Credo, quindi dubito; dubito perché credo: l’ascensione di Cristo

di Mattia Lusetti

Il Vangelo dell’Ascensione di Matteo scopre uno dei nervi scoperti di chi, come me, si definisce credente (e cristiano). Che posto c’è nella vita del credente per il dubbio? Chi crede veramente non dubita e dunque, è evidente, chi dubita veramente non crede. Ce lo ripetono spesso, specialmente la prima delle due affermazioni, in genere in tono di accusa: se credi non puoi coltivare il dubbio.

Un’espressione come “coltivare il dubbio” ci fa nascere il sospetto che chi ci parla non abbia veramente afferrato cosa significhi dubitare, altrimenti non parlerebbe con leggerezza di coltivarlo: nonostante tutto dubitare sembra una cosa data per ottima e quindi ci sentiamo in dovere di giustificarci. “Anche noi dubitiamo”, “anche chi crede ha momenti di debolezza e di difficoltà”. Potremmo aggiungere: pure gli Undici, a leggere il Vangelo di oggi:

Quando lo videro si prostrarono. Essi però dubitarono.

Mt 28,17

E allora tentiamo non dico di dubitare, ma di cercare di capire.

Gli Undici sono andati fino in Galilea, sul monte che era stato loro indicato, per vedere Gesù che, a sentire le donne, era risorto. Le prime a vedere il Risorto prima degli Undici sono loro, le donne, alle quali gli Undici danno quindi credito scendendo in Galilea. In mezzo, tra le donne che devono avvisare i fratelli di Gesù e questi ultimi (gli Undici) che si muovono, c’è un interessante intermezzo. Le guardie preposte al sepolcro riferiscono ai capi dei sacerdoti a Gerusalemme quello che è accaduto: una luce, la pietra spostata e il corpo sparito. I capi dei sacerdoti non si scompongono assolutamente, si riuniscono, chiamano le guardie e le pagano perché raccontino la versione del “corpo rubato da parte dei discepoli”. Esse fanno come ordinato e la scena si conclude. Mai credo potremmo osservare una facilità di giudizio e di azione come quella dei capi dei sacerdoti, i quali non hanno alcun dubbio su cosa sia accaduto né su cosa bisogni quindi fare. Gli Undici invece, dopo un centinaio di chilometri a piedi e mentre si prostrano davanti a Gesù risorto, dubitano. Una strana diversità che deve trovare il proprio motivo in una qualche differenza. La prima, lampante, è che i capi dei sacerdoti non credono, mentre gli Undici, almeno un pochino si, visto il credito accordato alle donne e i chilometri percorsi. Ma non possiamo accontentarci di ribaltare le accuse riportate più su: «I credenti dubitano, sono i non-credenti a non dubitare».

La differenza è radicalmente una soltanto: ai capi dei sacerdoti di Gesù non interessa minimamente, gli Undici bruciano dal desiderio di vederlo o almeno di sapere se le donne, una volta tanto, hanno ragione.

Solo l’estremo interesse e la passione più accesa suscitano il dubbio: «perché il dubbio è una forma superiore a qualunque ragionamento obiettivo, che presuppone, ma conservando rispetto a lui un di più, ovvero l’interesse».

Kierkegaard, De omnibus dubitandum est

Solo l’estremo interesse e la passione più accesa suscitano il dubbio. Gli Undici tremano, perché Gesù è davanti a loro, hanno gettato la loro vita su quell’uomo tanto amato e ora chiedersi se è vero tutto ciò che essi hanno visto e sentito diventa una questione di vita e di morte.

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Pietro Perugino, Ascensione

Finché Gesù è solo un’ipotesi accademica o una pedina sullo scacchiere della politica palestinese come per i capi dei sacerdoti il dubbio non può sorgere perché è rimosso in partenza. Vero o non vero, a loro interessa cosa se ne dirà in giro e per questo gettano quello che hanno (un po’ di denaro) alle guardie che, ugualmente disinteressate, accettano volentieri. La fede cristiana, ce lo hanno ripetuto Benedetto e Francesco con un duetto straordinario, è la passione per Gesù. Il dubbio quindi non è un inconveniente accessorio, un caso, meno che mai qualcosa da ricercare in sé e per sé, il dubbio è il compagno inevitabile dell’interesse dell’intelletto e dell’esistenza intera per la verità di Gesù e del cristianesimo.

Il credente dubita perché è acceso di passione, perché la sua fede è prima di tutto passione per la verità di Gesù. Il che ci dà qualche risposta a quello che spesso sentiamo ripetere. Coltivare il dubbio è impossibile e pure dannoso, e Kierkegaard sospettava a ragione che chi andava predicando il dubbio senza raccontare della tremenda sofferenza e fatica che esso comporta, senza parlare della disperazione che provoca, non avesse mai dubitato. Se davvero si vuole “coltivare” il dubbio si deve coltivare la passione e l’interesse estremo per la verità di ciò di cui si parla e si vive. Il che significa ovviamente, ma non è un titolo di onore, che essere un credente è una delle condizioni di possibilità del dubbio perché significa essere dominati dalla passione per la verità di qualcosa. Non è un titolo di onore, perché il dubbio (se non è una parola da salotto televisivo) rischia di bloccare, incatenare e ossessionare mente ed esistenza di chi ne é dominato. E dunque come reggerne il peso, o come superarlo?

La via tutta umana per rimuovere il dubbio è quella di annullare ogni passione: rimossa la passione è rimosso il dubbio, ogni affermazione è un’ipotesi più o meno elegante, coerente o utile. Gesù ne suggerisce un’altra mentre è di fronte agli Undici prostrati e dubitanti, una specie di rilancio. Se un uomo tornato vivo dai morti era poco, quest’uomo ha ogni potere «in cielo e in terra», aggiunge.

E poi invia in missione gli Undici. Anche qui, non bisogna pensare che lo abbia fatto perché “tanto doveva farlo, e peccato che li trovo dubbiosi, ma comunque è ora di andare io li mando lo stesso”. Li trova esattamente come doveva trovarli (-ci?): appassionati e perciò morsi dal dubbio, e l’invio in missione è pure la risposta al dubbio. La passione dubitante degli Undici deve appoggiarsi ora sulla passione indefettibile del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: la salvezza di ogni uomo che nasce su questa terra.ascensione-1150ca-bibbia-di-avila-madrid-bibl-nac.jpg

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