Ma Dante ci credeva, nell’astrologia?

“Il pane non mi mancherà in nessuna parte del mondo!”. Così Dante scrisse all’amico fiorentino, rifiutando l’offerta del Comune di Firenze che gli prospettava il ritorno in patria dietro il pagamento di un’ammenda e dopo un atto di pubblica penitenza. Nella stessa lettera Dante scriveva: “Non potrò forse contemplare da ogni altro luogo il sole e le stelle? Non potrò forse ovunque sotto la volta celeste riflettere sulle dolcissime verità?”.

Con queste parole Dante indicava ciò che era essenziale: la ricerca della verità e della bellezza, che egli riassume nel termine “stelle”, che per lui era sinonimo del Mistero infinito di Dio, tanto da apporlo come una firma alla fine delle tre cantiche della Commedia.

Ora, siccome a influenzare gli esseri e le vicende terrene, sono, secondo l’astrologia, proprio gli astri del cielo, cioè stelle e costellazioni, per approfondire questo tema nella Divina Commedia occorre innanzitutto farsi un’idea di come era rappresentato l’universo geocentrico dantesco, che è poi quello del Medioevo cristiano, che a sua volta l’aveva ricevuto, “battezzandolo”, per così dire, da Aristotele e dall’antica astronomia greca (Ipparco e Tolomeo) e ancor prima babilonese ed egiziana.

Diamo un’occhiata a questo schema:

La Terra è immobile al centro dell’universo, circondata prima dalle sfere dell’acqua, dell’aria (… in circuito tutto quanto / l’aere si volge – Purgatorio 28, 103-104), del fuoco, e poi da nove sfere concentriche o cieli costituiti di etere, materia trasparente e invisibile, chiamata anche “quinta essenza” (dopo i quattro elementi di terra, aria, acqua, fuoco).

Perché gli antichi introdussero queste sfere, che in realtà, naturalmente, non esistono?

La risposta è semplice. Si chiedevano: perché i pianeti e le stelle non cadono sulla Terra?

Non conoscendo la legge di gravitazione universale di Newton, immaginarono queste immense sfere come i sostegni materiali e invisibili di pianeti e stelle su di essi “incastonati”.

Ecco perché, per esempio, chiamiamo ancora oggi “sfere” anche le lancette dell’orologio, che non hanno nulla di sferico: “sfere” perché seguono la sfera del Sole, sul cui movimento è misurato il tempo degli uomini.

I cieli danteschi si susseguono secondo il seguente ordine:

  1. Cielo della Luna con le sue “macchie”
  2. Cielo di Mercurio
  3. Cielo di Venere
  4. Cielo del Sole raggiante
  5. Cielo di Marte con la croce dello scudo dei crociati, fra cui il trisavolo Cacciaguida
  6. Cielo di Giove con l’aquila disegnata dalle anime
  7. Cielo di Saturno con la scala di Giacobbe
  8. Cielo delle Stelle fisse, cioè delle Costellazioni dello Zodiaco, “cui tanti lumi fanno bello” (Paradiso 2, 130)
  9. Primo mobile o Cielo Cristallino, senza corpi celesti “incastonati”.

“Fuori di tutti questi (cieli) – spiega lo stesso Dante in Conv. II, III, 8 – li cattolici pongono lo cielo empireo che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso”. È il Paradiso vero e proprio: un cielo di

luce intellettual, piena d’amore;
amore di vero ben, pien di letizia,
letizia che trascende ogni dolzore

Pd XXX, 40-42

Non gira (… non è in loco e non s’impola – Pd XXII, 67) e si mostra a Dante prima come “miro gurge”, un fiume di luce, che poi diventa un lago, su cui si innalza, come su una corolla, la “candida rosa”.

Dante chiama anche la luna e il sole “pianeti”, dal greco planètes, cioè “errabondi” rispetto alle stelle fisse, cioè al disegno delle costellazioni che rimane costante.

Il Primo mobile era necessario immaginarselo: oltre al movimento periodico da ovest a est degli astri c’è il moto diurno delle 24 ore: tutti i corpi celesti si alzano a oriente (per noi dell’emisfero boreale), girano verso sud e poi tramontano a ovest. Noi sappiamo che è la Terra a girare, ma gli antichi pensavano che fosse tutto il Cielo a ruotare intorno alla Terra da est a ovest in 24 ore, trascinato dal Cielo Cristallino, chiamato da Dante “lo real manto di tutti i volumi” (Pd XXIII, 112).

Il moto del Primo Mobile, da est a ovest, è quello disegnato lungo l’equatore celeste, mentre il moto planetario è complessivamente quello disegnato lungo l’Eclittica (l’orbita descritta dal sole intorno alla Terra lungo lo Zodiaco) e taglia obliquamente il primo da ovest a est.

I due opposti moti circolari, lento quello planetario (simbolo dell’umano), travolgente quello del Primo Mobile (simbolo di Dio), si incrociano con un incontro quasi nuziale nei punti equinoziali γ e ω.

Ora raccogliamo l’invito di Dante a guardare in cielo “quanto per mente” (quella delle intelligenze angeliche) nello spazio (per loco) “si gira”:

Leva dunque, lettore, a l’alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l’un moto e l’altro si percuote.
Vedi come da indi si dirama
L’obliquo cerchio che i pianeti porta”.

Pd X, 1-15

Dante sottolinea l’importanza di quel punto  in cui il sole entra in Ariete e dà inizio alla primavera, determinando una situazione astrologica ricca di favorevoli influenze:

Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,

con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.

Pd X, 37-42

Ed eccoci al punto che ci riguarda in questa ricerca su Dante e l’astrologia.

1 commento

  1. Con piacere leggo questo testo del prof. Fiorito! Benvenuto! Io sono un frequentatore del blog “Breviarium” e sono di Subiaco, dove varie volte ho assistito a suoi incontri su Dante, sempre in occasioni legate alla memoria, viva, del nostro amato Don Paolo Pecoraro. Da oggi un altro motivo, semmai ce ne fosse bisogno, per vivere questo spazio di vera fede che si fa cultura. Buon inizio!

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