Charlie Hebdo non può parlare di religione. Epperò…

Charlie Hebdo non si è smentita nemmeno questa volta e, in occasione dell’attentato a Barcellona, ha pubblicato una vignetta con due corpi insanguinati, un furgone bianco che fugge e la scritta “Islam religione di pace… eterna”.

Il significato è chiaro e direi che sostanzialmente sono pure d’accordo. Insomma, per una volta mi pare che la vignetta sia azzeccata (sebbene amarissima, come sempre).

I francesi non si sono mostrati dello stesso avviso e sulla pagina facebook della rivista hanno manifestato tutto il loro disappunto, dando sostanzialmente alla redazione della razzista e islamofoba. Molti sostengono di essere musulmani e di essere pure scesi in piazza in occasione dell’attentato alla sede di Parigi del 7 gennaio 2015, per cui ora si sentono traditi da questa vignetta che non è nel solco progressista di tutte le precedenti.

Ricordiamo che Charlie Hebdo non ha risparmiato satira becera contro la Chiesa cattolica e il romano pontefice, ha riso pure delle italiche disgrazie procurate dagli ultimi terremoti, ma non ha mai risparmiato nemmeno l’islam, più o meno direttamente: bacio gocciolante tra una persona con maglietta charlie e un arabo sotto la scritta “l’amore è più forte dell’odio”; un arabo che si fa scudo con il corano dalle pallottole ma viene ugualmente colpito, insieme alla scritta “il corano è merda che non ferma i proiettili”. Eccetera. Ogni settimana esce in edicola con la sua interpretazione dissacrante dei fatti più rilevanti e tanto più è grave la notizia, tanto più eco ha la vignetta, soprattutto se fuori luogo e irrispettosa.

Questa vicenda mi ha indotto a pormi una domanda: ma il vilipendo alla religione in che termini è reato? Con una breve ricerca sul web, ho scovato l’articolo 403 del codice penale, che recita:

Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto.

Sulla parola “vilipendio” però il sito in questione riporta una notarella non insignificante: data la natura di reato a condotta libera, la giurisprudenza ne ha dilatato più volte l’ambito di applicazione, suscitando così censure di incostituzionalità, in quanto sarebbe incompatibile con il principio di determinatezza della fattispecie penale, nonché con quello che garantisce la libera manifestazione del pensiero.

Insomma, mancando la definizione di vilipendio, finisce per starci dentro tutto e niente e resta indefinito il confine tra libera manifestazione del pensiero e offesa della sensibilità altrui.

Ultimamente stiamo diventando tutti molto suscettibili e i reati d’opinione vanno alla grande: solo i cattolici, abituati da secoli a ricevere gli strali degli atei anticlericali, paiono rassegnati a dover subire attacchi di ogni genere sotto la veste imbellettata della satira o anche insulti diretti sparati in faccia senza la minima provocazione. In realtà ogni tanto qualcuno denuncia e ottiene pure soddisfazione: la sentenza 41044/2015 della cassazione ha confermato la condanna ad un imputato per aver realizzato ed esposto nel centro di Milano un trittico raffigurante il Papa ed il suo segretario personale accostati ad un pene con testicoli con la didascalia “Chi di voi non è culo scagli la prima pietra”. La motivazione espressa dalla corte recita:

In materia religiosa, la critica è lecita quando – sulla base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati – si traduca nella espressione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di metodo, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione, mentre trasmoda in vilipendio quando – attraverso un giudizio sommario e gratuito – manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione cattolica, disconoscendo alla istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa riconosciute dalla comunità, e diventi una mera offesa fine a se stessa.

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