Buona Pasqua e buon compleanno a Benedetto XVI

In questo giorno santo, che unisce il riso pasquale con la tenera gioia per il novantesimo compleanno di Sua Santità Benedetto XVI, Papa emerito, Breviarium intende raccogliere gli augurî dei suoi autori e, se vorranno unirsi a noi, di tutti i collaboratori e i lettori. Nel giorno in cui celebriamo l’eucaristia suprema dell’anno liturgico possiamo scrivere il nostro ricordo, la nostra dedica, il nostro ringraziamento a Dio per la splendida gemma donata alla Chiesa e al mondo in Joseph Ratzinger.


di Giovanni Marcotullio

biffi-ratzinger_lbs-copia.jpgEro al liceo, quando mi appassionai alla figura e agli scritti del famigerato cardinal Ratzinger. Anzi, il binomio che poco dopo il grande amore (sant’Agostino) mi stava seducendo, verso i 17 anni, era “Ratzinger & Biffi”. Due saggi in cui le mie inquietudini adolescenziali trovavano l’intelligenza, la fermezza e la franchezza esigite dal mio ventricolo destro… la moderazione, la finezza analitica e l’empatia espositiva che il ventricolo sinistro sperava di trovare. Anche quelli che maturavano scelte di opposizione a quel mondo, come il vecchio amico Mattia, riconoscevano in “Ratzinger & Biffi” gli interpreti di un cristianesimo antico e fresco come la brezza del nuovo giorno. Poi Biffi lo seguii nelle sue analisi sociologiche (che talvolta, ma non abitualmente, sfociavano nella politica), mentre Ratzinger mi sedusse nel suo nascondimento monastico, verginalmente consacrato alla Verità cristiana. Mi ricordo quando chiesi al mio prof. di religione (un bravo prete, peraltro) perché mai la Dominus Iesus avesse scatenato tutto quel putiferio, che all’epoca mi colpì molto… e lui mi rispose: «Sono cose vere e che sappiamo, Giovanni: ma c’era bisogno di ribadirle in questo momento?». Non ho mai capito bene cosa volesse dire quella risposta, ma d’istinto mi misi dalla parte di Giovanni Paolo II e del mite Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (cui mai fu dato nomignolo tanto cretino e ingiusto come “Panzerkardinal”), i quali evidentemente avvertivano il bisogno di ribadire l’unicità e l’universalità salvifiche di Gesù Cristo e della Chiesa. Anni dopo, mentre piangevo la morte del Papa polacco, l’unico che in vita mia avesse mai esercitato il ministero petrino, sperai intensamente che fosse quel Ratzinger a raccoglierne il pastorale: quando il protodiacono annunciò il nome “Josephum”, dal loggione, mi misi in ginocchio per la gratitudine già prima di sentir pronunciare il sospirato cognome. E in questo giorno di Pasqua, che segna per il Papa emerito Benedetto XVI l’ingresso in un’età quasi patriarcale, mi piace ricordare le parole che pronunciò al suo arrivo all’ex Sant’Uffizio – come me le ha riportate un suo ex collaboratore proprio in quel palazzo –: «Non sono qui per dirvi che cosa è vero e cosa no, ma per comprendere con voi perché queste cose sono vere. E per mostrarle a tutti». Grazie, Santità, di essere tornato nella caverna per guidarci fuori. Ad multos annos.


di Claudia Cirami

Faccio outing: soffro di Benedetto-mania (vi aspettavate qualcosa di diverso? Oggi è questa una delle vere trasgressioni). La stima verso di lui è sempre stata costante, ma nell’ultimo anno ho letto Benedetto XVI/Joseph Ratzinger con una regolarità sospetta: un libro suo (o che parla di lui) dopo ogni libro di altri autori. Come un ritorno al vero amore, ogni volta. Non mi sento costretta ad esibire alcuna fedeltà a Pietro (Francesco è l’unico e solo Papa regnante), perciò mi dedico senza sensi di colpa al “mio” Benedetto. Dato che la frequenza con le sue parole è costante, se funziona l’osmosi tra cervelli qualcosa del suo passerà anche nel mio, prima o poi (Marcotullio, non ridere). Nel mio bagaglio culturale (molto limitato in realtà), ho un “Benedetto” prêt-àporter per le varie occasioni: una frase, un pagina su cui rimuginare a seconda dei bisogni e dei momenti.

