo nessun cattolicesimo politico. Ossia è stata azzerata la presenza organizzata dei laici, con un proprio progetto politico cristianamente ispirato ma sotto la loro diretta responsabilità ecc. A tale proposito viene da sorridere al pensiero che gli autori di questa rottamazione oggi lamentino l’irrilevanza dei cattolici in politica, dato che la scarsa incidenza è un prodotto della opzione «extraparlamentare» della chiesa italiana. E con ogni evidenza il lobbismo dei cidienneffini è funzionale a questo schema clericale. Clericalismo condannato peraltro – è questo il paradosso – dal Concilio e da tutti i papi recenti, a cominciare da Francesco che lo ha definito una «peste», senza contare gli affondi alla figura del «vescovo pilota». Ma questo è un altro post. Un post che ho in mente da molto tempo ma che ho sempre rimandato. Credo sia giunto il momento di ritornarci sopra.

      Un caro saluto

  3. Aggiungo questo commento per ringraziarti della risposta in quanto non ho la registrazione dell’account wordpress che consente di mettere il “like”.
    Attendo il tuo prossimo post. Sono poco esperta di politica, sono un po’ più informata sulle “cose di Chiesa”. Le tue disamine – al di là che si possa essere d’accordo o meno su singoli dettagli secondari – mi hanno sempre aiutata a fare passi in avanti nel formarmi alcune cornici fondamentali del cattolicesimo.
    Grazie!

2 Trackback / Pingback

  1. La macchina del fango contro il PdF - Breviarium
  2. Pagina non trovata - Breviarium

Di’ cosa ne pensi