Mi è morto il gatto

Pierre Auguste Renoir, Julie Manet

Qua dalle nostre parti, quando si vede qualcuno con la faccia lunga e immusonita e lo si vuole apostrofare con ironia, gli si domanda se gli è forse morto il gatto. Pare che la morte di un gatto sia un ottimo simbolo per eventi minimali di cui crucciarsi e per cui crogiolarsi in un estemporaneo vittimismo.

Il caso ha voluto che ieri sia morto il gatto pure a me e mi sono ritrovata catapultata dentro il detto paesano mio malgrado. Ma più che per il mio amato micione, mi sono in realtà addolorata assai per le mie figliole e il loro cuoricino adolescenziale duramente graffiato dagli artigli di questo improvviso evento luttuoso.

Quando ho raccolto il corpo senza vita del mio batuffolo peloso dal ciglio della strada, ho riflettuto se mostrarlo o no ai figli o se fosse più opportuno comunicare la notizia della sua dipartita in modo asettico, a cadavere sepolto. Esso aveva gli occhioni spalancati con le pupille dilatate, fulminato da una botta in testa senza una goccia di sangue, incredibile segno di quanto caduca sia la vita, anche quella di un gatto che pure ne ha proverbialmente più di una a disposizione. Non era raccapricciante, non mostrava alcuna violenza, se non quella netta e decisa della morte, che si presenta senza avvisare e non si lascia trattenere per i convenevoli.

Così ho deciso di chiamare a raccolta la famiglia e permettere a tutti l’ultimo saluto alla povera bestia. Con mia sorpresa ho registrato reazioni estremamente differenti nei tre figli: la sedicenne lo ha accarezzato, osservato, poi si è alzata e si è fissata a contemplare il giardino del vicino con aria profondamente assorta. La dodicenne è rimasta arretrata di qualche passo e si è messa subito a piangere come una fontana, ed ha proseguito per tutta la serata. Il cucciolo di 8 anni ha fatto due balzi intorno, ha domandato che ce ne facciamo del cibo per gatti che abbiamo in dispensa e si è eclissato a badare ai fatti suoi, senza mostrare né rammarico né turbamento.

Dopo aver fatto una buca e raggomitolato dentro il mio micione morbido e nero, l’ho ricoperto con uno strato di foglie arancioni, per non oltraggiare quel pelo favoloso direttamente con la terra, poi ho chiuso la buca col terriccio.

Al mattino dopo, ho rimirato di sottecchi i miei tre cuccioli e le loro reazioni di fronte al piccolo lutto: quella di mezzo aveva due occhi gonfi come mandarini, ma già ha domandato se possiamo prendere un altro gatto. Il piccolo ha voluto un abbraccio mattutino più lungo del solito, ma non ha profferito verbo. La grande invece ha dipanato i suoi pensieri, mostrando l’ampiezza del suo sguardo pieno di dolenti interrogativi.

Mamma, mentre eravamo in vacanza in montagna, qui c’è stata quella mezza bufera che ha buttato giù gli alberi del vicino e quando siamo tornati il panorama era completamente cambiato: invece che il fitto boschetto, dietro casa vediamo ora l’orizzonte nudo. Ma quando siamo partiti, non abbiamo nemmeno salutato con lo sguardo quegli alberi, abbiamo dato per scontato di ritrovarli uguali al ritorno. Ora il nostro Fumo: ieri c’era e oggi non c’è più. Se lo avessimo saputo prima, ne avremmo goduto di più.

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