papst-priesterweihe100-_v-img__16__9__l_-1dc0e8f74459dd04c91a0d45af4972b9069f1135.jpgUno dei suoi pensieri che – di recente – più mi ha colpito si trova nel libro autobiografico La mia vita. Joseph Ratzinger parla del rapporto tra vescovi e potere statale, nella Germania nazista, riguardo all’osservanza del Concordato:

Già allora si affacciava in me l’idea che essi [i vescovi, N.d.R.] con la loro battaglia per le istituzioni in parte disconoscevano la realtà. Infatti la sola garanzia istituzionale non serve a nulla, se non ci sono le persone che la sostengono per convinzione personale.

Questa considerazione per me ha una sua validità anche in contesti politici profondamente diversi. Mi sembra indicare indirettamente una rotta per la Chiesa Cattolica: ogni “accordo” su temi rilevanti è possibile solo se dall’altra parte si pongono coloro che, anche se non credenti, il Concilio Vaticano II definisce «uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia» (GS 22). Il realismo, anche in politica, è sì una delle caratteristiche costanti della Chiesa, ma è fondamentale che sia davvero tale, condotto con discernimento e con interlocutori con i quali c’è una concordanza su alcuni valori di base. Altrimenti è solo un faticare vano.


di Emiliano Fumaneri

Ringraziamo Dio per averci donato in Benedetto un pastore con cuore di padre in un tempo di “desertificazione spirituale” come il nostro, oscillante tra il cerebrale e il viscerale. Sembra essere arrivato il tempo di Smerdjakov, uno dei personaggi più oscuri di Dostojevskij, il parricida capace di alternare un ragionare di terrificante lucidità alla più brutale ferocia. Questo essere vuoto e ghignante è figura di un uomo che ha estirpato con chirurgica precisione la propria umanità. E a un’umanità senza cuore cos’altro rimangono se non il cervello e la pancia? Quando l’uomo si degrada a tal punto davvero “tutto è permesso”. In questa descensio ad inferos il “tutto è possibile” è solo a un passo. Nel deserto spirituale di questo tempo, Papa Benedetto ci ha ricordato che Dio è Agape ma anche il Logos. Caritas in Veritate. Ma soprattutto ci ha ricordato che il Dio cristiano si è fatto carne. E che pertanto non può essere soltanto “ragione matematica”. Per questo in quell’uomo mite che è Benedetto non siamo mai riusciti a vedere solo una raffinatissima mente teologica ma, prima di tutto, il padre buono e fedele, il semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Ringraziamo Dio per averci donato in Benedetto un Papa maestro di quell’umorismo buono che, secondo le sue stesse parole, va considerato «un indice, un barometro della fede». pope-benedict-celebrates-birthday-with-beerÈ una lezione che teniamo sempre cara: il cristiano non è un dottrinario intransigente né un vacuo superficiale. Non bastano il cervello (la ragione) e le viscere (il sentimento). L’amore cristiano punta al cuore dell’uomo. Per noi Benedetto è il Papa della gioia. Ringraziamo Dio anche per una intera vita spesa al servizio della Chiesa e dell’edificazione del Regno. E per averci donato un pastore capace di dare carne e sangue ai due grandi amori che sempre dovrebbero costellare la vita del cristiano: l’amore per le cose del cielo e l’amore per le cose delle terra.


di Cristina Marginean Cocis

Impariamo a camminare cadendo, e più cadiamo più i nostri muscoli si rafforzano e il cervello crea le connessioni propizie all’apprendimento più meraviglioso della nostra infanzia: le gambe sorreggono, le braccia equilibrano, la colonna vertebrale sostiene e cominciamo a camminare. Il vero miracolo non è l’azione in se, il vero miracolo è celato nel nostro addome, subito sotto il cuore, e si chiama muscolo diaframmale. Con la sua forma a cupola si spinge verso la cavità toracica formando dei pilastri su cui si poggerà, poi, tutta la nostra vita. Con i primi passi questo muscolo comincia a sostenere i nostri polmoni e il nostro respiro si prepara ad accogliere le prime parole. Ecco: i tre pilastri della posizione degna, eretta, verticale dell’uomo (le due gambe e la colonna vertebrale), vengono magicamente completati dalla forza che si sviluppa nel quarto pilastro – posizionato sotto il nostro cuore.

Pensando al Papa emerito, Benedetto XVI, penso al quarto pilastro. Il pilastro nascosto eppure così importante da tenerci ancora in piedi, in piedi sotto la croce per arrivare alla più alta forma di umanità: la compassione. Perché vi voglio confessare che, per come la vedo io, Gesù non è mai stato abbandonato. Lui non era solo sulla croce. Gesù non è stato abbandonato dalla stessa precisa umanità che ha cercato di raggiungere per tutta la vita. Il miracolo che accadde sotto la croce è commovente fino alle lacrime: la capacità delle donne e dell’intera umanità di sentire la compassione per Dio sulla croce. pope-benedict-xvi.jpgQuesta compassione diventa il piolo su cui Gesù riesce ad appoggiarsi per portare a compimento la ricerca dell’essenza dell’umanità, e lì si lascia morire. Gesù riesce a diventare pienamente uomo vero solo nel momento della sua morte. Se questo non si fosse verificato, in un certo senso Gesù sarebbe rimasto solo Dio e paradossalmente, per salvare l’umanità, non bastava solo un Dio.

Penso che, in definitiva, la testimonianza della fede deve diventare un’arte in grado di toccare il miracolo senza denaturarlo e rivelarcelo senza le forzature dell’orgoglio umano. In quest’ottica la testimonianza del Papa emerito Benedetto XVI ci riporta sotto la croce. Da lì, silenziosamente, continua a diffondere e dichiarare il miracolo della Risurrezione attraverso il suo operato nella carità, e a sostenere Papa Francesco con la sua incessante preghiera.



di Benedetto XVI

La corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza. Non possiamo essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Il nostro tempo è destinato a finire. E tra l’io e il tu c’è il muro dell’alterità. Certo, nell’amore possiamo in qualche modo entrare nell’esistenza dell’altro. Rimane, tuttavia, la barriera invalicabile dell’essere diversi. Gesù, invece, che ora mediante l’atto dell’amore è totalmente trasformato, è libero da tali barriere e limiti. Egli è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli (cfr Gv 20, 19). Può passare attraverso la porta interiore tra l’io e il tu, la porta chiusa tra l’ieri e l’oggi, tra il passato ed il domani. Quando, nel giorno del suo ingresso solenne in Gerusalemme, un gruppo di Greci aveva chiesto di vederLo, Gesù aveva risposto con la parabola del chicco di grano che, per portare molto frutto, deve passare attraverso la morte. Con ciò aveva predetto il proprio destino: Non voleva allora semplicemente parlare con questo o quell’altro Greco per qualche minuto. Attraverso la sua Croce, mediante il suo andare via, mediante il suo morire come il chicco di grano, sarebbe arrivato veramente presso i Greci, così che essi potessero vederLo e toccarLo nella fede. Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto, in cui Egli è presente ieri, oggi ed in eterno; in cui abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Ora può oltrepassare anche il muro dell’alterità che separa l’io dal tu.

(dall’Omelia nella Veglia pasquale del 2008)


4 commenti

  1. Grazie per i contributi.
    Sono certo che il Padre, che da Paternità stessa, non è per nulla geloso.. gioisce della “gloria” e della riconoscenza che diamo e che date a questo suo figlio prediletto. Bravi. I frutti del suo lavoro, ora mariano, permangano e siano diffusivi, come Carità prevede.

  2. È sorprendente e inattesa la stima e la considerazione per Benedetto XVI da parte di persone molto lontane dalla fede. Come se la limpidezza della sua dottrina teologica, la finezza dello studioso, la grande delicatezza dei suoi modi cortesi, costituisse una formidabile calamita proprio per i più lontani. Instillando nel loro cuore quella inquietudine sana che li spinge a interrogarsi sul senso della loro vita.

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